Rashid Rana e Shilpa Gupta. My East is your West
Dal 06 Maggio 2015 al 01 Ottobre 2015
Venezia
Luogo: Palazzo Benzon
Indirizzo: San Marco 3917
Orari: da martedì a domenica 10-18
Curatori: Feroze Gujral, Gujral Foundation, Natasha Ginwala, Martina Mazzotta
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 328 3073233
E-Mail info: venice@art-events.it
Sito ufficiale: http://www.biennale.org
My East is your West,evento collaterale alla 56. Esposizione Internazionale d’Arte – la Biennale di Venezia, realizzato dalla Gujral Foundation e dalla Fondazione Mazzotta - Partner in Italia, è curata da Feroze Gujral con Natasha Ginwala e Martina Mazzotta.
La mostra è il compendio del lavoro svolto negli ultimi anni da Shilpa Gupta (Mumbai - India) e Rashid Rana (Lahore - Pakistan); un percorso che crea una forte connessione con l’espressività, la cultura e la società sud orientale. Per la prima volta India e Pakistan sono uniti e coinvolti all’interno della Biennale, con l’obiettivo di reindirizzare il complesso clima di rapporti storici dei due paesi attraverso una cartografia culturale comune ridisegnata dai due artisti.
Nelle sale di Palazzo Benzon spiccano video-installazioni anche interattive, video, disegni, installazioni, opere digitali, fotografie e performance continuative.
RASHID RANA con “Transpositions” (2013-2015) propone un set immersivo, dove le strutture architettoniche si combinano con video, opere digitali, installazioni e performance.
Introduce al percorso l'opera “War Within II” che rivela la predilezione dell’artista per il neoclassicismo e per il linguaggio legato alla poetica del pixel, istituendo una dialettica tra micro e macro, tra particolare e tutto. Il riferimento all'opera di Jacques-Louis David “Il giuramento degli Orazi” (1784), che raffigura una fratellanza rotta con il sangue, per Rana diventa, tramite l’elaborazione fotografica, metafora della frattura fra India e Pakistan. Frattura caratterizzata da prolungati e cruenti conflitti, avvenuta con la secessione del ’47 e con la nascita dello stato indipendente del Bangladesh nel ’71, che prima di allora era il Pakistan orientale.
Nella sala successiva una video installazione interattiva approfondisce il tema del doppio, i concetti di locazione e dislocazione, di percezione personale e collettiva, leitmotiv della poetica di Rana, resa attraverso la ripresa del visitatore, che viene proiettato in leggera differita su un grande schermo a parete. Tali riferimenti ritornano nella sala seguente, dove si entra in connessione diretta audio e video con gli abitanti di Lahore (Pakistan). L’artista infatti, molto attento alla resa degli spazi e delle quinte architettoniche, ricrea a Lahore la medesima sala di Palazzo Benzon, dando vita a una situazione di specularità architettonica, sul cui sfondo i protagonisti di questa performance “continua” sono le persone che dialogano dai capi opposti del mondo.
Proseguendo il percorso si ammirano due grandi schermi che riproducono in chiave personalizzata ed estremamente attuale il famoso quadro di Caravaggio “Giuditta e Oloferne” (1599). Rana attraverso innumerevoli e piccolivideo, che simboleggiano i pixel, restituisce i tratti e le tonalità del celebre dipinto. I filmati, provenienti da tutto il mondo, sono il risultato di una ricerca iconografica fatta su youtube e presentano situazioni di conflitto e violenza. L’osservazione ravvicinata rivolta ai piccoli frames, si alterna alla visione d’insieme, che riporta all’opera cinquecentesca.
Nello schermo di fronte è proiettato un video che mostra lo stesso lavoro dell’artista, incorniciato da una struttura che riproduce la sala di Palazzo Benzon e collocato prima della mostra in una strada di Lahore e consente di osservare l’originale e personale interazione dei passanti appartenenti a una cultura differente, con l’opera stessa.
All’interno della sala che conclude il percorso delle opere di Rashid Rana, grandi pannelli riproducono i particolari architettonici del Palazzo, realizzati con la stampa di grandi pixel rettangolari.
