BORROMINI E BERNINI. SFIDA ALLA PERFEZIONE

BORROMINI E BERNINI. SFIDA ALLA PERFEZIONE

 

Dal 15 Maggio 2023 al 17 Maggio 2023

Roma

Luogo: Cinema nazionali

Indirizzo: Sedi varie


BORROMINI E BERNINI. SFIDA ALLA PERFEZIONE è il racconto della rivoluzione architettonica di un genio solitario che cambia per sempre l’aspetto di Roma attraverso una sfida personale alle convenzioni e ai pregiudizi, con l’umiltà di apprendere dal passato per inventare il futuro, con il coraggio di portare avanti un’idea pagandone il prezzo fino in fondo. Lo stile di Borromini è riconoscibile, eccentrico, diverso: si distingue da quello dei contemporanei e trasuda un’austera autorità spirituale, con perenni allusioni che evocano l’infinito. Ma questa è anche la storia della rivalità artistica più famosa di sempre, quella tra Borromini (1599-1667) e Bernini (1598-1680) e soprattutto la storia della rivalità di Borromini con sé stesso: un genio talmente legato alla sua arte da trasformarla in un demone che lo divora dall’interno, fino a spingerlo a scegliere la morte, con un gesto drammatico, pur di toccare l’eternità.

FRANCESCO BORROMINI
 
Francesco Castelli non ha ancora vent’anni quando arriva a Roma a piedi da Milano, lasciando i genitori e il suo lavoro di umile scalpellino al Duomo per inseguire il sogno di lavorare nel cantiere più prestigioso del suo tempo, la Fabbrica di San Pietro. È il 1619, Roma è il centro dell’arte occidentale, ‘the place to be’ per ogni pittore, scultore, architetto che desideri la gloria e che consideri Michelangelo il suo maestro. Appena arrivato a Roma, Francesco va ad abitare nella grande casa dove lo ospita uno zio, che lavora come tagliapietre nella basilica vaticana. Grazie a lui, viene catapultato nel cuore pulsante della Fabbrica di San Pietro: lavora a testa bassa sugli stucchi e le decorazioni, copia a mano le modanature di Michelangelo per impararne i segreti; tutto è grandioso, intorno a lui, mentre comincia a scoprire le leggi nascoste dell’architettura. Dopo la morte improvvisa dello zio, caduto da un’impalcatura nel cantiere di San Pietro, Borromini rimane solo nella casa: un labirinto di stanze e finestre che affacciano sulla riva del Tevere, proprio di fronte alla grande cupola immaginata dal suo idolo, Michelangelo. La casa diventa il suo antro, simile a quello di un eremita, e comincia a riempirsi di libri di ogni disciplina e oggetti di ogni tipo, come una Wunderkammer. Grazie alla precisione nel taglio delle pietre e a un incredibile talento nel disegno, Borromini attira l’attenzione dell’Architetto capo di San Pietro, Carlo Maderno, che lo prende come suo assistente. Maderno diventa un secondo padre e l’uomo grazie al quale capisce che la sua vocazione è l’architettura. Ma intanto deve fare i conti con Roma, dove la sorte di un artista, architetti compresi, non dipende solo dal talento. Dipende dal Papa. Ogni nuovo Papa cerca di superare il predecessore in una gara di magnificenza e bellezza. Per chi sogna di farcela, l’elezione di un nuovo Pontefice è come una lotteria. Il Conclave riunito nella Cappella Sistina sceglie il nome di Urbano VIII Barberini e per Francesco non è il biglietto giusto. Urbano VIII ha già individuato il suo prediletto: si chiama Gian Lorenzo Bernini. Da questo momento, la carriera di Francesco è segnata dal confronto con Bernini e con la sua abilità di muoversi tra gli intrighi, le diplomazie e i riti della corte papale. Sotto la guida di Maderno, Borromini e Bernini devono lavorare affiancati nel grande progetto di Palazzo Barberini: emergono qui i primi indizi dell’arte di Borromini, come l’uso della diagonale in alcune finestre. Poi Carlo Maderno muore. Urbano VIII nomina Bernini, a soli 31 anni, Architetto di San Pietro e lo incarica della commissione più importante del momento: il Baldacchino di San Pietro. Francesco diventa ufficialmente il sottoposto di Bernini, che è privo di competenze nelle tecniche architettoniche e spesso chiede aiuto a Francesco. Così è lui ad aiutarlo