La libertà è il colore della vita

Van Gogh
 

28/12/2001

“Me ne sto in gabbia, me ne sto in gabbia, e non mi manca niente, imbecilli! Ho tutto ciò di cui ho bisogno! Ma per piacere, libertà, lasciatemi essere un uccello come gli altri!”. “ Così, talvolta, un uomo che non fa nulla assomiglia a un uccello che non fa nulla” (133 della raccolta delle lettere di Vincent Van Gogh). Forse è proprio il grido di libertà, continuo e disperato che ha segnato l’esistenza di Vincent Van Gogh. Una libertà che assomiglia alla voglia di fuggire dagli sterili canoni del quotidiano, una libertà che chiede di potersi esprimere liberamente senza le censure ipocrite che la società imponeva sul finire del XIX secolo, quando ancora essere un alienato significava essere soltanto un fastidioso rifiuto dell’umanità. Eppure Vincent Van Gogh non fu una vittima, la forza del suo genio non si piegò mai agli eventi del contingente, lo accompagnò fino alla fine dei suoi giorni quando, in una calda e assolata giornata di luglio, decise che la vita probabilmente era diventata fin troppo noiosa e sterile per chi come lui già le aveva “rubato” tutto. Ma questo è solo l’ultimo passo di una vicenda esistenziale straordinaria, la vicenda di un uomo che con le sue opere ha scosso la storia dell’arte e che ancora a distanza di più di un secolo dalla sua morte continua a farlo. Vincent Van Gogh nasce a Zundert (nel Nord del Brabante olandese) il 30 marzo del 1853, la sua è una famiglia della media borghesia: il padre è un pastore protestante, discendente però da una famiglia di ricchi mercanti d’arte, i quali ben presto introducono il pittore nel mondo dell’arte. Vincent infatti dopo alcuni anni passati in un collegio Zevenbergen decide di interrompere gli studi e parte per l’Aja dove farà il commesso presso la succursale della casa d’arte "Goupil & Cie." di Parigi grazie anche all’interessamento di uno degli zii paterni. Sono gli anni in cui viaggia fra Londra e Parigi, visita musei, conosce gli impressionisti, i quali però non riescono ad entusiasmarlo, ma soprattutto gli anni che segnano la sua prima grande delusione. È Ursula Leyer, una giovane donna conosciuta a Londra, il primo vero amore di Vincent. Immediatamente il giovane si dichiara alla ragazza sperando di essere ricambiato, ma ne segue un secco rifiuto che lo getta in una profonda crisi depressiva, la prima probabilmente di una lunga serie. Ritorna a Parigi dove per qualche tempo lavora sempre alla casa d’arte "Goupil & Cie." ma le continue discussioni sulle scelte dei clienti e gli alterchi con i direttori lo conducono presto al definitivo licenziamento. L’artista però non sembra essere turbato dalle conseguenze della perdita del lavoro anzi ne approfitta per ritornare a Londra dove ancora una volta cerca di farsi accettare da Ursula Leyer sempre senza successo. Comincia ad avvicinarsi alla religione in modo ossessivo, diviene aiuto predicatore di un pastore metodista in un sobborgo operaio di Londra, ma anche questa esperienza volge prematuramente a termine quando ancora una volta decide di partire e tornare ad Etten dai genitori.

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