Una tenda nera introduce nell’area espositiva dedicata alle serie di opere, intitolate Untitled, di SHILPAGUPTA, che dal 2011 al 2015 si è immersa nella società che vive al confine tra Bangladesh e India, nei pressi della barriera che divide i due territori, luogo di costanti flussi migratori e conflitti. Nel ’71, infatti, a seguito della costituzione del Bangladesh, hanno inizio migrazioni di migliaia di persone verso il Bengala e Calcutta a fronte delle quali il governo indiano costruisce una lunghissima barriera di 40 km, che l’artista rappresenta nella sua totalità all’interno di un dipinto, dove i fari che la illuminano tracciano una linea puntiforme visibile dall’universo.
Gupta, attraverso la narrazione di quanto avviene nei territori di confine, sottolinea le difficoltà dovute all'estrema povertà che conduce a costanti migrazioni e al traffico illecito di materiali preziosi. Ne sono esempio il sari bianco ridotto a una sottile e lunga striscia di tessuto, avvolto a un lungo fuso al fine di essere ricreato dopo il trasporto; un piccolo pezzo d’oro da nascondere sotto le vesti, la ceramica cinese spezzettata che può essere reimpiegata e utilizzata come merce di scambio.
Di forte impatto è il colletto di una divisa che lascia intravedere al suo interno parte di una camicia a quadri, allusiva dell’umanità individuale nascosta e soffocata dell’uniforme istituzionale con mostrine, propria delle guardie di sorveglianza.
L’artista, riproduce l’incombenza del muro con disegni su carta “automatismi” realizzati di notte al buio dormendo vicino alla frontiera. In mostra sono descritti gli elementi ambientali caratteristici del luogo: la fitta e omogenea nebbia racchiusa in una teca, le fotografie del terreno umido e paludoso, ma anche verdeggiante del Bangladesh.
Spicca su una parete la foto segnaletica con il volto di un uomo coperto da un rettangolo di terra, in riferimento a quanto può avvenire quando la polizia riceve dai congiunti le foto di persone disperse.
Su una lastra metallica sono incisi alcuni strumenti utilizzati per oltrepassare la barriera come una zattera di bambù con rotelle, un piede di porco, un cric d’automobile. Passando alla sala successiva, si viene abbagliati da un grande faro, uno dei tanti situati al confine nel tentativo di fermare quanti vogliono attraversarla.
Il percorso procede con l’esposizione di opere su cartarealizzate con la colla “Phensedyl”, diffusa in India e illegale in Bangladesh per il suo carattere allucinogeno; una grande installazione formata da un grande tavolo con numerose buste chiuse contenenti documenti tritati, simboleggia il sistema utilizzato per oltrepassare la frontiera per poi ricomporre i fogli scritti. Un video dal titolo “Will it be alright if we win?” riprende le gambe dei giocatori di una partita di calcio; non tutti hanno le scarpe, in quanto si tratta di militari addetti alla sorveglianza della barriera e degli uomini che vivono nelle adiacenze: parentesi ricreativa di un’umanità precaria.
Nell’ultima stanza si è accolti da una coinvolgente performance “continuativa”, che rimanda alla tradizione della tessitura del cotone di Phulia, una città situata tra India e Bangladesh. Una striscia di tessuto lunga 4 km percorre l’ambiente, appoggiata su un tavolo dove il performer traccia dei segni tramite la carta copiativa per rappresentare le linee del confine.
Shilpa Gupta (1976) vive e lavora a Mumbai, in India, dove dal 1992 al 1997 ha studiato scultura al Sir J.J. School of Fine Arts. Le sue opere utilizzano video interattivi, siti web, oggetti, fotografie, suoni e performance per indagare tematiche quali il desiderio, la religione, il concetto di sicurezza e di confine.
