Bruno Munari: aria | terra

© Bruno Munari

 

Dal 08 Aprile 2017 al 10 Gennaio 2018

Cittadella | Padova

Luogo: Palazzo Pretorio

Indirizzo: via Marconi 30

Orari: DAL MARTEDÌ AL VENERDÌ 9:00 – 12:30 / 15:00 – 19:00; SABATO E DOMENICA: 10:00 – 12:30 / 16:00 – 19:30

Curatori: Guido Bartorelli

Enti promotori:

  • Fondazione Palazzo Pretorio Onlus
  • Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova
  • Associazione Bruno Munari

Telefono per informazioni: +39 049 9413449

E-Mail info: info@fondazionepretorio.it

Sito ufficiale: http://www.fondazionepretorio.it



Dal 9 aprile al 5 novembre 2017Palazzo Pretorio ospita la mostra “Bruno Munari: aria | terra”, curata da Guido Bartorelli, che cura anche il relativo saggio/catalogo edito da Corraini (Mantova). L’esposizione è promossa dalla Fondazione Palazzo Pretorio Onlus, in collaborazione con il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova e l’Associazione Bruno Munari.

L’arte di Bruno Munari (Milano, 1907-1998) appare come un eccezionale complesso di pittura, scultura, sperimentazioni nelle tecniche più varie e innovative; e ancora grafica, design, editoria, fino a giungere a quella dedizione verso i laboratori per bambini in cui va riconosciuto un precoce superamento dell’opera d’arte chiusa a favore della fluente processualità del fare. Alla produzione pratica si aggiunge, inoltre, una produzione teorica altrettanto ricca e di rara lucidità.

In tutto ciò Munari ha saputo riflettere, fino a trarre conseguenze che suonano tutt’oggi radicali, sulle nuove responsabilità che l’avvento della società di massa affida agli artisti. Questi devono lasciarsi alle spalle le ambizioni individualistiche per mettere il proprio talento al servizio della collettività. L’utilizzo di metodologie oggettive e trasmissibili ha come obiettivo ultimo quello di porre chiunque nella condizione di comprendere i processi creativi e avvalersene in prima persona. Al proposito sono quanto mai attuali alcuni interrogativi posti da Munari quasi cinquant’anni fa: «L’arte, che un tempo era privilegio di pochi uomini sta diventando una espressione possibile a ciascuno di noi? Si sta riducendo positivamente la distanza tra l’artista e l’uomo normale?» (Artista e designer, 1971).

Palazzo Pretorio offre al pubblico un percorso originale sull’opera di Bruno Munari, che consente sia di apprezzarne i caratteri peculiari al cospetto dei capolavori, sia di fruire la mostra come occasione per apprendere attraverso il fare, secondo le intenzioni dichiarate dallo stesso artista. Munari si è sempre preoccupato che il suo lavoro fosse di stimolo al fare, in modo che il fruitore, opportunamente guidato, potesse penetrare le regole tecniche e creative, acquisendo nuove competenze di presupposto alla conquista della capacità di reinventare. Musei e mostre dovrebbero pertanto prevedere «dimostrazioni visive di tecniche d’arte» (Da cosa nasce cosa, 1981), ossia esemplificazioni di attività che consentano ai visitatori di testare nel concreto i procedimenti da cui sono scaturite le opere esposte.

È proprio quel che accade a Palazzo Pretorio, che alle stanze “contemplative” alterna stanze in cui ai visitatori è offerta l’opportunità di sperimentare varie attività. In una mostra su Munari le stanze del fare non vanno intese come un’appendice didattica ma bensì come parte integrante dell’opera, in quanto le attività sono opere vere e proprie progettate dall’artista. Munari mette in questione l’opera d’arte chiusa (unica, irripetibile, intangibile…) e sperimenta invece, con straordinario anticipo, quell’opera come processo che tanta parte avrà nelle tendenze successive. Processo, fluidità, relazione, interattività, sinergia con il fruitore sono i concetti chiave che la mostra a Palazzo Pretorio focalizza in quanto fondanti l’arte di Munari.

 “Bruno Munari: aria | terra”, intende così apportare un contributo significativo all’acquisizione storico-critica dell’eredità munariana, riconoscendola come manifestazione apripista di valori e obiettivi che animano tuttora la ricerca intorno alla ridefinizione del concetto di arte.

