Dentro gli Archivi. La fotografia nelle collezioni pubbliche e private

Gianni Saracchi, Corbetta in bianco e nero

 

Dal 08 Febbraio 2015 al 01 Marzo 2015

Castellanza | Varese

Luogo: Villa Pomini

Indirizzo: via Don Luigi Testori 14

Orari: ven-sab 15-19, dom 10-12 / 15-19

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 0331 777472

E-Mail info: afi.foto.it@gmail.com

Sito ufficiale: http://www.archiviofotografico.org


L’Archivio Fotografico Italiano, inaugura il nuovo anno con una rassegna dedicata agli Archivi privati e pubblici Italiani di particolare interesse, che ripercorrono storie, costumi e aspetti sociali del recente passato, sia in ambito nazionale che territoriale. Un progetto culturale che rientra integralmente nella filosofia dell’Afi, che ha tra gli obiettivi proprio la scoperta di archivi, ma anche di autori, spesso celati o poco noti, da far conoscere e diffondere mediante mostre e pubblicazioni. 

Il progetto prevede l’esposizione di quattro mostre, scelte per la qualità e l’originalità delle immagini e dei contenuti, come di seguito presentate: 

STORIE DI CRONACA VERA dal 1969 ad oggi 
L'Italia minore vista attraverso l'archivio fotografico del più popolare fra i settimanali illustrati  

"Cronaca Vera" è una rivista settimanale italiana specializzata in resoconto di costume e di cronaca nera destinati ad un pubblico popolare. È stata fondata dall'imprenditore Sergio Garassini, già editore del mensile erotico "Kent", che nel 1969 ne affidò la direzione a Antonio Perria (caporedattore di "ABC" ed ex inviato di cronaca nera de "L'Unità", oltre che affermato autore di gialli). Il progetto grafico della nuova rivista venne realizzato dall'illustratore Maurizio Bovarini. L'intento di Garassini fu quello di creare un settimanale di taglio popolare, quanto più possibile vicino ai propri lettori (di cui spesso racconta le vicende private) e a basso costo (la carta utilizzata per stampare il settimanale è di bassa qualità). L'idea riscontra un grande successo, tanto che a metà degli anni settanta Cronaca Vera riuscì a vendere sino a 600.000 copie a numero. 
La rivista si caratterizza per un taglio editoriale sensazionalistico; gli articoli sono scritti in un linguaggio semplice e discorsivo. Caso pressoché unico nel panorama giornalistico italiano, la rivista ha mantenuto pressoché invariato il proprio layout, costituito da numerose fotografie in bianco e nero e da grandi titoli di forte impatto in carattere maiuscolo. Nella rivista è inoltre quasi completamente assente la pubblicità. La rivista ospita numerose rubriche che invitano i lettori a prendere la parola su svariate questioni ("I vostri problemi", "Un avvocato al vostro servizio", "Una mano tesa", "Dottore mi dica", "I misteri del sesso", "Il mondo dell'inconscio", ecc.). Recentemente è stata inaugurata una pagina dedicata alla narrativa noir, "Il Racconto Giallo/Nero", che ospita racconti brevi di autori noti e meno noti. Altra particolarità di "Cronaca Vera" è che in oltre 45 di storia ha avuto due soli direttori: Antonio Perria (dal 1969 al 1996) e Giuseppe Biselli (dal maggio 1996 ad oggi). 

GLI OCCHI E IL SOLE
Immagini del mondo di Nazareno Fabbretti 
Francescano, scrittore, giornalista, disobbediente, fotografo 

La mostra delle immagini realizzate da Nazareno Fabbretti (1920-1997), in ogni parte del mondo, non è una semplice esposizione fotografica di luoghi, persone e ambienti quanto, invece, una rappresentazione, a livello planetario, della pluralità delle culture, delle religioni e delle etnie. E’ dunque oltre l’immagine che Fabbretti intende focalizzare l’attenzione dell’osservatore: le foto delle strade dell’India, delle mura della Terrasanta, delle architetture orientali o, infine, quelle della natura, colta nella sua varietà stagionale, non sono soltanto tra le migliori realizzazioni fotografiche di Fabbretti, ma una vera e propria esaltazione della totalità del Creato e, dunque, della vita, in ogni sua manifestazione. 

