Ulderico Marotto. Cantar Verona

Ulderico Marotto, S. Alessio controluce, tempera, 35x50

 

Dal 19 Dicembre 2014 al 08 Gennaio 2015

Verona

Luogo: Palazzo della Gran Guardia

Indirizzo: piazza Brà

Orari: tutti i giorni 10-19

Curatori: Federico Martinelli

Enti promotori:

  • Comune di Verona
  • Provincia di Verona
  • Regione Veneto

Telefono per informazioni: +39 045 803 3400

Sito ufficiale: http://www.comune.verona.it


Dopo il successo dell’ultima mostra tenutasi presso la Loggia Barbaro - Torre del Capitanio nel 2013, venerdì 19 dicembre 2014 alle ore 18.00, inaugura presso il Palazzo della Gran Guardia, la mostra “Cantar Verona”, antologica dedicata all’artista Ulderico Marotto.
La città di Verona rende omaggio ad uno dei più grandi e apprezzati artisti veneti che, nel corso della sua lunga carriera, ha ritratto il paesaggio con indimenticabile maestria.
Il nucleo centrale dell’esposizione, curata da Federico Martinelli, Presidente di Quinta Parete, presenta opere dedicate a Verona, città natìa dell’artista raccontata attraverso il filtro e la sua sensibilità artistica. Non solo le grandi piazze, i ponti famosi e i palazzi del centro storico, ma anche bambini vivaci che rincorrono una ruota di bicicletta o accovacciati in un polveroso vicolo del centro, donne sedute a crocchio intente a ricamare e ad accudire i fanciulli, animali da cortile e tutti i mestieri dell’epoca: sabbionari, traghettatori, contadini, pescivendoli, spazzacamini, impegnati nelle loro attività. Non di meno sono presenti vedute d’epoca come i ponti provvisori sul fiume, i mulini, le chiatte, le case, tutto ormai perduto, ma immortalato dal pennello gentile di Marotto, di chiaro sapore ottocentesco. Artista precoce, Marotto inizia a lavorare a 12 anni per esigenze familiari, e contemporaneamente si iscrive e frequenta la “Scuola di Arti e Mestieri” che continuerà anche dopo il trasferimento a Milano; successivamente partecipa ai corsi all’Accademia e una scuola serale presso il Castello Sforzesco. Marotto dipinge a tempera e a olio, ma predilige l’acquerello, tecnica difficile che non permette incertezze e che inizia a sperimentare insieme all’amico Vincenzo Castelli.
Marotto è artista che fa vita ritirata, ama la solitudine, è schivo e modesto, poche le mostre realizzate e poche le esposizioni, mai un concorso; è un uomo che ha conosciuto la fatica e le avversità ma non si è mai arreso, sostenuto dall’amore per l’arte, confortato dalla fede e rassicurato dalla Provvidenza Divina.
La mostra in Gran Guardia, organizzata dall’Associazione Culturale Quinta Parete, che in questi anni ha proposto numerosi eventi culturali nel segno del teatro, della pittura e della fotografia, presenterà circa 90 opere, a testimonianza di un percorso artistico che ha visto Marotto raccontare, con estrema poesia, la città e, con altrettanto lirismo magico il mondo della provincia. A completare l’esposizione saranno anche alcune opere dedicate a città limitrofe: Mantova, Venezia, Milano.
La mostra ha l’intento di accompagnare il visitatore all’osservazione di una città “nascosta”, ma pur sempre da scoprire anche attraverso la luce, che è caratteristica delle opere di Marotto, quella luce dell’anima che l’ha consacrato tra i più grandi artisti veneti del Novecento. 

