Pasquino

Statue parlanti
 

30/07/2001

La statua del Pasquino è senza dubbio la più celebre delle cosiddette “statue parlanti” di Roma, quella alla quale per antonomasia è connesso il termine di “pasquinate”. In origine il marmo faceva parte di un gruppo, oggi mutilo, raffigurante Menelao che trascina fuori dalla mischia il corpo di Patroclo morente (Iliade, XVII), copia da un originale bronzeo noto in più repliche (una è a Firenze nella Loggia dei Lanzi) forse attribuibile allo scultore pergameno Antigonos (240-230 a.C.), in passato identificato come “Ercole in lotta con i Centauri” o come “Aiace con il corpo di Achille”. Il Pasquino nella sua connotazione originaria sembra fosse una delle statue che costituivano la decorazione dello Stadio di Domiziano, quindi nell’area dell’attuale Piazza Navona, dove infatti è stato rinvenuto all’angolo con via della Cuccagna durante i lavori di pavimentazione della zona ad inizio ‘500. Le cronache ci dicono che l’opera fu giudicata di grande livello e apprezzata da grandi artisti come Michelangelo e Bernini: quest’ultimo vi si sarebbe addirittura ispirato per la statua del Moro (per l’omonima fontana di Piazza Navona, quella di fronte al palazzo di Innocenzo X Pamphilj, committente delle tre fontane) e l’Abacus. Nel 1501 la scultura, per volere del cardinal Oliviero Carafa, venne addossata sull’angolo di Palazzo Orsini (residenza del cardinale) poi Braschi, in quella che un tempo era Piazza Parione e che oggi prende il nome di Piazza Pasquino. Il passaggio dal nome di Menelao a quello di Pasquino ruota attorno a quattro possibili tesi. La prima è riportata dallo scrittore Teofilo Folengo che in una sua opera (Baldus, XXIII) fa riferimento ad un’osteria in Parione tenuta da tal mastro Pasquino. La seconda è figlia di Antonio Tebaldeo parla di un sarto che con i suoi garzoni biasimavano papi e cardinali. La terza è narrata da Celio Secondo Curione che identifica il personaggio che diede il nome alla statua con un barbiere, la cui bottega era centro di animate discussioni. Una quarta ipotesi, forse la più autorevole, è inserita nella prefazione alla prima raccolta di pasquinate dell’editore Giacomo Mazzocchi (1509). Qui si cita un insegnante del ginnasio chiamato Pasquino: i suoi studenti, per prendersene gioco, avrebbero affibbiato al torso di Parione, appena ritrovato, il nome del loro professore. In quei primi anni del XVI secolo l’occasione per gli sberleffi di Pasquino era offerta dalla festa di S. Marco (25 aprile) quando il busto che era sul percorso della via Papale, veniva abbigliato come una divinità (Venere, Giano o Apollo). Era di solito il piedistallo della statua il luogo deputato per gli epigrammi satirici con cui il popolo manifestava il proprio malcontento in versi o in prosa.

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