a risolvere il problema della copertura del Baldacchino e a proporre un disegno originale ispirato alle forme sinuose dei delfini. Ma nessuno lo sa, tutti ammirano solo Bernini, che tiene per sé non solo il merito, ma anche i soldi: la sua paga è dieci volte quella di Francesco. Ma il ragazzo ormai è maturo ed è stufo di lavorare per la gloria altrui. Prende una decisione: si licenzia dalle dipendenze di Bernini per mettersi in proprio e realizzare i progetti che desidera. Francesco Castelli cambia il suo cognome e d’ora in poi si firma Borromini. Azzimato, con i baffi e il collare alla spagnola, il cappello sempre in testa, il mantello e le scarpe con i lacci fino alla caviglia, assomiglia a una vera e propria maschera. Per lui c’è la possibilità di rivolgersi alle più modeste commissioni delle nuove congregazioni e dei nuovi ordini religiosi contro-riformati, che a Roma hanno bisogno di chiese, conventi e oratori. Quello che conta davvero, per Borromini, è solo l’architettura, che sente nascere dal fondo della sua anima e dal suo sentimento dell’assoluto. Prende il suo primo incarico indipendente quasi senza compenso: la piccola chiesa e il convento dei Trinitari Scalzi di San Carlo alle Quattro Fontane (così piccolo che verrà chiamato San Carlino). Prima ancora che sulla collina del Quirinale, la chiesa di San Carlino prende forma via via nei modelli di cera rossa plasmati con le mani da Borromini, sul tavolo che tiene in camera da letto. Fa il disegno, poi il modello in cera come un demiurgo che plasma il suo personale frammento di universo, poi di nuovo il disegno più avanzato, infine comincia a montare il cantiere. San Carlino è figlio delle centinaia di conchiglie conservate nella casa di Borromini, delle stelle marine, delle venature osservate sulle chiocciole o sulle sfere di pietra custodite in quelle stanze. È una rivoluzione nella storia dell’architettura che va oltre il Barocco: lo spazio vuoto diventa un elemento da plasmare, le forme sono tutte curve e dentro è nascosto un ‘teorema architettonico’ basato sul simbolo del triangolo e ‘trucchi’ di costruzione che non sono visibili in modo naturale. I visitatori, inizialmente storditi, sono misteriosamente attratti, avvolti nel guscio di una conchiglia. Borromini ha lanciato la sua sfida. Comincia a suscitare perplessità, qualche volta irritazione negli ambienti artistici e aristocratici romani. Le particolarità che caratterizzano le sue prime opere incuriosiscono e colpiscono ma a molti, compreso Bernini, fanno storcere il naso. Accusato di non rispettare le regole classiche ereditate dal Rinascimento, Borromini è invece il primo a nutrirsi della genialità e dell’ispirazione architettonica nascosta dentro le vestigia del mondo greco-romano che circondano Roma e sulle quali proprio il Rinascimento si era fondato. Il nuovo incarico che si presenta a Borromini, stavolta nella parte bassa e oscura della città, è l’Oratorio di San Filippo Neri. In un dedalo di viuzze, nel fango formato dall’acqua che trabocca dai pozzi, scorrazzano a piedi nudi i figli delle prostitute che lavorano nel quartiere, gli orfani di padre e spesso anche di madre. I Filippini vogliono una ‘casa’ che sorga lì, che sia un’isola di luce nel buio dei vicoli, dove quei ragazzini possono essere sfamati e istruiti e possono ascoltare la musica. È il cristianesimo del cuore, quello che piace a Borromini. Il suo uso innovativo delle linee curve gli fa concepire un edificio con le braccia aperte, in anticipo di quasi trent’anni sulle ‘braccia aperte’ del Colonnato di San Pietro, progettato da Bernini. Un nuovo conclave, una nuova lotteria arriva adesso a stabilire le sorti della storia dell’arte. Il nome è quello di Innocenzo X Pamphili, nemico dei Barberini e quindi anche di Bernini. Stavolta, forse, è il biglietto giusto per Borromini. Il Papa è favorevole a Borromini. Gli assegna la più importante commissione pubblica della sua vita ma lo mette anche di fronte alla sfida architettonica più difficile della sua