Aspettando “FORMIDABILE BOCCIONI”, dal 19 ottobre su ITsART
In viaggio con Boccioni. I capolavori da ammirare nel mondo
Umberto Boccioni, La Risata, 1911 | © New York, Museum of Modern Art, Dono di Herbert e Nannette Rotschild
Francesca Grego
18/10/2022
Mondo - A Parigi, nel 1912, critici e artisti lo snobbarono senza pietà. Per Umberto Boccioni il debutto alla Galleria Barnheim-Jeune fu una giostra di emozioni violente: qualcuno rise, giudicando i suoi dipinti già superati, altri gridarono allo scandalo, altri ancora seguirono con curiosità le gesta di quell’italiano eccentrico e un po’ vanesio, fuori posto negli ambienti bohémien dell’avanguardia. Per i critici britannici, al contrario, fu amore a prima vista: la prima uscita internazionale dei futuristi fu descritta dalla stampa inglese come “la mostra più bella del mondo”. Poi venne Peggy Guggenheim, con il suo infallibile fiuto e lo spirito ribelle: nel ’58, quando in Italia il Futurismo scontava ancora i legami con il regime fascista, la mecenate e collezionista americana acquistò con convinzione la scultura Dinamismo di un cavallo in corsa + case, felice di infrangere le regole proprio come Boccioni. La strada verso l’America era ormai spianata, e non è un caso che diversi capolavori del maestro futurista abbiano trovato casa in musei e collezioni internazionali.
Dal 19 ottobre, 140° anniversario della nascita dell’artista, avremo modo di ammirarli comodamente da casa nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, scritto da Eleonora Zamparutti e Piero Muscarà con la regia di Franco Rado, prodotto da ARTE.it Originals in collaborazione con ITsART e Rai Cultura e disponibile in esclusiva sulla piattaforma ITsART. Nel frattempo, ecco una panoramica delle più belle opere di Boccioni conservate all’estero.
Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Olio su tela. MASI, Collezione della Città di Lugano
Al MASI di Lugano, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, troviamo il primo dipinto a olio del genio in erba: si intitola Campagna romana o meriggio ed è datato 1903. Umberto ha solo 21 anni quando realizza questa tela: vive a Roma da poco e, con l’amico Gino Severini, frequenta lo studio del maestro Giacomo Balla. Il paesaggio del MASI è perfetto ma non ha nulla di rivoluzionario, piuttosto svela le basi del linguaggio di Boccioni, che farà tesoro della lezione divisionista per scuotere dalle fondamenta la pittura italiana.
La strada entra nella casa del 1911 è conservato presso lo Sprengel Museum di Hannover. Da un turbine di forme e colori emerge in primo piano la figura di una donna di spalle, appoggiata alla ringhiera di un balcone di Milano, dove l’artista si è trasferito. “La sensazione dominante”, scrive Boccioni, “è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non deve limitarsi a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone”. Palazzi, strade e cantieri si fondono nel vortice della visione futurista, talmente potente da riuscire a piegarne i contorni.
Umberto Boccioni, La strada entra nella casa, 1911, Sprengel Museum, Hannover
Sempre in Germania, al Von der Heydt-Museum di Wuppertal, possiamo ammirare Visioni simultanee (1912), quasi uno sviluppo del dipinto di Hannover: qui l’artista invita a osservare la strada dall’alto verso il basso, in una prospettiva che dà le vertigini. L’azione si svolge su piani sovrapposti e la deformazione dello spazio è ancora più radicale: gli edifici si curvano e si scompongono, come le figure catturate in strada e il corpo della donna che si sporge verso il vuoto.
Si trova invece a Londra, presso la Estorick Collection, l’olio su tavola Idolo moderno, icona della nuova bellezza futurista. Bando alle Veneri del passato: in questo quadro, racconta lo storico dell’arte Niccolò D’Agati, la donna ideale è una cocotte dal cappello appariscente, che si ferma davanti a una vetrina colorandosi il volto di elettrica luce blu. “Ai primi tempi dell’Impressionismo il violetto era accettato per i prati, i cieli, i boschi… Guai a vederli sul viso, sulle braccia, sul seno di una donna bella”, scrive Boccioni orgoglioso della sua trasgressione.
Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York
Se al Metropolitan Museum of Art di New York abbiamo un saggio degli anni giovanili di Boccioni con due autoritratti (1904, 1905) e la guache Giovane sulla sponda del fiume (1902), al MoMa ne riviviamo la stagione più feconda attraverso alcuni celebri capolavori. La città che sale del 1910 “è forse l’opera più eroica di Boccioni per la tensione e la volontà di andare oltre le forme pittoriche tradizionali”, osserva la storica dell’arte Esther Coen. L’artista stesso definisce “titanico” questo dipinto di grandi dimensioni, che attrae lo sguardo dello spettatore verso il centro della tela con “una palla di fuoco rossa, rutilante” e un cavallo che muove l’intera composizione. Colori accesi e pennellate cariche di energia dipingono con vibrante dinamismo il paesaggio di un cantiere alla periferia di Milano, la città moderna che si espande e ascende verso il cielo.
Sempre al Museum of Modern Arts di New York La risata trasferisce sulla tela un’emozione universale, mentre la vita notturna della metropoli batte il ritmo sulla tela. È ormai il 1912 quando Boccioni termina questo dipinto, e il suo linguaggio è maturato ulteriormente anche grazie al soggiorno parigino, che gli ha dato modo di conoscere Picasso e i cubisti. Lo testimoniano i piani scomposti e la visione degli stessi soggetti ripresi da diverse angolazioni, mentre i colori accesi e il movimento impresso all’insieme restituiscono i suoni di un riso gioioso, euforico, quasi delirante. Grande fu il clamore che accolse questo quadro all’Esposizione d’Arte Libera di Milano, dove un visitatore espresse il proprio disappunto sfregiando il dipinto.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912, Museum of Modern Art, New York
La ricerca di Boccioni sulle emozioni umane prosegue nella serie degli Stati d’animo, che ammiriamo al MoMa nella seconda versione (1912), probabilmente la più riuscita. Ambientata in una stazione ferroviaria, l’opera si compone di tre dipinti: Quelli che partono, Quelli che restano e Gli addii. Anche qui si avverte l’eco del recente incontro con il Cubismo, che Boccioni rielabora in modo alquanto personale. In Quelli che partono le linee oblique della velocità tagliano i volti dei viaggiatori, mentre il blu ne esprime la malinconia. In Quelli che restano, al contrario, l’immagine degli accompagnatori in piedi sul binario è rafforzata da linee verticali e sulla tela domina il verde, che nel vocabolario dell’artista è il colore dell’abbandono.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912, Museum of Modern Art, New York
Gli addii rappresenta i saluti e gli abbracci che precedono il distacco: le linee sono circolari, i colori vividi, un vortice di rossi, verdi e azzurri interrotto dal fumo bianco della locomotiva. L’accoglienza, inutile dirlo, fu tutt’altro che tranquilla: la stampa francese gridò allo scandalo, l’arte di Boccioni restava incomprensibile ai più. Il poeta Guillaume Apollinaire, dopo aver visto gli Stati d’animo, seppe dire soltanto: “Ho incontrato un artista che sta lavorando sul tema delle stazioni”.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1912, Museum of Modern Art, New York
Al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile si trova infine il gesso di Forme Uniche della Continuità nello Spazio (1913), unica testimonianza autografa del capolavoro scultoreo di Boccioni. “Ossessionato dalla scultura” per sua stessa ammissione, dal 1912 il maestro futurista si dedicò anima e corpo al rinnovamento di quella che considerava ormai “un’arte mummificata”. In Forme Uniche reinterpreta in chiave futurista il tema classico dell’uomo che cammina, cercando con geniale intuizione una rappresentazione sintetica, intuitiva e immediata del movimento. Immagine a tre dimensioni dell’umanità nuova preconizzata da Marinetti – il “novello Icaro, metà uomo e metà macchina” – la scultura di Boccioni proclama “l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa”: la figura “si spalanca” e accoglie in sé lo spazio circostante, in una competrazione dinamica tra oggetto e ambiente. La fusione in bronzo di Forme Uniche non fu mai realizzata mentre Boccioni era in vita: le sculture in metallo esposte al MoMa e al MET di New York, al Museo del Novecento di Milano e alla Tate Modern di Londra sono datate tra il 1931 e il 1972, mentre altri gessi sono andati perduti in circostanze misteriose. Lo scopriremo dal 19 ottobre su ITsART nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, insieme ad altre storie, curiosità e testimonianze eccellenti intorno al genio del Futurismo.