Mostre personali dell’artista si sono svolte in Asia, Europa e Stati Uniti. In particolare, di recente, presso: Kunstnernes Hus, Oslo; MO Mucsarnok Kunsthalle, Budapest; MAAP Space, Brisbane; Arnolfini, Bristol; OK Center for Contemporary Art, Linz. Gupta ha partecipato alla Triennale Younger than Jesus, New Museum, New York; Lyon Biennale, curata da Hou Hanru; Biennale di Gwangju, diretta da Okwui Enwezor e curata da Ranjit Hoskote; Triennale di Yokohama, curata da Hans Ulrich Obrist, Biennale di Liverpool, curata da Gerardo Mosquera; più di recente: Dhaka Art Summit, curata da Diana Campbell-Betancourt, Biennale di Sharjah, curata da Yuko Hasegawa, 8° Berlin Biennale for contemporary Art, curata da Juan Gaitan e con la partecipazione nel team artistico di Natasha Ginwala. Dal 2002 al 2006, Gupta ha co-promosso Aar Paar, un progetto di scambio di arte pubblica tra India e Pakistan, insieme con l’artista di Lahore Huma Mulji. I suoi lavori sono stati esposti in musei e istituzioni internazionali tra cui Tate Modern, Londra; Serpentine Gallery, Londra; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Daimler Chrysler Contemporary, Berlino; Mori Museum, Tokyo; Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Chicago Cultural Center; Louisiana Museum, Humlebæk; Devi Art Foundation, New Delhi.
Rashid Rana (1968) è nato a Lahore, in Pakistan, dove vive e lavora. Ha studiato pittura al National College of Arts di Lahore e al Massachussets College of Fine Arts di Boston. E’ fondatore di facoltà e preside del dipartimento di Fine Art presso la Beaconhouse National University di Lahore. Le sue recenti personali includono una grande retrospettiva dei suoi lavori di metà carriera, intitolata Labyrinth of Reflections, presso il Mohatta Palace Museum di Karachi (2013), alcune mostre presso la Cornerhouse di Manchester (2011) e presso il Museo Guimet di Parigi (2010). Ha partecipato a grandi mostre collettive quali: Dhaka Art Summit (2014), Biennale di Kiev (2012); Fotomuseum Winterthur, Whitechapel Gallery e Saatchi Gallery, Londra (2010); Asia Society, New York (2009); 5° Asia Pacific Triennale, Queensland Gallery of Art, Brisbane (2006); Biennale di Singapore (2006).
Natasha Ginwala (India 1985,) è una curatrice indipendente, ricercatrice e scrittrice. È consigliere curatoriale e curatrice dei Programmi Pubblici per il progetto della Fondazione Gujral, My East is Your West, presso la 56ª Biennale di Venezia (2015), ed è stata membro del gruppo artisti all'8ª Biennale di Berlino per l'Arte Contemporanea (2014). I suoi lavori recenti includono il progetto curatoriale in più parti, ancora in corso, Landings, presentato al Centro per l'Arte Contemporanea Witte de With, alla Fondazione per l'Arte David Roberts, al NGBK di Berlino, al Museo Stedelijk di Amsterdam e presso altre organizzazioni associate, dal 2013 fino ad oggi, (con Vivian Ziherl), e a 'Il Museo del Ritmo' della Biennale di Taipei 2012 (con Anselm Franke). Ginwala ha partecipato al Programma Curatoriale de Appel, Amsterdam, e ha insegnato all'Istituto Sandberg e all'Accademia Gerrit Rietveld. Ha contribuito ad alcune pubblicazioni come riviste e-flux: The Exhibitionist e il Manifesta Journal, tra le altre.
Martina Mazzotta (Milano 1974) curatrice, vive a Londra, è laureata in filosofia in Italia e in Germania e ha conseguito un phd in Storia dell’Arte a Milano. L’approccio transdisciplinare alle arti caratterizza tutta la sua ricerca, come saggista, docente universitario e curatore (ha ideato e curato numerosi libri e mostre, tra cui il contributo di Studio Azzurro alla Biennale Internazionale di Site Santa Fe, USA 2008, quello di Pietro Pirelli a Mumbai per En-Counters, India 2013, nonché mostre dall’approccio filosofico quali Pelle di Donna, Triennale di Milano 2012, e Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi, Museo Poldi Pezzoli e Gallerie d'Italia, 2014). Il tutto si integra con quell’universo di tradizioni ed esperienze rappresentato dalla Casa Editrice Mazzotta, fondata da suo padre Gabriele 50 anni fa, e dalla Fondazione Mazzotta, dedicata a suo nonno Antonio e oggi think-tank internazionale.