Nel dettaglio la mostra a Palazzo Pretorio individua nella ricerca di Bruno Munari una grande polarità: aria | terra

Aria

Il primo polo è posto all’insegna dell’aria, essendo costituito di leggerezza fisica e mentale, di piena disponibilità all’evoluzione spaziale e concettuale, di una disinvoltura tale da sembrare non richiedere sforzo, come se si desse in assenza di gravità; il tutto declinato con magnifica varietà di soluzioni. Alcune tra le più significative opere di Munari, accompagnate dai disegni progettuali, sono raggruppate in cinque nuclei tecnici e tematici, che corrispondono a cinque stanze espositive:

1. Immagini di luce proiettate su pareti prive di schermo, create disponendo in vetrini di diapositiva minuscoli pezzetti di vari materiali (piume, foglie, fili, ovatta…): Proiezioni dirette, anni Cinquanta.

2. Opere che nascono come visualizzazione di un calcolo mentale o di un teorema matematico: Concavo-Convesso, 1947-1949; Curve di Peano, 1974-1975.

3. Opere sospese che funzionano come “antenne”, pronte a reagire vibrando ai minimi movimenti dell’aria: serie delle Macchine inutili, anni Trenta e Quaranta.

4. Opere costruite su un reticolo di tensioni, strutture sottili che si protendono nello spazio e solleticano ampie porzioni di vuoto: lampada Falkland, 1964; serie Filipesi, dal 1981.

5. Film sperimentale Tempo nel tempo, 3 min. circa, 1964, con Marcello Piccardo (Studio di Monte Olimpino, cfr. www.monteolimpino.it), che utilizza la cinepresa cosiddetta “microscopio temporale” per dilatare a tre minuti la durata del volo di un atleta impegnato nel salto mortale.

6. Due veri e propri happening, ingiustamente poco ricordati, documentati rispettivamente da un film di Gianfranco Brebbia e una serie fotografica di Ugo Mulas; in essi l’aria, in quanto elemento fisico, agisce concretamente sulle forme geometriche con effetti tutti da scoprire: UFO, 1968; Aria (o Far vedere l’aria), 1969.

7. Due grandi realizzazioni, documentate per la prima volta nell’interezza della fase progettuale, estendono su scala urbana la sensibilità all’aria delle Macchine inutili: Stazione meteorologica, Rende (CS), 1979-1980; Giocattolo per il vento, Rossano (CS), progettata da Munari nel 1994-1995 e realizzata postuma nel 1999-2001 sotto la cura dell’architetto Fernando Miglietta.

Terra

Il secondo polo va intitolato alla terra: la leggerezza delle opere si traduce in fare, il carattere aereo e smaterializzato si congiunge con l’obiettivo di divulgare i risultati ben oltre l’ambito ristretto dell’arte, intesa come privilegio esclusivo, elitario, per riversarli nelle pratiche concrete della quotidianità. Il fine divulgativo fa scattare in Munari sia l’attività di designer al servizio dell’industria più illuminata, sia la progettazione esperienziale destinata a stimolare il pieno sviluppo della creatività di ciascuno.

Quattro stanze sono attrezzate a esemplificazione di attività destinate ai visitatori, bambini e adulti. Tali stanze del fare, curate dall’Associazione Bruno Munari, consentono ai visitatori di “fare per imparare”, in una dimensione che stimola la sorpresa e la gioia della scoperta.

1. La strada dei sassi. “Come sono questi sassi?” La domanda suscita nel visitatore itinerari di catalogazione, invita a trovare legami tra gli oggetti presentati, similitudini e differenze…

2. Lascia la tua impronta. Un materiale plasmabile invita i visitatori a lasciare una traccia, anche utilizzando gli oggetti che ha in tasca o materiali insoliti a disposizione, scelti per la piacevolezza e l’interesse dell’impronta che producono.

3. Il gioco del filo di lana blu. I bambini lasciano cadere casualmente un filo di lana sul piatto della fotocopiatrice, producendo “fotocopie originali” da osservare e con cui, magari, creare una storia.

4. Giochi di luce. Al buio, con pile di diversa resa, per scoprire gli effetti della proiezione della luce: da vicino, da lontano, filtrata, spezzata da piccoli oggetti.

