Prospettiva Post-Avanguardia

Prospettiva Post-Avanguardia, Palazzo Zenobio, Venezia

 

Dal 01 Ottobre 2012 al 24 Ottobre 2012

Venezia

Luogo: Palazzo Zenobio

Indirizzo: Fondamenta del Soccorso, Dorsoduro 2596

Orari: da martedì a domenica 11-18

Curatori: Valentina Carrera, Barbara Vincenzi, Virgilio Patarini, Alessandro Baito

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 041 5228770

E-Mail info: eventi@collegioarmeno.com

Sito ufficiale: http://www.collegioarmeno.com


Continua con crescente successo di pubblico e di critica la Rassegna Prospettiva Post-Avanguardia a Venezia. 

Domenica 30 settembre, alle ore 11 si inaugura il quinto ciclo di mostre, presso Palazzo Zenobio (2 collettive tematiche e 4 personali).

Queste le mostre del quinto ciclo: 

VISIONI IN BIANCO E NERO, PENSIERI A COLORI 

A cura di Valentina Carrera e Barbara Vincenzi 

Fotografie, quadri, sculture e installazioni di Alfredo Anceschi, Simone Ascari, Santina Bonfanti, Fiorenzo Bordin, Ivano Boselli, Francesco Bosso, Roberto Bovi, Hans Burger, Lorenzo Bracaglia, Stefania Capobianco, Valentina Carrera, Carlo Chiapponi, Enza De Paolis, Sara Elter, Michele Fattori, Fabrizio Ficca, Patricia Glauser, Matteo Guariso, Mauro Kronstadiano Fiore, Alexander Jakhnagiev, Elettra La Marca, Melissa Nucci, Emiliano Zucchini 

IL DOMINIO DELLA CARNE 
A cura di Barbara Vincenzi 

Opere di Salvatore Balice, Roberta Barbieri, Katerina Bodrunova, Tiziana Burgess, Olga Cabezas, Benedetta Faucci, Alvaro Enrique Gòmez Barreto, Lena Lafaki, Fabio Lari, Marie Malherbe, Federica Nalin, Nino Ninotti, Cristina Parravicini, Angelo Petrucci, Daniele Zaggia 

Andrea Boldrini-Paolo facchinetti: Le ragioni del cuore 
A cura di Virgilio Patarini 

Giuseppe Orsenigo: La vita che vorrei 
A cura di Virgilio Patarini 

Maurizio Molteni: Destruens/Construens 
A cura di Virgilio Patarini 

Valentina Carrera: Symbols (Padiglione Islanda) 
A cura di Alessandro Baito 

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Note critiche di presentazione 

VISIONI IN BIANCO E NERO, PENSIERI A COLORI. 

La percezione della realtà che ci circonda viene influenzata da una serie infinita di fattori che vanno dalla cultura personale fino allo stato d'animo del momento. È in questo gioco di deformazione parziale del mondo che si inserisce la riflessione di questa mostra, che evidenzia gli elementi costitutivi della percezione, come possono definirsi il Bianco e il Nero, per poi arrivare all'esplosione caleidoscopica di mille colori. Le rocce di Ivano Boselli e le radiografie di Melissa Nucci, con il loro sguardo quasi dentro la materia, sono il nucleo essenziale da cui poi si snodano le strade della pittura e della fotografia, composte da sguardi severi o intimamente coinvolti, condotte da forze gentili oppure violentemente brutali, comunque visionarie perché indicano o suggeriscono o criticano un certo modo di mettersi in relazione con il mondo. Una parte fondamentale del percorso che viene presentato a Palazzo Zenobio è quella composta da lavori che riflettono su loro stessi, sulla natura dell'Arte e sul modo in cui si entra in relazione con essa. Gli scatti di Fiorenzo Bordin e Hans Burger sottolineano questo processo di trasformazione, in cui l'opera d'arte prende forma sia dalla sua collocazione in un determinato spazio espositivo, sia dalla disposizione del corpo e dell'anima del fruitore. Il percorso ci conduce non solo alla fine della vita terrena, nella riflessione sulla morte e sulla colorata vita che si può trovare nei cimiteri messicani di Sara Elter, bensì anche, più in alto, verso una dimensione spirituale, come le linee essenziali della Carrera, gli specchi deformanti della De Paolis, le concrezioni emotive della Anceschi, su fino alla rappresentazione dello spirito stesso della natura con Santina Bonfanti. Una considerazione particolare per le fotografie di Fabrizio Ficca, rappresentanti il mondo della musica. Il loro bianco e nero è quello del silenzio della percezione visiva quando si è concentrati nell'ascolto, ma indirettamente si viene proiettati in un mondo tutto immaginario di colori reali ed emotivi, intessuto dalle righe danzanti del pentagramma solleticanti lo strato più profondo della nostra fantasia, della nostra anima. Ciò che può rimanere alla fine di questo piccolo viaggio all'interno della percezione è un rinnovato amore per il mondo e per le capacità umane di dargli sempre nuove interpretazioni, di conferirgli sempre nuove forme, di utilizzarlo come mezzo per giungere all'essenza estetica e spirituale della Vita. 