carriera: la delicata ristrutturazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, in occasione del Giubileo del 1650. Per Borromini è un sogno che si realizza, ma non esita a sfidare lo stesso Papa per affermare le sue idee. Un rinnovamento tormentato, dove viene versato anche il sangue di un uomo scoperto a vandalizzare i restauri durante la notte e picchiato a morte dagli operai di Borromini, che viene punito dal Papa ma poi graziato per portare a termine i lavori. È anche il Borromini che non teme di sfidare Bernini, denunciando direttamente al Papa il difetto di stabilità dei campanili progettati da Bernini per San Pietro, ottenendo la demolizione del campanile già costruito, che col suo peso aveva provocato una crepa pericolosa nella facciata della Basilica. Ma Bernini si vendica, soffiando a Borromini, grazie a un sotterfugio, la commissione della Fontana dei Fiumi di piazza Navona.  Nel giro di un paio d’anni, Borromini completa il restauro di San Giovanni in tempo per il Giubileo e finalmente può mostrare al mondo anche il suo personale capolavoro, destinato a diventare la sua opera più celebre e monumento simbolo del Barocco. La Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza. L’architetto è all’apice del suo successo e del decennio d’oro nel quale diventa l’architetto più importante di Roma. Ma la ruota gira di nuovo, Innocenzo X muore e un altro conclave si prepara a decidere la sorte dell’arte. Il Conclave sceglie Alessandro VII Chigi, un papa toscano e classicista che non è più disposto a proteggere Borromini: lungo 11 anni di pontificato incontra Bernini circa 400 volte e Borromini solo 25. La sventura è annunciata da una terribile pestilenza che per un anno si abbatte su Roma, provoca la quarantena degli abitanti fermando tutte le attività, compresi i cantieri di Borromini, e da una crepa che si apre sotto Sant’Ivo. Ma la colpa di quella crepa è dello stop del cantiere, non dei calcoli di Borromini. Quella che si avvia a inghiottire Borromini è una spirale, fatta di incarichi perduti e licenziamenti, delazioni, derisioni, accuse false. Comincia a manifestare i primi segni di crisi nervose e depressive, e quella che i suoi contemporanei chiamavano ‘melanconia’, o ‘ipocondria’. Nessuno lo difenderà più dagli altri, ai quali appare diverso, anormale, un outsider chiuso dentro la sua maschera. I nervi cedono, l’insonnia si fa invincibile e anche l’angoscia per il destino dei tanti progetti visionari rimasti sulla carta o abbozzati nella cera: nessuno dovrà vederli più, nessuno dovrà impossessarsene. Così, perde la speranza di raggiungere con l’architettura la sua idea di verità: chiuso nella casa sul fiume, brucia in un falò i progetti immaginati. L’unico progetto che adesso può portare a termine lo trova nelle pagine di Seneca: la libertà di poter scegliere la morte, se la vita si fa insopportabile. Tormentato dall’insonnia, in un impeto d’ira scatenata dal servitore che non gli porta il lume con cui vorrebbe restare alzato a leggere e disegnare, si getta su una delle sue spade, dopo averla legata a un bordo del letto: si ferisce mortalmente, ma lascia incompiuto anche il suo suicidio. Lungo una giornata di agonia, ha il tempo di ricevere i sacramenti per non commettere sacrilegio e di descrivere con estrema lucidità tutti i particolari di quella notte in cui cerca, ancora una volta, di far coincidere gli opposti: costrizione e libertà, paganesimo e cristianesimo, finito e infinito, luce e buio. Lo muove la convinzione, scritta nero su bianco, che lui appartenga a quegli artisti disprezzati dai contemporanei, che solo il futuro potrà ammirare; la certezza che il frutto delle sue fatiche sarà compreso solo tardi, dopo la sua morte. Quasi tutte le sue opere sono incompiute, tranne le parti verticali, che realizza sempre per prime e con le quali ha cambiato per sempre il profilo di Roma: le cupole, le lanterne e i campanili che puntano verso il cielo, che cercano la luce, in una specie di tensione verso l’assoluto. 
 
