Gemito e la scultura a Napoli tra Otto e Novecento

Giuseppe Renda: Ebbrezza, bronzo, h 54 cm. Collezione privata

Giuseppe Renda: Ebbrezza, bronzo, h 54 cm. Collezione privata

 

Dal 11 Marzo 2012 al 27 Maggio 2012

Montevarchi | Arezzo

Luogo: Il Cassero per la scultura italiana dell'Ottocento e del Novecento

Indirizzo: via A. Burzagli 43

Orari: giovedì e venerdì 10-13/15-18; sabato e domenica 10-13/15-19; primo giovedì del mese 21.30-23.30

Curatori: Diego Esposito, Alfonso Panzetta

Enti promotori:

  • Comune di Montevarchi
  • Associazione Amici de Il Cassero per la scultura italiana dell'Ottocento e del Novecento

Telefono per informazioni: +39 055 9108274

E-Mail info: info@ilcasseroperlascultura.it

Sito ufficiale: http://www.ilcasseroperlascultura.it


Come finalità primaria "Il Cassero per la scultura italiana" di Montevarchi si pone la ricerca e la valorizzazione della plastica italiana otto e novecentesca. La felice collaborazione con alcuni dei più importanti collezionisti privati italiani, in massima parte napoletani, ha reso possibile per la prima volta in Toscana la presentazione di 70 capolavori di scultura partenopea tra Ottocento e Novecento. A cura di Diego Esposito e Alfonso Panzetta, promossa dal comune di Montevarchi e dall'"Associazione Amici de Il Cassero per la scultura italiana dell'Ottocento e del Novecento", la mostra presenta un importante nucleo di 12 bronzi di Vincenzo Gemito (1852-1929), figura centrale nel passaggio tra Otto e Novecento della scultura meridionale, che comprende tra gli altri lavori il busto del «Pescatorello» la cui versione a figura intera è conservata al Museo del Bargello di Firenze; l'«Acquaiolo», immagine di scugnizzo napoletano in presa diretta sulla realtà contemporanea e punto di riferimento di intere generazioni di artisti; la riduzione in bronzo del «Carlo V», mai esposto prima d'ora, il cui marmo monumentale è sulla facciata del Palazzo Reale di Napoli, mentre al periodo della maturità si riferisce il grande scudo di «Alessandro Magno» in un esemplare di grandissima freschezza e dal cesello da orafo.
In allestimento figurano alcune tra le opere più importanti di Giovan Battista Amendola (1848-1887): la grande «Venere che avvolge la chioma», già esposta alla Biennale di Venezia del 1903, ma soprattutto i bronzi «A moment's rest» e «Miss Lucy» che riferiscono della cultura inglese assimilata a Londra e dell'amicizia con il pittore Alma - Tadema.
Di Achille d'Orsi (1845-1929), altro genio della plastica napoletana, oltre ai bronzi «Don Basilio», «Testa di carrettiere» e lo studio della testa del «Proximus tuus», è presente lo straordinario lavoro di grandi dimensioni «A Posillipo». Pendant di quest'opera, per formato e qualità di fusione e cesello, è «Il gatto e il topo», rarissimo lavoro di Gesualdo Gatti (1856-?). L'excursus partenopeo comprende un'ampia selezione di 12 opere di Giuseppe Renda (1859-1939), figura certamente di primo piano e punto di riferimento per gli scultori più giovani, nel ventennio in cui Gemito si ritira in esilio volontario. Di questo raffinatissimo scultore di origine calabrese, uno dei pochi in Italia che assimila correttamente il clima del Nouveau internazionale, sono visibili il notissimo, e all'epoca scandaloso, «Estasi» o «Voluttà», alcune cere dal modellato freschissimo e vibrante e la giovanile «Alma Venus» del 1888 che lo portò alla ribalta sulla scena nazionale come uno dei giovani più promettenti del periodo.

La visione della scuola partenopea si sviluppa con ritmo attraverso le opere di Raffaele Belliazzi (1835-1917), Enrico Mossutti (1849-1920), Vincenzo Alfano (1850-c.1897), Rocco Milanese (1852-1931), Raffaele Marino (1868-1957), Giovanni De Martino (1870-1935) e Vincenzo Aurisicchio, mentre l'esplosione della nuova sensibilità novecentesca emerge dalle opere di Gaetano Chiaromonte (1872-1962), Saverio Gatto (1877-1959), Francesco Parente (1885-1969), Giuseppe Pellegrini, Giovanni Tizzano (1889-1975), Salvatore Pavone, Terra Renda (1896-1967) e dai raffinatissimi animalisti Antonio De Val (1895-1977) e soprattutto Ennio Tomai (1893-1969), presente con 3 opere informate sul gusto degli animaliers parigini. Anche Filippo Cifariello (1864-1936), forse il più grande ritrattista del suo tempo, nella tarda maturità partecipa di quel clima internazionale modulato sulla sintassi Dèco, evidente nella scattante «Ballerina» che ricorda le danze di Josephine Baker, ma a Cifariello si deve anche un intenso ritratto del tenore Enrico Caruso (1873-1921), l'artista forse più noto e amato in Italia e all'estero e del quale gli estimatori pensano di sapere tutto, mentre invece a pochissimi è nota la sua attività di modellatore di bronzi, arguti ed ironici, fusi per la maggior parte a New York, rarissimi ad incontrarsi, ma uno dei quali è, come gemma incastonata, all'interno del percorso della mostra.

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