Alessandro Baito 

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IL DOMINIO DELLA CARNE 

Tema fra i più affascinanti e complessi della storia dell'arte, specchio quanto mai fedele delle metamorfosi del gusto, fin dalle origini della civiltà occidentale il Nudo ha seguito di pari passo la storia delle idee, e in particolare ogni possibile evoluzione e variazione della concezione dell'uomo, del corpo e delle sue passioni. Se senza dubbio la rappresentazione della figura nuda ha posto in primo luogo il problema della verosimiglianza, è anche vero che ha costituito per secoli (e costituisce tuttora) l'oggetto scatenante delle pulsioni più diverse. Insomma, è sempre stato un materiale incandescente'' per gli artisti che l'hanno affrontato; può essere stato legato ai fenomeni della società, oppure aver avuto un ruolo accademico, di speculazione scientifica, d’ispirazione mitologica e/o, più o meno velatamente o ipocritamente, libertino e sensuale. Corpo che ha cercato l’armonia nei greci, che è stato ritenuto debolezza dello spirito nel Medioevo; nudo che si è prestato per accattivanti scene erotiche a Pompei, e ancora uomo al centro dell’universo nel Rinascimento. Figura che è stata via via meno idealizzata da Gericault e dal realismo di Courbet e che durante le avanguardie è stato, smembrato, allungato, dissacrato per poi ritrovare un equilibrio con il Ritorno all’Ordine, e poi ancora soggetto di molteplici sperimentazioni da parte degli artisti in tutto il ‘900. Ancora oggi il nudo e la figura sono uno dei soggetti principalmente trattati nell’arte, che subisce varianti, esposto a polemiche. Con questa mostra si vuole mostrare dopo le Avanguardie storiche e nel 21° secolo come viene trattato questo scottante tema, sempre attuale. 

Barbara Vincenzi 

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Le ragioni del sentimento 

Andrea Boldrini 

Quelli presentati in questa occasione sono tele che ci mostrano “spazi pittorici” ma anche, al tempo stesso, luoghi d’elezione, condensati d’emozione che si aprono alla vista dello spettatore, alla sua fruizione, alla sua disponibilità di ricezione saturi di un colore denso, scuro, un colore che talvolta si schiude inaspettatamente alla luce abbagliante del bianco o alla tenerezza di tinte lievi, sfumate, di colori pastello. Sono spazi carichi di attese, di energia rappresa, trattenuta, in cui si gioca l’eterna partita tra l’istinto e la riflessione, tra la ragione e il sentimento. C’è la forza del gesto che si esprime attraverso pennellate decise, evidenti, segni neri che scavano la tela. Ma poi c’è un’incessante ricerca di equilibri, in un gioco di pesi e contrappesi. E velature tese ad ttenuare, ammorbidire o al contrario a scavare più a fondo. E colature che lasciano “spazio” anche al caso, anche se magari solo in parte. Sono paesaggi? Forse sì. Talvolta questi spazi sembrano alludere, evocare paesaggi. Oppure si tratta di una somiglianza solo superficiale, solo apparente, con paesaggi della natura. Di certo sono invece paesaggi dell’anima. 

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Paolo Facchinetti 

Da sempre la pittura di Facchinetti oscilla vertiginosamente tra una figurazione sottilmente raffinata e un’astrazione informale energica e gestuale, tra vaghi richiami a Francis Bacon o a Giacometti e consapevoli riferimenti a Franz Kline, Emilio Vedova, Hans Hartung. Senza che mai i due fronti si confondano. Senza che mai i due universi paralleli si incontrino. [...] L’ombra è un panno morbido che avvolge. La luce un graffio che fa male. Ma tra le due presenze il contrasto è insanabile. Sì, sono due presenze, poiché l’ombra in Facchinetti non è assenza di luce, ma presenza immanente, imprescindibile, incombente. Forse, addirittura, è la luce ad essere assenza di ombra, mancanza, negazione. [...] adesso il rigore estremo di queste opere mette a nudo brutalmente gli schemi, e al tempo stesso li rende anche più prepotentemente efficaci. E come possiamo chiamare il conflitto irrisolto tra luce ed ombra, tra essere e divenire, tra carezza e graffio, tra orizzontalità e verticalità, se non col nome antico e dimenticato di “tragedia”? 

Virgilio Patarini 

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Giuseppe Orsenigo: La vita che vorrei 

Quello di Orsenigo è un viaggio nell’inconscio, costellato di desideri e speranze, di esperienze di vita e di realtà solamente sognate, di riflessi di mondo e di echi di ciò che vi si trova oltre; un viaggio ricco di battaglie, spesso aspre e difficili, combattute tra ciò che è “in sé” e ciò che è “altro da sé”. Un viaggio al quale Orsenigo, con la suggestiva elaborazione delle sue opere, ci chiama a partecipare, giocando a riconoscere ciò che di esse ci coinvolge e ci definisce, ponendoci di fronte ai nostri stessi desideri ed alla misura dei nostri sogni. 