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Umberto Boccioni, Campagna romana o meriggio, 1903, Olio su tela. MASI, Collezione della Città di Lugano
Al MASI di Lugano, il Museo d’Arte della Svizzera Italiana, troviamo il primo dipinto a olio del genio in erba: si intitola Campagna romana o meriggio ed è datato 1903. Umberto ha solo 21 anni quando realizza questa tela: vive a Roma da poco e, con l’amico Gino Severini, frequenta lo studio del maestro Giacomo Balla. Il paesaggio del MASI è perfetto ma non ha nulla di rivoluzionario, piuttosto svela le basi del linguaggio di Boccioni, che farà tesoro della lezione divisionista per scuotere dalle fondamenta la pittura italiana.
La strada entra nella casa del 1911 è conservato presso lo Sprengel Museum di Hannover. Da un turbine di forme e colori emerge in primo piano la figura di una donna di spalle, appoggiata alla ringhiera di un balcone di Milano, dove l’artista si è trasferito. “La sensazione dominante”, scrive Boccioni, “è quella che si può avere aprendo una finestra: tutta la vita, i rumori della strada, irrompono contemporaneamente come il movimento e la realtà degli oggetti fuori. Il pittore non deve limitarsi a ciò che vede nel riquadro della finestra, come farebbe un semplice fotografo, ma riproduce ciò che può vedere fuori, in ogni direzione, dal balcone”. Palazzi, strade e cantieri si fondono nel vortice della visione futurista, talmente potente da riuscire a piegarne i contorni.
Umberto Boccioni, La strada entra nella casa, 1911, Sprengel Museum, Hannover
Sempre in Germania, al Von der Heydt-Museum di Wuppertal, possiamo ammirare Visioni simultanee (1912), quasi uno sviluppo del dipinto di Hannover: qui l’artista invita a osservare la strada dall’alto verso il basso, in una prospettiva che dà le vertigini. L’azione si svolge su piani sovrapposti e la deformazione dello spazio è ancora più radicale: gli edifici si curvano e si scompongono, come le figure catturate in strada e il corpo della donna che si sporge verso il vuoto.
Si trova invece a Londra, presso la Estorick Collection, l’olio su tavola Idolo moderno, icona della nuova bellezza futurista. Bando alle Veneri del passato: in questo quadro, racconta lo storico dell’arte Niccolò D’Agati, la donna ideale è una cocotte dal cappello appariscente, che si ferma davanti a una vetrina colorandosi il volto di elettrica luce blu. “Ai primi tempi dell’Impressionismo il violetto era accettato per i prati, i cieli, i boschi… Guai a vederli sul viso, sulle braccia, sul seno di una donna bella”, scrive Boccioni orgoglioso della sua trasgressione.
Umberto Boccioni, La città che sale, 1910, Museum of Modern Art, New York
Se al Metropolitan Museum of Art di New York abbiamo un saggio degli anni giovanili di Boccioni con due autoritratti (1904, 1905) e la guache Giovane sulla sponda del fiume (1902), al MoMa ne riviviamo la stagione più feconda attraverso alcuni celebri capolavori. La città che sale del 1910 “è forse l’opera più eroica di Boccioni per la tensione e la volontà di andare oltre le forme pittoriche tradizionali”, osserva la storica dell’arte Esther Coen. L’artista stesso definisce “titanico” questo dipinto di grandi dimensioni, che attrae lo sguardo dello spettatore verso il centro della tela con “una palla di fuoco rossa, rutilante” e un cavallo che muove l’intera composizione. Colori accesi e pennellate cariche di energia dipingono con vibrante dinamismo il paesaggio di un cantiere alla periferia di Milano, la città moderna che si espande e ascende verso il cielo.