In altre parole non è unicamente l’aspetto estetico delle sue fotografie a dover essere valutato quanto, piuttosto, il loro significato in rapporto alla condizione umana che in quelle immagini mostrano o richiamano. In definitiva il messaggio rappresentato dall’opera fotografica di Nazareno Fabbretti al pari, del resto, alla sua esemplare esperienza, è una sorta di invocazione per un nuovo dialogo interreligioso e interculturale. Una prospettiva che lo stesso Balducci motivò come una necessità imposta dalla analisi della realtà attuale e della evidenza storica nel suo saggio. L’uomo planetario, nel quale sottolineava tra l’altro, come la stessa identità europea dovesse essere rappresentata dal rispetto e della valorizzazione della pluralità piuttosto che dalla preoccupazione della costituzione di un’identità. (A. Cecconi) 

CORBETTA IN BIANCO E NERO 
Immagini di Gianni Saracchi 

Ricordi in bianco e nero, la nostra storia attraverso le immagini di Gianni Saracchi, è un tributo a un fotografo si è distinto nel panorama fotografico nazionale, lavorando nel proprio territorio ma con un linguaggio di grande intensità espressiva, passando dal territorio alla storia locale, dai matrimoni, ai ritratti nelle scuole, alla vita sociale, alle feste popolari, al lavoro, con grande eleganza formale. 

Un vero e proprio testamento fotografico che documenta le fasi storiche di Corbetta, una città in provincia di Milano Tutte le fotografie esposte, infatti, sono liberamente tratte dallo sterminato archivio Saracchi, di proprietà del comune di Corbetta. 
Gianni Saracchi, studente universitario di farmacia, abbandonò lo studio per dedicarsi fin da ragazzo al suo hobby per la fotografia. Il 19 marzo del ’52 aprirà il suo studio a Corbetta che cederà solo nel 1994 dopo oltre 40 anni d’attività. Saracchi con la sua macchina fotografica immortalerà momenti importanti della vita pubblica corbettese: commemorazioni religiose, manifestazioni sportive, politiche, l’industria e la moda, ma anche fatti privati. Dunque, immagini preziose anche nella misura in cui certificano un’evoluzione negli usi e costumi di una comunità. Dalle prime, moltissime, color seppia, a quelle più recenti documentano di una Corbetta che da paese rurale ha assunto sempre più la fisionomia di città. Il passaggio dall’agricoltura dei campi all’epoca dell’industria. L’archivio Saracchi vanta numeri davvero importanti: 260 mila negativi, 6.300 positivi, 2.300 diapositive, oltre a materiale audiovisivo, bibliografico, riproduzioni e cartoline d’epoca. Dal 1996 l’archivio è di proprietà comunale ed è gestito dall’Associazione che porta il suo nome. 

GUIDO GIANNINI 
LAVORO, SOCIETA’ E MERIDIONE 

Formato per la stampa Stampa 1. Morte ai preti. In lettere grandi e nere, qualcuno si è divertito a segnarlo proprio lì, sul muro, dove ogni giorno si fa vedere il monaco che legge il suo breviario, senza staccare gli occhi dalle preghiere, tutto nero, pure lui, mantello e copricapo. Guido Giannini, in una mattina come le altre, attraversa Napoli e si trova in quell’attimo davanti al muro: mentre il prete cammina, legge e prega, e non si accorge neanche della scritta: morte ai preti. Nessuno di noi due trattiene una risata, mentre guardiamo la foto, scattata nel 1980, raccolta in Letture, recente pubblicazione della casa editrice beneventana “Edizioni Il Chiostro”. Qui Giannini ha raccolto foto scattate soprattutto tra gli anni ’70 e ’80, soprattutto a Napoli, in cui compaiono lettori e lettrici di tutte le età, intellettuali, bambini, operai con i loro libri e giornali, al sole, su una panchina, in treno, su un albero o su un marciapiede. Colpisce come il fotografo sia riuscito a trasmetterci l’interesse, l’intimità, l’immaginazione che, immersi tra le pagine di un libro o di un giornale, sembrano provare tutti i soggetti ripresi. Persone che raramente si trovano in una biblioteca, nel proprio studio, perché il libro sta fuori: sulle bancarelle del centro storico, su un carretto ambulante, a terra, in vendita nelle piazze. E le riviste lo stesso, le leggi seduto in riva al mare oppure a una manifestazione, o al tavolino del caffè. Non stupisce il fatto che i rumori della città non disturbino affatto il lettore, piuttosto impressiona quanto sia evidente che venti o trenta anni fa il momento della lettura e dell’informazione era vissuto con più valore. A Guido, che ormai, dopo aver sfogliato queste foto, chiamo per nome, viene spesso chiesto come sia stato possibile non far mettere in posa i suoi soggetti e qui, indispettito e per metà lusingato, risponde anche a me: «So che c’è chi ritiene che le foto non andrebbero mai rubate, ma non sono d’accordo per vari motivi. Generalmente, quindi, non chiedo a qualcuno di posare, faccio il “ladro”». 