Ulderico Marotto nasce il 22 agosto 1890 a San Michele Extra, frazione di Verona, dove i genitori gestiscono una piccola osteria. Qui rimane fino al 18 92, anno in cui la famiglia si trasferisce nel quartiere di S. Toscana, dove frequenta la scuola elementare, che sospende pochi mesi prima del termine per lavorare prima come garzone, poi come magazziniere infine come cameriere: tali esperienze lo convincono a terminare gli studi da privatista per poter seguire la sua passione. La madre, che ben conosce i sogni del figlio, gli trova lavoro come “piccolo” in una bottega di decorazioni, imbiancature e verniciature cosicché al giovane Ulderico non par vero di poter tenere un pennellaccio tra le mani tutto il giorno.
Il faticoso impegno quotidiano non lo priverà della gioia di iscriversi alla Scuola Serale di “Arti e Mestieri”, scuola che continuerà anche dopo il trasferimento della famiglia a Milano, nel 1906, dove Ulderico frequenterà l’Accademia Braidense e una scuola serale presso il Castello Sforzesco. È questo un periodo di grande impegno, di duro lavoro, ma le fatiche e le avversità non spaventano l’artista, sostenuto dal sacro fuoco dell’arte.
Nel 1910, purtroppo, arriva la chiamata alle armi che lo allontana dalla famiglia per partecipare alla guerra italo-turca e successivamente, nel 1914 lo invia sul fronte austriaco. Tornato a Milano riprenderà a frequentare la “Scuola d’Arte Applicata all’Industria”, ma per poco, perché nel 1915 sarà richiamato al fronte fino al 1919.
Rientrato a Milano, Marotto apre uno studio, riprende il lavoro, ha la fortuna di incontrare il pittore Vincenzo Castelli: fu per me la scoperta di un vero tesoro...questo nome io lo dovrei scrivere non solo a tutte lettere maiuscole, ma in oro!! Sarà proprio Castelli, che lo inviterà nel suo studio, ad avviarlo alla pittura ad acqua: da quel momento inizierà un sodalizio che durerà fino alla scomparsa dell’amico.
Il punto di intesa tra i due artisti portò l’uno a dedicarsi all’arte pubblicitaria, che gli procurava di che vivere, l’altro a comprendere e immergersi nella pittura del paesaggio dal vero. Nelle varie tecniche di pittura, diceva Marotto, si può ottenere più o meno, a seconda dell’abilità, ciò che si vuole, tranne nell’acquerello. È un signore che comanda proprio lui. Se riesce è di getto, alla prima, diversamente perde freschezza e trasparenza, indispensabile perché si dica “riuscito”.
L’entusiasmo tra i due amici cresceva ancor più in attesa delle nevicate: erano occasione per avventurarsi in campagna muniti dell’“intrachen”, termine umoristico coniato da Castelli per definire l’equipaggiamento brevettato dall’amico Marotto per affrontare il gelo. Completava l’attrezzatura, un cavalletto provvisto di scannellature, sostegni, cinghie per borraccia, elastici, viti e un ombrello, insieme al combustibile che sarebbe servito per intiepidire l’acqua usata per amalgamare i colori.
Marotto è artista modesto, spesso autocritico, estremamente scrupoloso nella realizzazione delle sue opere: utilizza ottimi colori, buoni pennelli, ottima carta per acquerello perciò, se l’attrezzatura è buona e il risultato no, la causa è da imputare all’esecutore.
Nel 1942 iniziano i bombardamenti su Milano e Ulderico trasferisce la famiglia a Verona dove aprirà uno studio in via Fogge; in questi anni si dedica ai paesaggi, ispirato dall’amore per la sua Verona, la provincia, ma anche suggeriti dai viaggi estivi in Liguria e sulla costa adriatica, soprattutto nella romantica Chioggia, utilizzando sia la pittura a tempera, l’olio ma soprattutto l’acquerello.
Grande amante della natura, Marotto avvertì sempre la necessità del contatto diretto con il soggetto rappresentato ed è chiaro, nelle sue opere, l’amore che egli riserva agli alberi, ai fiori, ai ruscelli, ai campi e alle creature, tutte, che vivono in questi ambienti. 
Ma per Marotto è l’uomo elemento indispensabile del paesaggio; è l’uomo con le attività primarie dell’epoca, quello che troviamo nelle rappresentazioni dell’amata Verona: lo spazzacamino, il sabbionaro, il traghettatore, il contadino sui carri e al ritorno dal pascolo, il brumista. Non di meno è pura poesia la donna intenta a ricamare, a rammendare, ad accudire i bambini, a lavare i panni sul greto dell’Adige. Sono tutti protagonisti della realtà quotidiana, rappresentanti di quei valori morali ai quali l’artista crede, protagonisti di quel realismo pittorico che tanto caratterizzerà la sua arte. Marotto rimarrà sempre un artista dalla pittura fresca e giovanile, continuerà con umiltà, giorno dopo giorno a studiare, a mettersi alla prova e mai penserà che la sua affermazione e l’apprezzamento dei critici siano per lui un traguardo d’arrivo. Nelle sue opere sono l’anima e la sensibilità a emergere, è un uomo che pur avendo sofferto vive serenamente, conquistato e rassicurato dalla Provvidenza Divina che, in tante occasioni della sua vita, lo ha ritenuto meritevole del suo intervento. Sono equilibrio e armonia il filo conduttore della sua vita, elemento principale della sua arte ma non di meno la luce, quella luce dell’anima che l’ha caratterizzato e consacrato tra i più grandi artisti veneti del Novecento. Muore il 27 febbraio 1985 nella sua casa a San Michele Extra. Federico Martinelli     

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