Sempre al Museum of Modern Arts di New York La risata trasferisce sulla tela un’emozione universale, mentre la vita notturna della metropoli batte il ritmo sulla tela. È ormai il 1912 quando Boccioni termina questo dipinto, e il suo linguaggio è maturato ulteriormente anche grazie al soggiorno parigino, che gli ha dato modo di conoscere Picasso e i cubisti. Lo testimoniano i piani scomposti e la visione degli stessi soggetti ripresi da diverse angolazioni, mentre i colori accesi e il movimento impresso all’insieme restituiscono i suoni di un riso gioioso, euforico, quasi delirante. Grande fu il clamore che accolse questo quadro all’Esposizione d’Arte Libera di Milano, dove un visitatore espresse il proprio disappunto sfregiando il dipinto.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che partono, 1912, Museum of Modern Art, New York
La ricerca di Boccioni sulle emozioni umane prosegue nella serie degli Stati d’animo, che ammiriamo al MoMa nella seconda versione (1912), probabilmente la più riuscita. Ambientata in una stazione ferroviaria, l’opera si compone di tre dipinti: Quelli che partono, Quelli che restano e Gli addii. Anche qui si avverte l’eco del recente incontro con il Cubismo, che Boccioni rielabora in modo alquanto personale. In Quelli che partono le linee oblique della velocità tagliano i volti dei viaggiatori, mentre il blu ne esprime la malinconia. In Quelli che restano, al contrario, l’immagine degli accompagnatori in piedi sul binario è rafforzata da linee verticali e sulla tela domina il verde, che nel vocabolario dell’artista è il colore dell’abbandono.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Quelli che restano, 1912, Museum of Modern Art, New York
Gli addii rappresenta i saluti e gli abbracci che precedono il distacco: le linee sono circolari, i colori vividi, un vortice di rossi, verdi e azzurri interrotto dal fumo bianco della locomotiva. L’accoglienza, inutile dirlo, fu tutt’altro che tranquilla: la stampa francese gridò allo scandalo, l’arte di Boccioni restava incomprensibile ai più. Il poeta Guillaume Apollinaire, dopo aver visto gli Stati d’animo, seppe dire soltanto: “Ho incontrato un artista che sta lavorando sul tema delle stazioni”.
Umberto Boccioni, Stati d'animo: Gli addii, 1912, Museum of Modern Art, New York
Al Museo di Arte Contemporanea di San Paolo del Brasile si trova infine il gesso di Forme Uniche della Continuità nello Spazio (1913), unica testimonianza autografa del capolavoro scultoreo di Boccioni. “Ossessionato dalla scultura” per sua stessa ammissione, dal 1912 il maestro futurista si dedicò anima e corpo al rinnovamento di quella che considerava ormai “un’arte mummificata”. In Forme Uniche reinterpreta in chiave futurista il tema classico dell’uomo che cammina, cercando con geniale intuizione una rappresentazione sintetica, intuitiva e immediata del movimento. Immagine a tre dimensioni dell’umanità nuova preconizzata da Marinetti – il “novello Icaro, metà uomo e metà macchina” – la scultura di Boccioni proclama “l’assoluta e completa abolizione della linea finita e della statua chiusa”: la figura “si spalanca” e accoglie in sé lo spazio circostante, in una competrazione dinamica tra oggetto e ambiente. La fusione in bronzo di Forme Uniche non fu mai realizzata mentre Boccioni era in vita: le sculture in metallo esposte al MoMa e al MET di New York, al Museo del Novecento di Milano e alla Tate Modern di Londra sono datate tra il 1931 e il 1972, mentre altri gessi sono andati perduti in circostanze misteriose. Lo scopriremo dal 19 ottobre su ITsART nel documentario FORMIDABILE BOCCIONI, insieme ad altre storie, curiosità e testimonianze eccellenti intorno al genio del Futurismo.
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