Ombre di Guerra

© © Henri Bureau/Sygma | L’incendio dei pozzi petroliferi. Abadan, Iran, 1980

 

Dal 14 Dicembre 2011 al 05 Febbraio 2012

Roma

Luogo: Museo dell’Ara Pacis

Indirizzo: Lungotevere in Augusta

Orari: da martedì a domenica ore 9 – 19

Curatori: Alessandra Mauro, Denis Curti

Enti promotori:

  • Contrasto
  • Roma Capitale
  • Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico
  • Sovraintendenza ai Beni Culturali

Costo del biglietto: Intero 9,00 €; Ridotto 7.00 €

Telefono per informazioni: 060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)

Sito ufficiale: http://www.arapacis.it, www.060608.it


Il soldato che stringe il fucile, traumatizzato dalle bombe in Vietnam, nello scatto di Don McCullin; la veglia funebre in Kosovo di Merillon; la bandiera americana piantata su Iwo Jima nella Seconda Guerra Mondiale; il miliziano ripreso da Robert Capa colpito a morte nella guerra civile spagnola, le fosse comuni della Bosnia nelle foto di Gilles Press, la guerra nel Libano di Paolo Pellegrin. Sono solo alcune delle immagini della mostra Ombre di guerra ospitata al Museo dell’Ara Pacis dal 14 dicembre 2011 al 5 febbraio 2012, vere icone del nostro tempo che raccontano, una dopo l’altra, le guerre più recenti, dalla Spagna del 1936 al Libano del 2007: settanta anni di storia dell’iconografia del dolore. Novanta grandi immagini di altrettanti grandi fotografi; ognuna di loro è una proposta per meditare sul senso della nostra tradizione visiva e sociale, sul significato e la follia di una pratica insensata e dolorosa come la guerra.
 
La mostra propone una serie di icone della fotografia per offrire al pubblico una meditazione ragionata sul significato e il potere simbolico delle immagini. Un percorso visivo doloroso, capace però di stimolare reazioni e richiamare l’attenzione sulla follia della guerra.
Ombre di guerra è un progetto Contrasto che nasce su proposta dalla Fondazione Veronesi nell’ambito delle iniziative legate alla terza Conferenza internazionale Science for Peace (Milano, 18-19 novembre 2011), oggi alla sua terza edizione, e che si propone come obiettivi la diffusione di una cultura di pace e la progressiva riduzione degli ordigni nucleari e delle spese militari a favore di maggiori investimenti in ricerca e sviluppo.
La mostra è promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, con la cura di Alessandra Mauro e Denis Curti per Contrasto.
I Servizi Museali sono di Zètema Progetto Cultura.
 
“Queste fotografie vogliono essere un invito alla riflessione e poi al dibattito su come dire basta alla violenza. Per questo la mostra fa parte delle iniziative promosse da Science for Peace, il progetto che ho voluto creare per promuovere la cultura della non violenza e della tolleranza” afferma il Prof. Umberto Veronesi.
 
Alessandra Mauro e Denis Curti, che hanno selezionato le immagini, scrivono: “Abbiamo scelto un gruppo significativo di 90 fotografie per mettere in mostra il dramma della guerra e offrire una lettura critica a partire proprio dalle immagini che hanno costruito, nel tempo, una vera e propria estetica della guerra.
Gli scatti sono presi ad esempio per il valore simbolico acquisito negli anni e vengono riproposti oggi con una chiave che mira ad aumentare il grado di consapevolezza dell’osservatore. Ogni immagine è accompagnata da un testo che racconta la storia stessa dell’immagine, ne ricostruisce il contesto e ne enfatizza il valore simbolico acquisito negli anni.
Davanti a fotografie che mostrano il dolore, la sofferenza e l’orrore della guerra, alcuni critici scambiano l’urgenza di raccontare e di creare consapevolezza con pornografia visiva, indifferenza o ipocrisia. Come se la disponibilità e l’abbondanza d’immagini orribili anestetizzassero chi le guarda, rispetto all’orrore. Queste accuse verso la fotografia documentaria, in realtà, rivelano qualcosa di semplice e al tempo stesso pericoloso: un desiderio di non guardare il mondo.
La forza dei fotografi di guerra, invece, risiede proprio nel fatto che non si girano dall’altra parte – al contrario, si impegnano nel mostrare situazioni che devono essere corrette. Il senso del loro lavoro si rintraccia nella necessità di partecipazione diretta alle vicende che raccontano (come Robert Capa, che sosteneva che “se le tue foto non sono abbastanza buone, vuol dire che non sei abbastanza vicino”), nella volontà di andare in fondo a un fatto giornalistico, nella scelta consapevole di scattare, di mostrare, di raccontare, di denunciare.”
 
La fotografia di guerra diventa così un modo per parlare consapevolmente di civiltà attraverso la sua negazione. Mostrandoci un mondo inospitale, i fotografi ci costringono a immaginare come potrebbe essere un mondo migliore, o per lo meno un mondo meno peggiore e le fotografie rappresentano un punto di partenza per una riflessione di tipo etico.
Come ha scritto Cornell Capa: “le immagini, al loro massimo di passione e verità, possiedono lo stesso potere delle parole. Se non possono apportare cambiamenti possono, almeno, fornire uno specchio non distorto delle azioni umane e quindi dare una forma alla consapevolezza umana e risvegliare le coscienze”.

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