Arte e tecnologia

L'Internet delle cose si applica all'archeologia sottomarina

Marzamemi Maritime Heritage Program
 

Francesca Grego

05/01/2017

Il sogno di ogni archeologo marino sta per avverarsi. Antichi relitti, città sommerse, oggetti dispersi sui fondali da migliaia di anni saranno a portata di mano grazie a nuovi progetti di ricerca, che ai mezzi pesanti e costosi finora in uso sostituiscono tecnologie sempre più leggere e smart.

È il caso di Archeosub, un’iniziativa dell’Università di Firenze e del professor Benedetto Allotta, che ha già testato i propri AUV (Autonomous Underwater Vehicles) in una ricognizione fra le colonne e i capitelli della cosiddetta “Chiesa Bizantina” che giace sui fondali di Marzamemi (Siracusa).

Prossimo obiettivo dei robot di Allotta è il relitto del Pozzino: la nave romana, affondata al largo del Golfo di Baratti (Toscana), è un importante documento della medicina antica, grazie alla sua fornitissima “cassetta del pronto soccorso”, che fra flaconi e strumenti medici custodisce il più antico collirio del mondo.

Ma le novità non sono finite. Con il progetto internazionale Sunrise, coordinato dall’Università La Sapienza di Roma, Internet arriva in fondo al mare. Imitando i segnali acustici emessi da balene e delfini, i robot subacquei possono dialogare tra loro e inviare informazioni a boe di superficie, mentre con il Dropbox sottomarino dell’Heriot-Watt University di Edimburgo gli AUV esploratori, una volta individuati i reperti, forniscono mappe e dati ai colleghi analisti, che convergono sul posto.

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