Sheela Gowda. Remains

© Sheela Gowda / Pérez Art Museum Miami / Ph. Oriol Tarridas | Sheela Gowda, And that is no lie, 2015. Veduta dell’installazione: Pérez Art Museum Miami, 2015–16

 

Dal 03 Aprile 2019 al 15 Settembre 2019

Milano

Luogo: Pirelli HangarBicocca

Indirizzo: via Chiese 2

Orari: da giovedi a domenica 10–22

Curatori: Nuria Enguita, Lucia Aspesi

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 02 6611 1573

E-Mail info: info@hangarbicocca.org

Sito ufficiale: http://www.hangarbicocca.org



Pirelli HangarBicocca presenta “Remains”, la prima grande mostra personale di Sheela Gowda in Italia. Il progetto espositivo rappresenta un’opportunità unica per scoprire nei monumentali spazi delle Navate vent’anni di lavoro di quest’artista di origine indiana che ha saputo fondere tecniche, forme, cromie e materiali sconfinando in un’espressività sia astratta che figurativa in linea con gli esiti e le ricerche internazionali.

Un’ampia selezione di opere realizzate dal 1996 a oggi, tra cui installazioni e sculture site-specific oltre a stampe e acquerelli, sarà esposta accanto a una nuova produzione realizzata appostimente per la mostra. Le opere di Sheela Gowda fanno parte delle collezioni delle più importanti istituzioni internazionali, fra cui Tate Modern, Londra; MoMA – The Museum of Modern Art, Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Walker Art Center, Minneapolis; Van Abbemuseum, Eindhoven e Kiran Nadar Museum, Nuova Delhi.

Da sempre Sheela Gowda (Bhadravati, Karnataka, India, 1957; vive e lavora a Bangalore) sviluppa la sua pratica attraverso un intenso dialogo e scambio tra le tradizioni artistiche locali e le forme d’arte internazionali. Negli anni Settanta studia pittura alla Ken School of Art di Bangalore, alla M.S. University di Baroda e alla Visva-Bharati University a Santiniketan, dove, all’epoca, l’impostazione accademica era rivolta alla tradizione modernista indiana e a una rilettura in chiave contemporanea dell’arte classica locale, con uno spiccato interesse per l’immaginario popolare oltre che per le tecniche artigianali.

Dopo l’esperienza al Royal College of Art di Londra, a metà degli anni Ottanta, Gowda ritorna in India. È in questo periodo che ha inizio nelle sue opere la transizione dallo spazio pittorico a quello tridimensionale, che ha portato l’artista al definitivo superamento della bidimensionalità del quadro. La nuova direzione della sua pratica risponde, da un lato, alla necessità di andare oltre la mera rappresentazione e di intervenire direttamente sullo spazio; dall’altro, alla volontà di coinvolgere attivamente l’osservatore nella fruizione dell’opera. L’approccio rivolto verso la spazializzazione dell’opera e il conseguente coinvolgimento attivo del visitatore, rappresentano inoltre una risposta ai cambiamenti che stavano attraversando la società indiana negli anni Ottanta e Novanta, in particolare in seguito all’ascesa dei conservatori e ai numerosi atti di violenza avvenuti nel paese.

Sheela Gowda affronta questi temi integrando gradualmente nelle sue opere nuovi materiali, e adottando una modalità operativa che combina un approccio delicato ed effimero con un’attenzione verso la dimensione più concreta del processo creativo. È il caso del letame, che diventa il medium principale con cui l’artista dipinge e scolpisce. Considerato sacro, questo materiale dai molteplici utilizzi, è molto comune in India, dove viene impiegato quotidianamente nelle zone rurali, nell’edilizia e come combustibile. La sua presenza all’interno dell’opera di Gowda è tutt’altro che “esotica”, ma piuttosto è espressione dell’ambiente culturale in cui l’artista lavora. Mortar Line (1996), composta da una doppia fila di mattoni di letame disposti a formare una linea curva, è una delle prime opere della produzione scultorea in cui l’artista sperimenta con questo materiale.