Al viaggio visivo danno voce e pensiero le rievocazioni in chiave contemporanea, con gli attori Jacopo Olmo Antinori, Pierangelo Menci e Antonio Lanni, e gli interventi degli esperti coinvolti nel film.

LE OPERE, I LUOGHI 
 
·      Palazzo Barberini (Maderno; Bernini; Borromini)
·      Baldacchino di San Pietro (Bernini; Borromini)
·      San Carlo alle Quattro Fontane (Borromini)
·      Sant’Andrea al Quirinale (Bernini) 
·      Villa Adriana (Tivoli, RM)
·      Oratorio di San Filippo Neri (Borromini)
·      Basilica di San Giovanni in Laterano (Borromini)
·      Fontana dei Quattro Fiumi di Piazza Navona (Bernini) 
·      Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza (Borromini) 
·      Colonnato della Basilica di San Pietro in Vaticano (Bernini)
·      Villa-giardino di Paolo Portoghesi (Calcata, VR)
·      Tomba di Borromini in San Giovanni Battista dei Fiorentini

SU BORROMINI

Waldemar Januszczak: “Per trecento anni nessuno lo ha capito. Tutti si sono dimenticati di lui quando, invece, avrebbero dovuto ricordarsene ogni giorno”.
 
Giuseppe Bonaccorso: “Le architetture di Borromini hanno la vita, questo lo senti toccandole. La mia passione per Borromini era quella di toccare le sue architetture, era qualcosa di tattile. Godevano di una vita interiore”.
 
Aindrea Emelife: “Farsi commissionare un lavoro dal Papa, per un artista, era come esporre oggi le proprie opere al MoMA, o alla Tate Modern. Era il traguardo massimo e per raggiungerlo gli artisti erano pronti a scontrarsi”.
 
Jeffrey Blanchard: “I due sono quasi coetanei. Uno è un ragazzo prodigio e un genio; l’altro è più lento, ma comunque un genio. È interessante come la genialità si sviluppi a ritmi diversi”.
 
Daria Borghese: “Bernini è proprio un pesce che nuota nelle acque dei giochi politici del potere della Roma del ‘600, sono acque spesso torbide. Francesco Borromini è chiuso e scontroso ha difficoltà di comunicazione con tutti. Vive praticamente nel suo mondo”.

PaoloPortoghesi: “Quello che ci insegna Borromini è cercare di andare al di là del tempo per collocare la propria fantasia al di là di ogni limite pensabile. Ecco, secondo me la modernità di Borromini sta proprio nel fatto che ci sono alcune sue idee che ancora non sono state sviluppate, che sono ancora provocazioni che entrano dentro di noi, che sconvolgono in un certo senso la nostra idea di architettura e creano il problema di riuscire a seguire questa strada di cui Borromini indica la direzione”.

GLI INTERVENTI

WALDEMAR JANUSZCZAK
Critico d’arte e scrittore, appassionato di Borromini, narratore di luoghi e opere nelle quali si immerge e fa immergere lo spettatore. Autore e conduttore di importanti e celebri programmi di divulgazione d’arte.
 
