Shandy. Visioni inconsce

 

Dal 02 Settembre 2016 al 24 Settembre 2016

Latina

Luogo: La Feltrinelli

Indirizzo: via A. Diaz 10

Orari: dal lunedì alla domenica 9-20,30

Curatori: Fabio D'Achille

Enti promotori:

  • MAD Museo d'Arte Diffusa

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 393 3242424

E-Mail info: eventi@madarte.it

Sito ufficiale: http://www.madarte.it



Ancora un appuntamento di arte al femminile per la rassegna MAD on Paper ospitata a La Feltrinelli (Via A. Diaz, 10 - Latina), nell’ambito di MAD Isola Culturale, progetto di riqualificazione artistica e di costruttiva gestione del tempo libero all’interno dell’Isola pedonale del centro storico del capoluogo pontino. 
Ad avvicendare Le Ipotesi di realtà di Daisy Triolo, sarà il vernissage de Le Visioni inconsce di Beatrice Federici (in arte Shandy), previsto per il 2 settembre dalle 19,00, a cura di Fabio D’Achille.
Due stili diversi eppure in qualche modo collegati dalla personale interpretazione ed espressione del mondo che ognuno ha dentro di sé, dall’eterna dicotomia tra realtà interiore ed esteriore, mai perentoria, assoluta, postulata. Il testo critico di Daniele Zerbinati costituisce un’ulteriore interpretazione imprescindibile per il pubblico:  

«L'arte non riproduce non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è»
(Paul Klee)

“Dove la figura osserva lo spirito, all’angolo tra esigenza e pace, dirimpetto alla macchina eccentrica di Madre Natura, capelli scuri, valigetta alla mano, non un pensiero fuori posto. Beatrice Federici, per gli amici semplicemente “Shandy”, ha la fresca bellezza di ventitré anni da dimostrare. 

Cariche di una sensibilità giovanile, le immagini prodotte da Shandy emergono con improvvisa nitidezza dal suo inconscio per opera e mediazione della spiritualità: in cammino verso il mondo orientale, a contatto con la profonda saggezza del Buddha e la sua parola, l’artista ha sondato uno stile di vita fortemente raccolto, riflessivo, sino a farne un punto di riferimento stabile insieme spiritualmente e artisticamente. Nella meditazione Beatrice e Shandy – l’una custodita nell’altra, sorvegliata dall’altra – percepiscono chiaramente delle forme. Dopo di che, è solo questione di tempo, prima che la rappresentazione intervenga per riflettere quel momento estatico di “risveglio” nelle fattezze fenomeniche dell’opera. 

A figurare i concetti lampati d’un tratto nella mistica pacatezza della ricerca saranno, successivamente, scene di assoluta staticità, ricercate e suggestive, sempre evanescenti, incastonate nel tormento implacabile dei motivi circoscrittivi che non poco devono all’impatto visivo delle fantasie tribali e ai tratti rarefatti dello Ukiyo-e; l’uso della penna a china, sinora l’unico strumento adoperato da Beatrice - un segno preciso, sottile e deciso - non può che affrettare il richiamo. Eppure, con la medesima urgenza si allontana da entrambi, sia per l’evidente inclinazione al contrasto cromatico, sia per l’adozione saltuaria di colori particolarmente accesi, sia per la scelta iconologica che costantemente ricade su figure e soggetti magnetici, a tratti persino ipnotici, caratterizzati da uno spiccato gusto per l’esoterico. Tre elementi caratteristici, questi, che ben si prestano a calare lo spettatore in una dimensione fortemente psichedelica. Un’ultima dote da raccontare, a proposito della giovane Shandy, è la cura del dettaglio esplicativo: Beatrice tende a lasciare intatta la possibilità interpretativa dello spettatore, senza però mancare mai di chiarificare le ragioni che hanno mosso lei e la sua mano in un determinato senso. Questo accade sotto forma di citazione, una per ciascuna tavola, da Gandhi a Paul Klee, da Paulo Coelho a Giordano Bruno, che l’artista suole apporre nella parte posteriore del foglio e conferma la già chiara mancanza di qualsiasi finalità produttiva. Tanto è intima l’esigenza di concretare il mosaico emozionale e cogitativo delle sue visioni - visioni inconsce – che qui, tra il foglio e la penna a china, si compie ed esaurisce lo scopo di ogni gesto creativo. Una sorta di ascesi contraria, pensieri da proferire, strappandoli alla nube dell’immaterialità per imprimerli nella fisicità grezza della carta”. (Daniele Zerbinati)

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