Dai primi anni Novanta Gowda incorpora nei suoi lavori anche altri oggetti e sostanze di uso quotidiano dal significato fortemente metaforico o politico, tra cui bidoni per il catrame, pigmenti, incenso, corde fatte di capelli, aghi, fili e gomma. Nel caso delle opere realizzate con capelli, per esempio, l’artista annoda i resti di questo materiale lasciati come offerta da migliaia di fedeli nei luoghi di pellegrinaggio, per creare intrecci e lunghe trame: un richiamo all’impiego rituale (il sacrificio per invocare una divinità), quotidiano (i talismani sui veicoli) ed economico (la vendita sul mercato mondiale) dei crini umani. Caratteristica della sua pratica è inoltre il processo creativo come parte dell’opera stessa ed espressione di un intenso lavoro. È il caso di And… (2007), installazione costituita da tre corde collocate nello spazio, ognuna realizzata assemblando 270 metri di filo rosso con aghi da cucito che Gowda ha impregnato con un impasto di colla e kumkum, pigmento utilizzato nei riti religiosi. Le corde sono sospese in verticale e si snodano lungo il pavimento. Opere come

Kagebangara (2008) e Darkroom (2006), ispirate ai ripari di fortuna degli operai itineranti che lavorano nei cantieri stradali in India, sono strutture architettoniche costruite con i bidoni in metallo usati per il trasporto del catrame. Aperti e appiattiti in lastre rettangolari, questi vengono utilizzati dall’artista come moduli dislocati nello spazio in Kagebangara e possono essere considerati un richiamo a dei tableaux o a dei dipinti modernisti. Fonte d’ispirazione di queste opere sono le tecniche manuali e artigianali che si sviluppano in contesti di sussistenza e privazione, creando un incessante dialogo fra lavoro e ingegnosità. Per l’artista, a determinare il movimento del pubblico nello spazio sono i volumi e le dimensioni delle strutture e degli oggetti esposti. Un esempio particolarmente evidente è costituito da Stopover (2012), installazione di 200 blocchi cubici di granito tradizionalmente utilizzati in India per macinare le spezie. L’artista li ha recuperati dalle strade di Bangalore, dove erano stati abbandonati, collocandoli successivamente nello spazio espositivo lungo un un reticolo tracciato sul pavimento.

“Remains” riunisce installazioni realizzate da Sheela Gowda in diversi periodi del suo percorso artistico e caratterizzate da materiali e dimensioni differenti, oltre a una selezione di opere figurative come Sanjaya Narrates (2014), serie di acquerelli su carta, tecnica utilizzata occasionalmente dall’artista negli ultimi anni.

Il progetto espositivo in Pirelli HangarBicocca sottolinea la poetica e il significato politico dell’opera di Gowda, la cui pratica scaturisce da uno sguardo ricettivo e approfondito sul mondo, e dalla consapevolezza del valore simbolico e comunicativo dei materiali, degli oggetti e degli scarti. La selezione delle opere in mostra rivela inoltre il costante lavoro dell’artista nella definizione della forma intesa come modalità di trasformazione dei significati. Come ha spiegato la stessa artista: «Un’opera è il risultato di una decisione, di una scelta. Se è vero che il mio lavoro nasce da contesti specifici, tuttavia la natura ultima di un’opera è modellata sulla base dell’astrazione; un’astrazione che non si limita a una scelta stilistica, ma il cui intento è comunicare significati e favorire molteplici letture».

Elemento centrale della sua pratica è inoltre la dimensione della liturgia, un rituale di trasformazione legato a un processo marcatamente performativo di manipolazione della materia e di confronto e relazione con questa. Attraverso la sua opera, Sheela Gowda ridefinisce il pathos in senso ampio, in un’indagine che ha a che fare con i sentimenti e l’affetto, la condizione relazionale tra gli oggetti, la loro raison d’être e la loro stessa natura: un “momento di incontro” che non va inteso come spazio temporale, ma come una forza capace di unire un insieme di circostanze.

La mostra è curata da Nuria Enguita, Direttrice di Bombas Gens Centre d’Art, Valencia, e Lucia Aspesi, Assistente curatore di Pirelli HangarBicocca.

Inaugurazione 3 aprile 2019 ore 19

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