Dopo l'esposizione a Madrid l'opera tornerà a nella Cappella del Salvador a Ubeda

Il miracolo del San Giovannino di Michelangelo in mostra al Prado

San Giovannino, Michelangelo
 

Ludovica Sanfelice

01/04/2015

Ci sono voluti 19 anni per ricomporre il San Giovanni Battista bambino di Michelangelo, più conosciuto come “San Giovannino”. La scultura, unica opera del maestro conservata in Spagna, andò distrutta in un'azione iconoclasta durante la Guerra Civile (1936-39), e oltre ad avere il corpicino ridotto in frammenti presentava bruciature sul capo.

Rimediare a danni simili era impresa ardita, ma grazie alla tenacia della Fundación Casa Ducal de Medinaceli, proprietaria devota che ha conservato i pezzi per decenni in attesa che la tecnologia trovasse soluzioni, il bambino oggi risplende con grazia nella Sala 47 del Prado (stesso spazio riservato alla Gioconda quando fu esposta a Madrid), dove rimarrà esposto fino al 28 giugno, prima di fare ritorno nella sua originale collocazione all’interno della Cappella del Salvatore a Ubeda.

Quando nel 1996 i frammenti vennero inviati all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, gli esperti iniziarono a lavorare per restituire integrità all’opera, decidendo di non mascherare le cicatrici per mantenere una traccia dell’aggressione. Servendosi di vecchie fotografie e consultando descrizioni scritte come quella compilata dal Vasari che paragonava il Giovannino ad altri lavori giovanili di Michelangelo come il Bacco o la Madonna di Manchester, la squadra ha realizzato una ricostruzione virtuale in 3D della scultura prima di procedere al riassemblaggio dei pezzi che sono stati ancorati ad una struttura di ferro, colmati con fibra di vetro e nylon e quindi sigillati con stucco, cera e smalto. Sulla bruciatura si è invece intervenuti con un trattamento laser che ha pulito e levigato la superficie.

I 19 anni trascorsi nel ricovero italiano, oltre a resuscitare l’opera sono stati impiegati per certificare in via definitiva la paternità di Michelangelo, prima di allora basata unicamente sull’attribuzione dello storico dell’arte Manuel Gómez Moreno.


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