Dalle avanguardie alla transavanguardia

Dalle avanguardie alla transavanguardia, Galleria ab/arte, Brescia

 

Dal 21 Febbraio 2015 al 24 Aprile 2015

Brescia

Luogo: Galleria ab/arte

Indirizzo: vicolo San Nicola 6

Orari: da giovedì a sabato 9,30-12, 30 / 15,30-19,30

Curatori: Andrea Barretta

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 030 3759779

E-Mail info: info@abarte.it

Sito ufficiale: http://www.abarte.it


La trama proposta testimonia l’evolversi di eventi, figure e vicende significative, ed è un’occasione unica per il pubblico di scoprire il rapporto di attenzione in una sorta di vasi comunicanti tra temi archetipi e suggestioni formali nell’idealismo di quegli anni legato al progredire della società e che, forse, non supera del tutto l’individualismo esaltante che estremizzava tutto - anche l’arte - per contrastare i modi di una produzione artistica frutto di ambasce affliggenti tanto cara alla critica ufficiale che guarderà con sufficienza a queste tendenze. Le cosiddette avanguardie storiche hanno creato un rinnovamento dei linguaggi artistici e hanno avviato la sperimentazione pur in anni difficili. Alla base c’era il disagio sociale e politico alimentato da un rifiuto della tradizione e della cultura dominante fino a mettere in discussione la stessa arte e decretandone la “morte”. Così la pittura italiana abbandona gradualmente l’esclusiva frequentazione con il realismo permettendo di presentare in importanti esposizioni un insieme organico “diverso” per un clima culturale in cui le opere astratte sono mal giudicate rispetto a quelle figurative: Mauro Reggiani e Renzo Vespignani in mostra. Mentre ormai sono tre i nuovi principali indirizzi: la pittura segnica, la pittura gestuale e quella materica. La prima è una sorta di scrittura astratta, stesure pittoriche che riconosciamo nelle opere di Giuseppe Capogrossi, poi quella “gestuale” nell’azione dell’artista che assale la tela con i suoi gesti, e infine la “materica” che ingloba nel dipinto materiali eterogenei. Nel 1947, a Roma, nasce il “Gruppo Forma” con Pietro Consagra, Piero Dorazio e altri, con una presa di distanza di quest’ultimo attraverso l’inserimento del segno cromatico nello spazio nel dichiarare una distinzione tra arte e vita e a non definirsi succube del colore ma semmai propositore di essenzialità spaziali nella manifestazione della forma-colore. Ed ecco che si forma il “Gruppo Cobra”, che rifiuta la tradizione e si oppone alla ricerca della bellezza e dell’armonia nell’arte. Parte il “Movimento Arte Concerta”, a Milano nel 1948, in contrasto con il realismo impegnato e all’informale irrazionale per arrivare a un post-informale e a un astrattismo geometrico negli artisti Bruno Munari, Achille Perilli, Luigi Veronesi. Poi è la volta della rielaborazione dell’oggetto d’uso quotidiano inserito nell’opera d’arte, mentre a Milano nel 1951 Enrico Baj firma il manifesto del “Movimento Nucleare” cui si avvicina Sergio Fergola che sarà tra i fondatori del “Gruppo 58” con Lucio Del Pezzo, mentre a Roma intorno a Lionello Venturi si forma il “Gruppo degli otto” tra cui Antonio Corpora, Ennio Morlotti e Giuseppe Santomaso. Il dissenso poi si esprimerà attraverso la dissoluzione della forma progettata e riconoscibile: è l’arte che si sviluppa tra gli anni Cinquanta e Sessanta con un linguaggio contrassegnato da velocità di esecuzione e improvvisazione in incanti alchemici e tra percorsi inediti che incontreranno sinergie in uno scambio tra diversi ambiti culturali e in una stretta relazione con scrittori e poeti dando vita a esperienze uniche. Nei primi anni Cinquanta, nel clima dunque del dopoguerra, in Italia sarà Lucio Fontana a indicare nuove strade di ricerca artistica nello “spazialismo”, mentre anni dopo sarà Piero Manzoni a irrompere sulla scena artistica milanese e internazionale: nel settembre 1957 aderì al manifesto “Contro lo stile” che rigettava ogni convenzione stilistica, tranne le proposizioni monocrome di Klein, fino a costituire nel 1959 il gruppo “Azimuth” che chiamava a una pittura come “presenza modificante in un mondo che non necessita più di rappresentazioni”, e presentava nel secondo numero dell’omonima rivista (1960) l’esposizione “La nuova concezione artistica” come “la prima mostra d’una tendenza d’avanguardia … presentata in Italia da alcuni decenni”. Ma è in arrivo la “Pop art” e il “nuovo realismo” di Restany con Mimmo Rotella, mentre a Roma ci sono gli artisti di Piazza del Popolo con Mario Schifano, Tano Festa, Mario Ceroli e Giosetta Fioroni, che rendevano la capitale a livello di New York e Parigi, nel culmine di una rivalutazione della cultura popolare e della pittura gestuale e materica che troverà linfa nell’appropriazione del reale e assumerà valenza oggettuale di un’arte che coinvolse sia gli Stati Uniti d’America che l’Europa, ma che inevitabilmente sarà l’inizio della fine alla nascita del “concettuale”. Ci addentriamo, allora, in quegli anni attraverso una traccia non forzatamente cronologica (consapevoli di mancate citazioni dovute solo a ragioni di spazio) e che prosegue sulle sollecitazioni di artisti del Novecento in una dimensione esplicativa delle esperienze vissute: protagonisti, interpreti o precursori di un postmodernismo improntato sull’autonomia come per Salvatore Fiume e Lorenzo Tornabuoni, o nel realismo sociale di Giuseppe Migneco e in quello esistenziale di Alberto Sughi. E ci sentiamo di interrogarci: cosa sarebbe l’arte oggi senza le vicende storiche di questi movimenti, gruppi e correnti che s’incrociano con la testimonianza di avvenimenti che sono alla radice di un comune sapere? Così la transavanguardia (qui con Sandro Chia) che ha risposto in termini contestuali ai punti di snodo essenziali dell’arte del XX secolo presenti in questa mostra che offre gli ingredienti di una rappresentazione culturale complessa nella definizione di un’art autre. La trama proposta testimonia l’evolversi di eventi, figure e vicende significative, ed è un’occasione unica per il pubblico di scoprire il rapporto di attenzione in una sorta di vasi comunicanti tra temi archetipi e suggestioni formali nell’idealismo di quegli anni legato al progredire della società e che, forse, non supera del tutto l’individualismo esaltante che estremizzava tutto - anche l’arte - per contrastare i modi di una produzione artistica frutto di ambasce affliggenti tanto cara alla critica ufficiale che guarderà con sufficienza a queste tendenze.
Andrea Barretta

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