Il Comitato d’onore è formato da: Richard Armstrong, Direttore della Fondazione Museo Solomon R. Guggenheim; Amin Jaffer, Direttore Internazionale Arte Asiatica, Christie’s; David Elliot, curatore e scrittore; Anupam Poddar, fondatore direttore Devi Art Foundation; Madhuvanti Ghose, co-curatore The Art Institute of Chicago.
La mostra è il compendio del lavoro svolto negli ultimi anni da Shilpa Gupta (Mumbai - India) e Rashid Rana (Lahore - Pakistan); un percorso che crea una forte connessione con l’espressività, la cultura e la società sud orientale. Per la prima volta India e Pakistan sono uniti e coinvolti all’interno della Biennale, con l’obiettivo di reindirizzare il complesso clima di rapporti storici dei due paesi attraverso una cartografia culturale comune ridisegnata dai due artisti.
Nelle sale di Palazzo Benzon spiccano video-installazioni anche interattive, video, disegni, installazioni, opere digitali, fotografie e performance continuative.
RASHID RANA con “Transpositions” (2013-2015) propone un set immersivo, dove le strutture architettoniche si combinano con video, opere digitali, installazioni e performance.
Introduce al percorso l'opera “War Within II” che rivela la predilezione dell’artista per il neoclassicismo e per il linguaggio legato alla poetica del pixel, istituendo una dialettica tra micro e macro, tra particolare e tutto. Il riferimento all'opera di Jacques-Louis David “Il giuramento degli Orazi” (1784), che raffigura una fratellanza rotta con il sangue, per Rana diventa, tramite l’elaborazione fotografica, metafora della frattura fra India e Pakistan. Frattura caratterizzata da prolungati e cruenti conflitti, avvenuta con la secessione del ’47 e con la nascita dello stato indipendente del Bangladesh nel ’71, che prima di allora era il Pakistan orientale.
Nella sala successiva una video installazione interattiva approfondisce il tema del doppio, i concetti di locazione e dislocazione, di percezione personale e collettiva, leitmotiv della poetica di Rana, resa attraverso la ripresa del visitatore, che viene proiettato in leggera differita su un grande schermo a parete. Tali riferimenti ritornano nella sala seguente, dove si entra in connessione diretta audio e video con gli abitanti di Lahore (Pakistan). L’artista infatti, molto attento alla resa degli spazi e delle quinte architettoniche, ricrea a Lahore la medesima sala di Palazzo Benzon, dando vita a una situazione di specularità architettonica, sul cui sfondo i protagonisti di questa performance “continua” sono le persone che dialogano dai capi opposti del mondo.
Proseguendo il percorso si ammirano due grandi schermi che riproducono in chiave personalizzata ed estremamente attuale il famoso quadro di Caravaggio “Giuditta e Oloferne” (1599). Rana attraverso innumerevoli e piccolivideo, che simboleggiano i pixel, restituisce i tratti e le tonalità del celebre dipinto. I filmati, provenienti da tutto il mondo, sono il risultato di una ricerca iconografica fatta su youtube e presentano situazioni di conflitto e violenza. L’osservazione ravvicinata rivolta ai piccoli frames, si alterna alla visione d’insieme, che riporta all’opera cinquecentesca.
Nello schermo di fronte è proiettato un video che mostra lo stesso lavoro dell’artista, incorniciato da una struttura che riproduce la sala di Palazzo Benzon e collocato prima della mostra in una strada di Lahore e consente di osservare l’originale e personale interazione dei passanti appartenenti a una cultura differente, con l’opera stessa.
All’interno della sala che conclude il percorso delle opere di Rashid Rana, grandi pannelli riproducono i particolari architettonici del Palazzo, realizzati con la stampa di grandi pixel rettangolari.
Una tenda nera introduce nell’area espositiva dedicata alle serie di opere, intitolate Untitled, di SHILPAGUPTA, che dal 2011 al 2015 si è immersa nella società che vive al confine tra Bangladesh e India, nei pressi della barriera che divide i due territori, luogo di costanti flussi migratori e conflitti. Nel ’71, infatti, a seguito della costituzione del Bangladesh, hanno inizio migrazioni di migliaia di persone verso il Bengala e Calcutta a fronte delle quali il governo indiano costruisce una lunghissima barriera di 40 km, che l’artista rappresenta nella sua totalità all’interno di un dipinto, dove i fari che la illuminano tracciano una linea puntiforme visibile dall’universo.
