A Palazzo Venezia e Castel Sant'Angelo dal 24 giugno al 17 settembre

Giorgione e i labirinti del cuore. L'universo dei sentimenti in mostra a Roma

Giorgio da Castelfranco detto Giorgione, I due amici, 1502 c., Olio su tela, 66.5 x 77 cm, Roma, Museo di Palazzo Venezia
 

Samantha De Martin

26/06/2017

Roma - C'è un labirinto percorso dagli strali del cuore, che corre nel cuore di Roma, e che dall'appartamento Barbo di Palazzo Venezia si insinua tra le stanze papali di Castel Sant'Angelo, accendendo, all'interno dei due illustri edifici romani, quelle lussureggianti stagioni del sentimento che hanno lo sguardo complice di un'amicizia, la delicatezza di un abbraccio, il calore rassicurante di una madre che stringe la mano del proprio bambino, il ricordo di un amore perduto.
Spetta di solito all'opera d'arte la missione di far vibrare le corde del cuore. Poche volte, invece, capita che siano i sentimenti a muovere e commuovere l'arte, come nel caso di Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma, in corso a Roma fino al 17 settembre, un delicato viaggio tra i sentimenti magistralmente immortalati e interpretati da abili mani di sapienti maestri.

In questo cantuccio intimo che vibra dei colori di Tiziano e Tintoretto, di Bronzino e il Romanino, del Moretto e Ludovico Carracci, la giostra del cuore gira intorno a una tela speciale - ancora per certi versi misteriosa dato che resta sconosciuta l'identità dei personaggi rappresentati - che trova il suo magico fulcro ne  I due amici di Giorgione, nota anche come doppio ritratto.
Il percorso pone il dipinto del pittore di Castelfranco Veneto, risalente agli inizi del XVI secolo, come il punto di svolta nella rappresentazione degli stati d'animo, superando anche la storica vexata quaestio circa l'attribuzione del capolavoro.
Il malinconico sguardo del giovane trasognato in primo piano, e quello dell'amico, subito dietro e apparentemente compartecipe del sentimento del ragazzo, ammicca a un contesto culturale ben preciso che ci conduce a Venezia. A quella città che assisteva, all'epoca di Giorgione, a un rinnovato interesse per la poetica del Petrarca e a un continuo interrogarsi sulla natura dell'amore, sia sul piano filosofico, che letterario, oltre che sui risvolti di questo sentimento nelle arti pittoriche e musicali. E Giorgione, da pittore e musicista quale era, ci accompagna attraverso i suoi personaggi in un contesto che ha per protagonista la gioventù patrizia lagunare nel momento “edonistico” di massima espansione politica, regalandoci una delle invenzioni più originali del primo Cinquecento, che occupa una posizione di centralità nel panorama della ritrattistica italiana. Conservato nelle collezioni di Palazzo Venezia, il doppio ritratto di Giorgione, attestato nella Capitale sin dall'inizio del Seicento, racchiude il vigoroso legame tra l'artista e l'Urbe, ma soprattutto tra Venezia, la Città Eterna e il suo Palazzo, prima dimora romana di Domenico Grimani collezionista e committente del pittore di Castelfranco. Indubbiamente uno dei personaggi chiave, insieme con papa Paolo II Barbo, nei rapporti politici, diplomatici e culturali tra i due Stati tra fine Quattrocento e inizi Cinquecento.

Dipinti, sculture, libri a stampa, manoscritti oltre a numerosi oggetti, tra stampe e disegni, conducono il visitatore attraverso un percorso espositivo in cui nulla è lasciato al caso. Nemmeno i libri, aperti volutamente in determinate pagine, come Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, il Dialogo sulla pittura di Ludovico Dolce, o il foglio con l'inventario dei beni di Giorgione, che il pubblico può leggere e assaporare con lentezza.

Così, nella prima sezione della mostra, a Palazzo Venezia, sfilano la cassetta da viaggio di Pietro Barbo, i suoi salvadanai, le tartarughe e i coccodrilli, i satiri, i mostri e gli animali in bronzo, un busto di Lucio Vero, quasi a comporre una polifonia di vite e oggetti, di musica e pitture che, come spiega il curatore della mostra, Enrico Maria Dal Pozzolo, «hanno lo scopo di parlare a tutti e non soltanto agli studiosi, all'interno di un allestimento che esalta gli spazi storici e che rende noto un capitolo di storia mai raccontata».

Nelle sale di Castel Sant'Angelo, questa atmosfera si fa più antima e la suggestione aumenta, complice la bellezza del monumentale mausoleo funebre che emerge dalla sponda del Tevere con la sua nobile sagoma e con le sue imponenti vestigia. È qui che, attraverso opere di grandi maestri, da Tiziano a Tintoretto, da Barocci a Ludovico Carracci, si cerca di recuperare il filo delle relazioni umane che albergano in assenze e presenze, in matrimoni e perdite, in sguardi complici e volti nostalgici.
In questo raffinato universo popolato da gentildonne riccamente vestite che esibiscono guanti - simbolo di fedeltà ma anche di seduzione secondo un topos assai diffuso - da corpulente dame che scoprono i seni - gesto lascivo solo in apparenza e che allude piuttosto all' apertura del proprio cuore e allo svelamento del proprio animo di madri e spose - e ancora da coppie di sposi, abbracci, ritratti di famiglia, un caleidoscopio di segni, memorie, metafore e rimandi rapisce il visitatore trasportandolo in un tempo fatto di simboli e allusioni, affetti, oggetti e parole, musiche e suoni.

Per la prima volta la mostra offre la possibilità di ascoltare, attraverso il supporto dell'audioguida, il brano musicale identificato su uno dei quadri in esposizione, il Ritratto di gentildonna con lira da braccio della Galleria Spada, su spartito del compositore francese Philippe Verdelot.

Oltre alla consueta pannellistica e alle audioguide, il percorso si avvale di interessanti supporti, come i video tutorial e una installazione video-sonora immersiva site-specific di Luca Brinchi a Daniele Spanò con musiche di Franz Rosati, collocata nella Sala delle Battaglie.
Un percorso, insomma, che ammalia e coinvolge nella suo caloroso mosaico di stati d'animo e stili, che trovano in due sedi d'eccezione, il loro straordinario scrigno.

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