Da abilissimo artigiano, da “maestro del fare e del comporre”, ha attinto dai molteplici strumenti tecnici e pittorici in suo possesso per raccontarsi e raccontare questo suo viaggio attraverso i luoghi dei sogni e dell’inconscio, in una suggestiva danza tra figura ed astrazione, tra materia e pittura, tra disegno e oggetto, tra profondità pittorica e volume reale. Le sue opere infatti si esprimono per mezzo di una multiforme varietà di materiali e di tecniche sovrapposti che si contaminano, cancellandosi e ridefinendosi, contrapponendosi e mescolandosi, in un perpetuo moto di generazione e trasformazione, di occultamento e rivelazione. Dal legno al vetro, dal metallo alla pittura, dal collage alla tela, i materiali del sogno prendono forma invadendo ed eludendo lo spazio reale con le trasparenze del vetro e dei colori, con le estroflessioni delle lastre di metallo, con le incisioni delle superfici lignee e dei solchi nella pittura. Composizioni che, sebbene frutto di violenti contrasti tra ragione e sentimento, ritrovano armonia ed eleganza nel proporsi e disporsi nella loro forma compiuta, rivelando al di là del conflitto interiore che le ha generate, una profonda e viva speranza, testimonianza della bellezza che si cela in chi, incurante di ciò che potrà incontrarvi, ha percorso queste difficili vie alla ricerca di sé. Così come recita la frase riportata da un anonimo su un’edizione del trattato alchemico Currus Triumphalis Antimonii: “Chi sa non può, chi vuol non ha, e chi né vuol né sa, tutt’ha e può” con accanto la nota "Vero proverbio per chi non è chimico sofista ma vero". 

Davide Corsetti 

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Maurizio Molteni: Destruens/Construens 

Un percorso attraverso i solchi della memoria di un artista che attinge dalla sua formazione per creare nuove suggestioni e sensazioni visive. Molteni si forma nel mondo della moda e del tessile ed è qui che le trame del tessuto intrecciate, la contaminazione fra materiali differenti e gli influssi del modificarsi del gusto di ogni tempo, lasciano le loro tracce. 
Tracce che rappresentano il tema cardine della produzione di Molteni. Nelle ultime opere l'artista ripercorre i sentieri di una memoria legata al territorio che l'ha visto crescere e alle sue suggestioni. Una pittura che, attraverso gesso, cemento, sabbia e colore, diventa paesaggio, richiamo ad una ruralità perduta, ma anche ad un caos legato alle sensazioni ataviche dell'uomo e delle sue origini. Le tele di Molteni sembrano catapultarci in un mondo a volte onirico, a volte primordiale con segni ed iconografie quasi primitive, legate al mondo dell'incisione e delle pitture rupestri. Mondi in cui appaiono alcune figure che, spaesate e sole, anime abbandonate, si ritrovano a non sapere come uscire da quel mondo, anime che forse in quel mondo amerebbero restare. 
Una mostra fatta di riflessioni sulla materia, sulle sue possibili combinazioni sul piano bidimensionale della tela e che, in alcune tele il papier collé richiama le contaminazioni e l'ingresso brutale e pieno di irriverenza della realtà nell'arte dei primi del Novecento. 

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Valentina Carrera: Symbols 

Seguendo la definizione di Jung, per cui "la macchina psicologica, che trasforma l'energia, è il simbolo", il lavoro della Carrera consiste nell'utilizzare o creare una serie di simboli, tratto comune tra l'altro a molta arte contemporanea, rendendo evidente ciò che normalmente non lo è. 

All'interno della sua produzione ci sono tematiche costanti, riprese in declinazioni sempre nuove: dall'amore alla morte, dal rispetto per la vita alla passione per la poesia, dal calore della Natura alla disperazione per ogni forma di meschinità. 

Ogni opera sta per un'emozione oppure un'idea, ma contemporaneamente rimanda ad un universo complesso di relazioni tra sé e le altre opere. 

Il percorso indicato da San Paolo "per visibilia ad invisibilia" arriva al suo traguardo finale, grazie al fatto che la materia, completamente sublimata dall'arte informale della Carrera, non rimane per questo persa in un magma indifferenziato. Il merito delle sue opere infatti è quello di essere in grado di segnalare e mostrare sempre un cuore pulsante, spesso appunto un simbolo, capace di magnetizzare e metabolizzare le energie cromatiche intorno a sé, per poi veicolarle verso l'esterno e quindi instaurare un silenzioso dialogo con l'osservatore. 

È così che il simbolico, notoriamente contrapposto all'esistenziale, con questo si riconcilia. (... ) 

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