Gupta, attraverso la narrazione di quanto avviene nei territori di confine, sottolinea le difficoltà dovute all'estrema povertà che conduce a costanti migrazioni e al traffico illecito di materiali preziosi. Ne sono esempio il sari bianco ridotto a una sottile e lunga striscia di tessuto, avvolto a un lungo fuso al fine di essere ricreato dopo il trasporto; un piccolo pezzo d’oro da nascondere sotto le vesti, la ceramica cinese spezzettata che può essere reimpiegata e utilizzata come merce di scambio.
Di forte impatto è il colletto di una divisa che lascia intravedere al suo interno parte di una camicia a quadri, allusiva dell’umanità individuale nascosta e soffocata dell’uniforme istituzionale con mostrine, propria delle guardie di sorveglianza.
L’artista, riproduce l’incombenza del muro con disegni su carta “automatismi” realizzati di notte al buio dormendo vicino alla frontiera. In mostra sono descritti gli elementi ambientali caratteristici del luogo: la fitta e omogenea nebbia racchiusa in una teca, le fotografie del terreno umido e paludoso, ma anche verdeggiante del Bangladesh.
Spicca su una parete la foto segnaletica con il volto di un uomo coperto da un rettangolo di terra, in riferimento a quanto può avvenire quando la polizia riceve dai congiunti le foto di persone disperse.
Su una lastra metallica sono incisi alcuni strumenti utilizzati per oltrepassare la barriera come una zattera di bambù con rotelle, un piede di porco, un cric d’automobile. Passando alla sala successiva, si viene abbagliati da un grande faro, uno dei tanti situati al confine nel tentativo di fermare quanti vogliono attraversarla.
Il percorso procede con l’esposizione di opere su cartarealizzate con la colla “Phensedyl”, diffusa in India e illegale in Bangladesh per il suo carattere allucinogeno; una grande installazione formata da un grande tavolo con numerose buste chiuse contenenti documenti tritati, simboleggia il sistema utilizzato per oltrepassare la frontiera per poi ricomporre i fogli scritti. Un video dal titolo “Will it be alright if we win?” riprende le gambe dei giocatori di una partita di calcio; non tutti hanno le scarpe, in quanto si tratta di militari addetti alla sorveglianza della barriera e degli uomini che vivono nelle adiacenze: parentesi ricreativa di un’umanità precaria.
Nell’ultima stanza si è accolti da una coinvolgente performance “continuativa”, che rimanda alla tradizione della tessitura del cotone di Phulia, una città situata tra India e Bangladesh. Una striscia di tessuto lunga 4 km percorre l’ambiente, appoggiata su un tavolo dove il performer traccia dei segni tramite la carta copiativa per rappresentare le linee del confine.
Shilpa Gupta (1976) vive e lavora a Mumbai, in India, dove dal 1992 al 1997 ha studiato scultura al Sir J.J. School of Fine Arts. Le sue opere utilizzano video interattivi, siti web, oggetti, fotografie, suoni e performance per indagare tematiche quali il desiderio, la religione, il concetto di sicurezza e di confine.
Mostre personali dell’artista si sono svolte in Asia, Europa e Stati Uniti. In particolare, di recente, presso: Kunstnernes Hus, Oslo; MO Mucsarnok Kunsthalle, Budapest; MAAP Space, Brisbane; Arnolfini, Bristol; OK Center for Contemporary Art, Linz. Gupta ha partecipato alla Triennale Younger than Jesus, New Museum, New York; Lyon Biennale, curata da Hou Hanru; Biennale di Gwangju, diretta da Okwui Enwezor e curata da Ranjit Hoskote; Triennale di Yokohama, curata da Hans Ulrich Obrist, Biennale di Liverpool, curata da Gerardo Mosquera; più di recente: Dhaka Art Summit, curata da Diana Campbell-Betancourt, Biennale di Sharjah, curata da Yuko Hasegawa, 8° Berlin Biennale for contemporary Art, curata da Juan Gaitan e con la partecipazione nel team artistico di Natasha Ginwala. Dal 2002 al 2006, Gupta ha co-promosso Aar Paar, un progetto di scambio di arte pubblica tra India e Pakistan, insieme con l’artista di Lahore Huma Mulji. I suoi lavori sono stati esposti in musei e istituzioni internazionali tra cui Tate Modern, Londra; Serpentine Gallery, Londra; Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Daimler Chrysler Contemporary, Berlino; Mori Museum, Tokyo; Solomon R. Guggenheim Museum, New York; Chicago Cultural Center; Louisiana Museum, Humlebæk; Devi Art Foundation, New Delhi.