La mostra è anche l’occasione per imprimere un nuovo impulso agli studi sull’artista, che porteranno nel giugno 2017 alla pubblicazione di un ampio saggio/catalogo edito da Corraini, che documenterà l’allestimento e le attività che si saranno svolte a Palazzo Pretorio, con il supporto storico-critico di approfondimenti che indagheranno l’opera di Munari dai punti di vista dell’arte, ma anche seguendone i versanti meno indagati, quale le sperimentazioni per il cinema, il teatro, la moda, la fotografia.

Il comitato scientifico della mostra e del catalogo è composto da docenti e collaboratori del Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Padova: Elisa Baldini, Guido Bartorelli, Giovanni Bianchi, Alberto Cibin, Alessandro Faccioli, Stefano Franzo, Cristina Grazioli, Mariana Méndez Gallardo, Alberto Munari, Silvana Sperati, Federica Stevanin, Giuseppe Virelli.

Bruno Munari nasce a Milano nel 1907 e trascorre la fanciullezza a Badia Polesine (RO), nei pressi dell’Adige, dove i genitori gestivano un albergo. Con la maggiore età, si stabilisce a Milano, dove aderisce presto al Futurismo ed espone in importanti mostre collettive (Galleria Pesaro nel 1927, 1929, 1931 e 1932; Biennale di Venezia nel 1930, 1934 e 1936; Quadriennale di Roma del 1935; Triennale di Milano nel 1936 e 1940). Nel 1930 realizza la Scultura aerea, cui seguirà l’importante serie di sculture sospese Macchine inutili (dal 1933 in poi). Dal 1930 sino al 1937 è associato con Riccardo Ricas nello studio grafico R+M. In questo periodo lavora per riviste (“La Lettura”, “Natura”, “Settebello”, “Grandi Firme”), libri (Il poema del vestito di latte di Filippo Tommaso Marinetti) e pubblicità (Campari). Nel 1942 pubblica il libro Le macchine di Munari (Einaudi). Dal 1939 al 1945 lavora come grafico per Mondadori ed è art-director della rivista “Tempo”. Nel 1945, sempre con Mondadori, comincia la lunga e fortunata serie di libri per bambini, stimolati dalla nascita, nel 1940, del figlio Alberto. Nel 1947 realizza Concavo-convesso, nuova scultura sospesa. Nel 1948 è tra i fondatori del MAC (Movimento Arte Concreta), assieme a Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati. A partire dal 1949 pubblica i Libri illeggibili. Nel 1951 presenta le prime Proiezioni dirette, vetrini di diapositive in cui sono inseriti frammenti di vari materiali ingigantiti dalla proiezione. Dal 1952 lavora nel campo del design industriale progettando giocattoli in gommapiuma (Gatto Meo e Scimmietta Zizì, Pirelli), quindi il Portacenere cubico (Danese, 1957), l’orologio Ora X (Danese, 1963), le lampade di maglia Falkland (Danese, 1964). Nel 1962 organizza la mostra collettiva itinerante Arte programmata, sostenuta dalla Olivetti, con testo critico di Umberto Eco (Milano, Venezia, Roma). Nei primi anni Sessanta disegna la veste grafica delle collane editoriali Einaudi. Nello stesso periodo, presso lo Studio di Monte Olimpino (CO), collabora con Marcello Piccardo alla realizzazione di film sperimentali, tra i quali Tempo nel tempo (1964). Nel 1970-1971 progetta la struttura Abitacolo (Robots). Nel 1974-1975 torna all’olio su tela con la serie Curve di Peano, basate su un teorema formulato nel 1890 dal matematico Giovanni Peano. Nel 1975 disegna il simbolo grafico della Regione Lombardia. Negli anni Settanta l’infanzia è sempre più al centro dei suoi interessi, il che lo porta a progettare numerosi laboratori didattici. Il primo di questi è realizzato nel 1977 per la Pinacoteca di Brera. Negli anni Ottanta prosegue a sperimentare con i materiali più vari, ad esempio nella serie Filipesi (dal 1981). I suoi saggi principali sono: Arte come mestiere (Laterza, 1966), Design e comunicazione visiva (Laterza, 1968), Artista e designer (Laterza, 1971), Codice ovvio (Einaudi, 1971), Fantasia (Laterza, 1977), Da cosa nasce cosa (Laterza, 1981). Nel 1995 riceve il premio “Compasso d’oro” alla carriera, dopo i numerosi assegnati a progetti specifici (a partire da quello del 1954 per la Scimmietta Zizì). Muore a Milano il 30 settembre 1998.

 Inaugurazione sabato 8 aprile h 18

 

 

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