2. Un altro libro, Sopravvivenza sopravvivenze. Questo è il primo libro di Guido Giannini, pubblicato da La Casa Usher, nel 1986 a Firenze, con una bellissima introduzione di Wladimiro Settimelli. Ci sono le foto della Violinista, comparsa per la prima volta su “Il Mondo” di Pannunzio, di uomini e donne che vivono agli angoli delle strade, come l’invalida che si addormenta sulle sue stampelle, mentre dietro di lei giganteggia la propaganda elettorale: manifesti del Pci, dei socialisti, del Movimento sociale si sovrappongono sulle mura usurate della città, più misera dopo il terremoto del 1980. In quegli anni Guido andava fotografando il patrimonio architettonico interessato dal sisma e partecipava alla mostra itinerante internazionale e al volume Campania oltre il terremoto, pubblicato dalla regione Campania nel 1982. Erano anche gli anni in cui la città incominciava a riempirsi di manifesti e pubblicità, come ancora di più sarà negli anni ’90: Guido, che predilige la fotografia in bianco e nero, lavorando anche per “Qui Touring”, con richieste di foto necessariamente a colori, prese l’abitudine di consumare i rollini “colorati” puntando l’obiettivo su particolari di quei manifesti. Il risultato è stato un notevole esperimento artistico reso pubblico solo l’anno scorso, nella personale “Manifest-azione. Scatti a colori di Guido Giannini”, tenutasi ad Aversa, poi a Napoli. Durante gli anni ’90, Guido ha continuato a lavorare per diverse testate giornalistiche tra cui “Il Manifesto”, “Il Mattino”, “La Repubblica”, “Liberazione”, “Libertà”, “L’Unità” e ha pubblicato i libri Immagini allo specchio, Luoghi d’autore, Il manifesto Venti foto. La sua carriera sembrerebbe quella di un fotoreporter che nella vita non ha fatto altro che dedicarsi all’obiettivo, ma il racconto dei suoi lavori, la lontananza dalla macchina fotografica mostreranno quanto “irregolare” essa sia, pur di mantenersi libera da compromessi e svilimenti. «Sono partito da ragazzo, scattando foto con una Kodak a soffietto Agfa 6X9, che a quei tempi, quando si chiudeva, sembrava un portapenne. Fui vicino al Gruppo ’58, che mi invitò a pubblicare una mia foto su “Documento Sud”. Poi ci fu la collaborazione con “Il Mondo”, l’unico giornale che pubblicava foto considerandole come un testo scritto, delle opere a sé stanti. Ho cominciato per hobby e non ho mai fatto in modo che la fotografia fosse per me un lavoro a tempo pieno. Ho fatto piuttosto l’impiegato in un’agenzia di pegni, aperto un negozio di giocattoli ecologici, ho lavorato come guardia notturna, ho svolto lavori nel campo dell’editoria e tipografia. Ci sono stati anni in cui non ho fotografato affatto...». Mai mi parla invece di indecisioni in politica. Guido è anarchico, militante dalla fine degli anni ’50: «Quando cominciavo ad abbracciare le idee anarchiche, a Napoli non incontravo altri compagni e così presi contatti col gruppo di Torre Del Greco, dopodiché cominciai a diffondere stampa anarchica a Napoli. Così incontrai Gigi Fedele e fu lui il primo compagno anarchico che ebbi in città». 

3. Il racconto di questi anni fatto da Guido è la Storia che mi manca, che manca a quelli della mia generazione, nata trent’anni dopo quelle vicende. Ascoltarlo è un bisogno; narra della notte in cui la polizia con un mandato lo perquisì per sospetto di materiale esplosivo e lo costrinse a recarsi a piazza Dante, alla sede del movimento per ulteriori controlli: durante il giorno c’era stata la strage di piazza Fontana. L’ultima foto che Guido mi mostra è a colori ma con un manifesto di morte: i compagni ricordano Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico “suicidato” il 15 dicembre del ’69 dagli zelanti funzionari della questura di Milano. Sfoglio ancora i libri, le cartoline che mi mette davanti delle sue mostre, personali e collettive, l’ultima sui Rom, a Napoli. Non devo chiamarlo artista, perché si arrabbia: vuole essere chiamato fotografo. Un fotografo di ottanta anni, che non smetterà di stupirci, con le sue denunce e con l’eleganza sobria e discreta delle sue immagini. 
(Anna Smeragliuolo Perrotta) 

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