Rashid Rana (1968) è nato a Lahore, in Pakistan, dove vive e lavora. Ha studiato pittura al National College of Arts di Lahore e al Massachussets College of Fine Arts di Boston. E’ fondatore di facoltà e preside del dipartimento di Fine Art presso la Beaconhouse National University di Lahore. Le sue recenti personali includono una grande retrospettiva dei suoi lavori di metà carriera, intitolata Labyrinth of Reflections, presso il Mohatta Palace Museum di Karachi (2013), alcune mostre presso la Cornerhouse di Manchester (2011) e presso il Museo Guimet di Parigi (2010). Ha partecipato a grandi mostre collettive quali: Dhaka Art Summit (2014), Biennale di Kiev (2012); Fotomuseum Winterthur, Whitechapel Gallery e Saatchi Gallery, Londra (2010); Asia Society, New York (2009); 5° Asia Pacific Triennale, Queensland Gallery of Art, Brisbane (2006); Biennale di Singapore (2006).
Natasha Ginwala (India 1985,) è una curatrice indipendente, ricercatrice e scrittrice. È consigliere curatoriale e curatrice dei Programmi Pubblici per il progetto della Fondazione Gujral, My East is Your West, presso la 56ª Biennale di Venezia (2015), ed è stata membro del gruppo artisti all'8ª Biennale di Berlino per l'Arte Contemporanea (2014). I suoi lavori recenti includono il progetto curatoriale in più parti, ancora in corso, Landings, presentato al Centro per l'Arte Contemporanea Witte de With, alla Fondazione per l'Arte David Roberts, al NGBK di Berlino, al Museo Stedelijk di Amsterdam e presso altre organizzazioni associate, dal 2013 fino ad oggi, (con Vivian Ziherl), e a 'Il Museo del Ritmo' della Biennale di Taipei 2012 (con Anselm Franke). Ginwala ha partecipato al Programma Curatoriale de Appel, Amsterdam, e ha insegnato all'Istituto Sandberg e all'Accademia Gerrit Rietveld. Ha contribuito ad alcune pubblicazioni come riviste e-flux: The Exhibitionist e il Manifesta Journal, tra le altre.
Martina Mazzotta (Milano 1974) curatrice, vive a Londra, è laureata in filosofia in Italia e in Germania e ha conseguito un phd in Storia dell’Arte a Milano. L’approccio transdisciplinare alle arti caratterizza tutta la sua ricerca, come saggista, docente universitario e curatore (ha ideato e curato numerosi libri e mostre, tra cui il contributo di Studio Azzurro alla Biennale Internazionale di Site Santa Fe, USA 2008, quello di Pietro Pirelli a Mumbai per En-Counters, India 2013, nonché mostre dall’approccio filosofico quali Pelle di Donna, Triennale di Milano 2012, e Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi, Museo Poldi Pezzoli e Gallerie d'Italia, 2014). Il tutto si integra con quell’universo di tradizioni ed esperienze rappresentato dalla Casa Editrice Mazzotta, fondata da suo padre Gabriele 50 anni fa, e dalla Fondazione Mazzotta, dedicata a suo nonno Antonio e oggi think-tank internazionale.
Il Comitato d’onore è formato da: Richard Armstrong, Direttore della Fondazione Museo Solomon R. Guggenheim; Amin Jaffer, Direttore Internazionale Arte Asiatica, Christie’s; David Elliot, curatore e scrittore; Anupam Poddar, fondatore direttore Devi Art Foundation; Madhuvanti Ghose, co-curatore The Art Institute of Chicago.
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