Repertory
Dal 07 Novembre 2013 al 12 Gennaio 2014
Torino
Luogo: Palazzo Cavour
Indirizzo: via Camillo Benso Conte di Cavour 8
Orari: da mercoledì a venerdì 15-19; sabato e domenica 10-18
Curatori: Gary Carrion-Murayari
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 011 4429523/ 335 54 55 539
E-Mail info: daniela.matteu@fondazionetorinomusei.it
Sito ufficiale: http://www.palazzocavour.it
Repertory è una grande mostra collettiva che riunisce quindici importanti artisti internazionali ponendoli in relazione con la straordinaria architettura barocca di Palazzo Cavour, storico palazzo nel centro di Torino.
La mostra, a cura di Gary Carrion-Murayari, deve il suo titolo al famoso film Repertory di Ian Breakwell del 1973. Si tratta di un film sorprendentemente complesso della durata di 9 minuti. Le sue inquadrature semplici e i cauti movimenti di camera condividono il linguaggio del film strutturalista, ma la sua sceneggiatura suggerisce un’intenzione descrittiva estesa, nella quale la relazione tra gli oggetti e il loro potenziale performativo è messo in evidenza e trasformato. Il film ritrae l’esterno di un teatro di Londra “chiuso a chiave e vuoto”. La telecamera si muove lentamente sulla superficie dell’edificio in un percorso di ripresa fisso e orizzontale, catturando le pareti esterne, le finestre sbarrate, e le uscite chiuse a chiave del teatro, così come i pedoni che di tanto in tanto passano davanti alla telecamera in una macchia indefinita. Durante il film allo spettatore non è mai consentito l’accesso allo spazio interno del teatro – al contrario egli dipende completamente dal narratore scelto da Breakwell per descrivere i dettagli fisici dello spazio riservato agli spettacoli e le possibili situazioni teatrali che esso racchiude.
Il progetto espositivo si divide tra scultura, pittura, fotografia, film e installazioni di artisti storici, quali Ericka Beckmann, Heidi Bucher, David Haxton, Andreas Schulze e di artisti più giovani come Steven Claydon, Isabelle Cornaro, Elad Lassry, Christian Mayer, Arthur Ou, Karthik Pandian, Carmelle Safdie, Erin Shirreff, Sue Tompkins, Andra Ursuta e Andro Wekua.
Con approcci formali diversissimi, tutti gli artisti in mostra condividono un interesse a catturare “ciò che rimane” del corpo fisico, dello spazio architettonico, degli oggetti personali, e a tradurre attraverso le tecniche più disparate le loro storie sociali e personali – storie che apriranno un dialogo unico e inaspettato con Palazzo Cavour e con la struttura, la decorazione e la storia politica e culturale di cui il palazzo è impregnato.
Le opere in mostra incarnano il diverso potenziale degli oggetti e delle superfici che il film di Breakwell descrive. In questo modo, essi esistono come il loro proprio repertorio – una sequenza di proposizioni disposte in maniera lineare attraverso un unico spazio architettonico. Il potenziale è quello delle opere d’arte di assorbire una varietà di storie, ricordi, e idee sulla propria superficie, senza riguardo al fatto che prendano la forma di sculture, dipinti o fotografie. Con l’eccezione dell’artista scozzese Sue Tompkins, le cui performance e testi attivano lo spazio attraverso una riformulazione radicale dei percorsi visivi e ritmici, la maggior parte degli artisti della mostra utilizza un unico linguaggio per costruire il proprio potenziale narrativo. E mentre alcuni artisti, come Steven Claydon, Andra Ursuta e Andro Wekua creano le loro sculture surreali, pervase di memoria psicologica e politica, altri suggeriscono drammatici mondi immaginari nello spazio a due dimensioni della pittura e della fotografia. Ogni artista esposto intraprende una forma di traduzione e trasposizione per accrescere il significato delle sue opere oltre le loro immediate proprietà materiali.
Con il suo stile essenziale e la sua rigida struttura dominante, Repertory rappresenta molto bene il nostro tempo. E come Breakwell, tutti gli artisti di questa mostra mettono in movimento una serie di azioni nelle quali gli oggetti agiscono e interagiscono, e producono nuovi significati.
La mostra, a cura di Gary Carrion-Murayari, deve il suo titolo al famoso film Repertory di Ian Breakwell del 1973. Si tratta di un film sorprendentemente complesso della durata di 9 minuti. Le sue inquadrature semplici e i cauti movimenti di camera condividono il linguaggio del film strutturalista, ma la sua sceneggiatura suggerisce un’intenzione descrittiva estesa, nella quale la relazione tra gli oggetti e il loro potenziale performativo è messo in evidenza e trasformato. Il film ritrae l’esterno di un teatro di Londra “chiuso a chiave e vuoto”. La telecamera si muove lentamente sulla superficie dell’edificio in un percorso di ripresa fisso e orizzontale, catturando le pareti esterne, le finestre sbarrate, e le uscite chiuse a chiave del teatro, così come i pedoni che di tanto in tanto passano davanti alla telecamera in una macchia indefinita. Durante il film allo spettatore non è mai consentito l’accesso allo spazio interno del teatro – al contrario egli dipende completamente dal narratore scelto da Breakwell per descrivere i dettagli fisici dello spazio riservato agli spettacoli e le possibili situazioni teatrali che esso racchiude.
Il progetto espositivo si divide tra scultura, pittura, fotografia, film e installazioni di artisti storici, quali Ericka Beckmann, Heidi Bucher, David Haxton, Andreas Schulze e di artisti più giovani come Steven Claydon, Isabelle Cornaro, Elad Lassry, Christian Mayer, Arthur Ou, Karthik Pandian, Carmelle Safdie, Erin Shirreff, Sue Tompkins, Andra Ursuta e Andro Wekua.
Con approcci formali diversissimi, tutti gli artisti in mostra condividono un interesse a catturare “ciò che rimane” del corpo fisico, dello spazio architettonico, degli oggetti personali, e a tradurre attraverso le tecniche più disparate le loro storie sociali e personali – storie che apriranno un dialogo unico e inaspettato con Palazzo Cavour e con la struttura, la decorazione e la storia politica e culturale di cui il palazzo è impregnato.
Le opere in mostra incarnano il diverso potenziale degli oggetti e delle superfici che il film di Breakwell descrive. In questo modo, essi esistono come il loro proprio repertorio – una sequenza di proposizioni disposte in maniera lineare attraverso un unico spazio architettonico. Il potenziale è quello delle opere d’arte di assorbire una varietà di storie, ricordi, e idee sulla propria superficie, senza riguardo al fatto che prendano la forma di sculture, dipinti o fotografie. Con l’eccezione dell’artista scozzese Sue Tompkins, le cui performance e testi attivano lo spazio attraverso una riformulazione radicale dei percorsi visivi e ritmici, la maggior parte degli artisti della mostra utilizza un unico linguaggio per costruire il proprio potenziale narrativo. E mentre alcuni artisti, come Steven Claydon, Andra Ursuta e Andro Wekua creano le loro sculture surreali, pervase di memoria psicologica e politica, altri suggeriscono drammatici mondi immaginari nello spazio a due dimensioni della pittura e della fotografia. Ogni artista esposto intraprende una forma di traduzione e trasposizione per accrescere il significato delle sue opere oltre le loro immediate proprietà materiali.
Con il suo stile essenziale e la sua rigida struttura dominante, Repertory rappresenta molto bene il nostro tempo. E come Breakwell, tutti gli artisti di questa mostra mettono in movimento una serie di azioni nelle quali gli oggetti agiscono e interagiscono, e producono nuovi significati.
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