PAOLO PORTOGHESI
Architetto, accademico e teorico dell'architettura italiano, esponente della corrente del Postmodernismo. Massimo esperto di Borromini e del barocco romano. Si considera un allievo di Borromini e suo “alter ego”.
 
JEFFREY BLANCHARD
Professore alla Cornell University di Roma, è un esperto storico dell’architettura rinascimentale e barocca; Roma e la sua storia artistica e architettonica costituiscono il suo principale campo di studi e d’interessi.
 
GIUSEPPE BONACCORSO
Ha condotto studi e ricerche specialistiche con pubblicazioni internazionali sull’abitazione di Francesco Borromini a Roma, sulle figure antropomorfe e simboliche e su alcuni lavori meno noti e conosciuti di Borromini, sul tema dello spionaggio di progetti artistici. È inoltre autore di uno studio molto aggiornato e ancora inedito su una ricostruzione del suicidio di Borromini. 
 
AINDREA EMELIFE
Curatrice e critica d’arte contemporanea, basata a Londra, è in grado di tessere un filo tra il sistema contemporaneo dell’arte e quello della Roma barocca, con particolare attenzione alla figura dell’artista e al rapporto tra “tormento” e “creatività”. 
 
DARIA BORGHESE
Professoressa di Storia dell’arte medievale e moderna alla American University di Roma, erede della prestigiosa famiglia che ha dato i natali a Papa Paolo V Borghese, è esperta di Gian Lorenzo Bernini.
 
GIOVANNI TROILO
 
Regista e fotografo, Giovanni Troilo si muove tra i mondi della televisione, del cinema e dell’editoria. I suoi lavori fotografici sono stati pubblicati su Newsweek, Der Spiegel, Repubblica, GQ, CNN, Wired, Wallpaper.
Nel 2011 ha diretto Fan Pio, il suo primo lungometraggio e pubblicato in Germania il suo primo libro, Apulien, premiato agli International Photography Awards. Tra il 2012 e il 2015 ha diretto per Sky Arte dieci documentari sui più importanti fotografi italiani. Nel 2015, con il progetto fotografico La Ville Noire - The Dark Heart of Europe, è stato premiato al Sony World Photography Awards.  Nel 2016 ha diretto Casanova Undressed per Sky Arts Production Hub. Nello stesso anno William Kentridge – Triumphs and Laments, film documentario sul grande artista sudafricano, è stato selezionato alla Festa del Cinema di Roma e il documentario Coeurope (Rai - Arte/Zdf), ambientato in Belgio, è entrato in concorso all’IDFA. Tra il 2017 e il 2018 ha diretto Mistery of the Lost Paintings, una serie di 7 documentari realizzati sempre per Sky Arts Production Hub. I due film documentari Le ninfee di Monet (2018) e Frida Viva la Vida (2019), entrambi prodotti da Nexo Digital e Ballandi, sono stati distribuiti al cinema in Italia e in oltre 40 paesi nel resto mondo. Nel 2022 sono usciti due nuovi progetti sviluppati nel corso degli ultimi anni: Vesuvio, un documentario ambientato a Napoli che indaga sulla relazione uomo-vulcano prodotto da Dazzle e distribuito al cinema da iWonder, e Power of Rome, film documentario sulla Roma imperiale con Edoardo Leo prodotto da IIF, Vision Distribution e Sky. In questo momento è al lavoro su una nuova serie di documentari per Sky e sul suo secondo lungometraggio, ambientato in Belgio. Dal 2021 è docente di regia alla NABA e da sette anni è direttore artistico di PhEST, festival internazionale di arti visive a Monopoli. Giovanni Troilo è nato a Putignano nel 1977 ed è laureato in Economia.
 
COLONNA SONORA ORIGINALE
 
La colonna sonora originale, scritta diretta ed eseguita da Remo Anzovino, uscirà in autunno su etichetta Nexo Digital / distribuzione Believe, nella collana Nexo Soundtracks. 
 


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