Dal 14 novembre al 18 febbraio

Rubens e la scultura a Roma. Presto una mostra alla Galleria Borghese

Pieter Paul Rubens, Agrippina e Germanico, Olio su tavola, 1614 c., 57 x 66.4 cm, Andrew W. Mellon Fund, National Gallery of Washington, USA
 

Samantha De Martin

24/10/2023

Roma - I rapporti tra la scultura italiana e l’Europa, raccontati attraverso gli occhi di Rubens, rivivono alla Galleria Borghese attraverso una grande mostra.
Dal 14 novembre al 18 febbraio il percorso intitolato Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, a cura di Francesca Cappelletti e Lucia Simonato, inaugurerà la seconda tappa di RUBENS! La nascita di una pittura europea, il progetto realizzato in collaborazione con Fondazione Palazzo Te e Palazzo Ducale di Mantova per raccontare i rapporti tra la cultura italiana e l’Europa attraverso i pennelli del maestro barocco.

Quasi 50 opere, attese nella capitale dai più importanti musei al mondo – dal British Museum al Louvre, dalla National Gallery di Londra al Rijksmusem di Amsterdam – sfileranno attraverso un itinerario suddiviso in otto sezioni enfatizzando lo straordinario contributo di Rubens, alle soglie del Barocco, a una nuova concezione dell’antico e ai concetti di naturale e di imitazione.


Pieter Paul Rubens, Studio del Torso Belvedere (verso), gesso rosso, 26 x 39.5 cm, 1601 c., Purchase, 2001 Benefit Fund, 2002, The Metropolitan Museum of Art, New York, USA

L’esposizione metterà a fuoco la dirompente novità del suo stile, tenendo in considerazione anche la capacità del pittore fiammingo di rileggere esempi rinascimentali e confrontarsi con i contemporanei, approfondendo aspetti e generi nuovi. Tra i più illustri conoscitori di antichità romane, Rubens attua nelle storie quel processo di vivificazione del soggetto che utilizza nel ritratto. Marmi e rilievi escono pertanto ravvivati dal suo pennello, assieme alle vestigia del mondo antico.
Nel caso della celebre statua dello Spinario, il disegno sembra eseguito da un modello vivente invece che da una statua, tanto da far immaginare ad alcuni studiosi che il pittore abbia utilizzato un ragazzo atteggiato come la scultura. Il pittore disegna a sanguigna, e poi con carboncino rosso, riprendendo la posa da due punti di vista diversi. Questo processo di animazione dell’antico sembra anticipare quegli artisti che, nei decenni successivi al suo passaggio romano, saranno definiti "barocchi".

“Calamita per gli artisti del Nord Europa fin dal Cinquecento, la Roma di Rubens, fra i pontificati Aldobrandini e Borghese, è il luogo dove studiare ancora l’antico, di cui si cominciano a conoscere i capolavori della pittura, con il ritrovamento nel 1601 delle Nozze Aldobrandini – sottolinea Francesca Cappelletti, direttrice Galleria Borghese e curatrice della mostra –. È il momento della Galleria Farnese di Annibale Carracci e della cappella Contarelli di Caravaggio. Attraverso gli occhi di un giovane pittore straniero come Peter Paul Rubens guardiamo ancora una volta all’esperienza dell’altrove, cerchiamo di ricostruire il ruolo del collezionismo, e della collezione Borghese in particolare, come motore del nuovo linguaggio del naturalismo europeo che unisce le ricerche di pittori e scultori nei primi decenni del secolo.”

La presenza a Roma di pittori e scultori come Van Dyck e Georg Petel, formatisi con Rubens ad Anversa, o entrati in contatto con le sue opere nel corso della formazione, aveva assicurato l’accessibilità dei suoi modelli a una generazione di artisti italiani ormai avvezza confrontarsi con l’antico alla luce degli esempi pittorici contemporanei e sulla base di un rinnovato studio della natura. Tra questi si inserisce Bernini. I suoi gruppi realizzati negli anni Venti rileggono celebri statue antiche, come l’Apollo del Belvedere, conferivano movimento traducendo il marmo in carne, come avviene nel Ratto di Proserpina.


Anonimo, Cavaspina, marmo, fine XVI sec. 85 cm, Roma, Galleria Borghese | Foto: © M. Coen © Galleria Borghese

“In questa sfida tra le due arti - spiega Lucia Simonato, curatrice della mostra - Rubens dovette apparire a Bernini come il campione di un linguaggio pittorico estremo con cui confrontarsi: per lo studio intenso della natura e per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ suggeriti dalla grafica vinciana, che sarebbero stati affrontati anche dallo scultore napoletano nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca “furia del pennello” riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa. Infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato cerca il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti di Bernini per i quali è stata coniata la felice espressione di speaking likeness".

La mostra illuminerà il pubblico sul controverso rapporto tra i capolavori di Bernini e il naturalismo di Rubens. In questo contesto, la circolazione di stampe tratte da prove grafiche del pittore fiammingo non fece altro che accelerare il dialogo per tutti gli anni Trenta del Seicento sollecitando operazioni editoriali come la Galleria Giustiniana. Qui le statue antiche prendono ormai definitivamente vita, secondo un effetto che la critica definì Pigmalione.

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