I baffi del bambino
Dal 15 Settembre 2014 al 15 Dicembre 2014
Milano
Luogo: Lucie Fontaine
Indirizzo: via Rinaldo Rigola 1
Orari: su appuntamento
Curatori: Luca Bertolo
Telefono per informazioni: +39 331 9974699
E-Mail info: info@luciefontaine.com
Sito ufficiale: http://www.luciefontaine.com
Lucie Fontaine é lieta di presentare “I baffi del bambino” un progetto a cura di Luca Bertolo. La mostra apre lunedí 15 settembre, 2014, dalle 19 alle 21 e resterá aperta fino al 15 dicembre, 2014. Accompagnata dal seguente testo, il progetto include lavori di: Alis/Filliol, Riccardo Baruzzi, Luca Bertolo, Sergio Breviario, Chiara Camoni, canecapovolto, Bettina Carl, Radu Com?a, Flavio Favelli, Linda Fregni Nagler, Antonio Grulli, Paul Housley, Esther Kläs, Adriano Nasuti Wood, Giancarlo Norese & Cesare Pietroiusti, Katrin Plavcak, Alessandro Pessoli, Luigi Presicce, Fabrizio Prevedello, Autumn Ramsey, Antonio Rovaldi, Alessandra Spranzi e Italo Zuffi.
In altre parole, perché una spalla ben inclinata è funzionale (e quindi bella) mentre un torace striminzito è poco funzionale (e quindi brutto)? Chi ce lo dice? Ce lo dicono l’Anatomia, la Meccanica e le leggi della Fisica.[righe cancellate]
Esattamente vent’anni fa, insieme al mio amico Luca Giorcelli inaugurammo Risultati buoni[1], una mostra di opere realizzate a quattro mani. Eravamo partiti da alcuni opuscoli di medicina e veterinaria, che avevamo trovato nei locali abbandonati dell’ex Istituto Sieroterapico di Milano. Avevamo fotografato alcune delle immagini dei libri (tra cui cani, cavalli, utensili), stampandone poi degli ingrandimenti. Avevamo giocato anche coi testi, cancellandoli parzialmente. Il pezzo forte, che dava il nome alla mostra, era una sequenza di donne seminude (pazienti fotografate dopo un’operazione all’anca) che sembrano esercitarsi in assurdi passi di danza. Un audio diffuso completava la mostra: brevi canti d’uccello commentati in russo da una voce virile. A parte le fidanzate e alcuni amici venuti per l’inaugurazione, quella mostra - la mia prima - non ebbe visitatori.
La contemplazione non è che che un occasionale tratto difettivo di quella condizione generale e onnicomprensiva che è l’aver sempre da fare questo o quello, questo e quello.[2]
Nel 1993 acquistai la mia prima opera d’arte. Si trattava di un quadro. Lo acquistai direttamente dall’autore, un amico più grande di me, spendendo due terzi di quello che avevo in banca (un milione di lire, come il Signor Bonaventura). Su quella piccola tela si riconosce, pur molto semplificato, un signore seduto. E’ verdino su uno sfondo verdino. Cosa sta facendo quel signore un po’ goffo? Sta. Evidentemenete, si è scelto una posizione comoda da cui contemplare il mondo. Ora, come è noto la contemplazione è un’attività del tutto particolare, dal momento che si occupa non tanto delle cose quanto del loro senso. Tra l’altro, come spiega Byung-Chul Han[3], la contemplazione non è per nulla passiva: al contrario è una forma di attività di livello superiore, oltre che un necessario correttivo a quell’attivismo un po’ isterico (performatività) che caratterizza il nostro momento storico. Ma sono tempi duri per la contemplazione, anche in ambito artistico, dove la sola parola mette a disagio un mucchio di gente.
A voler essere onesti, siamo tutti piuttosto goffi. Questa tara, allo stesso tempo detestabile e commovente, ben rappresenta la nostra condizione umana: creature in bilico tra animalità e cultura, tra principio di realtà e principio di piacere, tra corpo e spirito, tra approssimazione e delirio di perfezione. E’ un bilico faticoso. Di un’opera d’arte trovo particolarmente stimolante, quando c’è, la tensione tra eleganza e impaccio. E’ una cosa che mi mette allegria. Inoltre, come è noto, certi gesti risultano espressivi proprio perché impacciati. In ogni caso, da che mondo è mondo artisti scrittori scienziati e musicisti si affannano attorno alla forma, cercano l’eleganza, provano a portare un po’ d’ordine nel caos. S’impuntano operosamente. E’ una cosa del tutto comprensibile. Il limite è che quando la forma si fa troppo stretta la vita tende a soffocarci dentro.
Lo ripeto: è l’impossibilità di eliminare completamente l’arbitrarietà, a meno che si opti per i monocromi - e forse neanche così - che sta alla base dell’attuale lutto per il modernismo.[4]
Un po’ alla larga, ma credo che questa mostra abbia anche a che fare (ancora? beh sì..) con la cosiddetta morte delle utopie. Organizzare una società perfetta, costruire l’uomo nuovo - stiamo parlando di simili stupende aberrazioni. A quanto pare, l’umanità non se l’è mai cavata granchè bene con la pianificazione socio-politica. Prima o poi salta sempre fuori qualche bug o effetto collaterale, tipo i Gulag. Anche il modernismo è stato una declinazione di quello stesso idealismo esasperato, sebbene, vivaddio, con conseguenze meno nefaste. Sia come sia, già da un po’ di tempo i diktat modernisti sono stati riposti in soffitta. In effetti, perché mai un monocromo dovrebbe essere più puro di un viandante che contempla un mare di nebbia?
Ed eccoci in dirittura finale. Quello che sto per dire potrà sembrare fuori tema, o quanto meno eterogeneo rispetto a quanto detto fin qui. Pazienza. Ascoltate: pur essendo fragilissimo, il bambino comanda. Spietato con le lucertole, candido nell’autoaccusa, potente all’improvvisazione - il bambino. Per l’adulto, il bambino è una controfigura. Se è per quello, può anche avere i baffi [5]. Il bambino è un lago cui l’adulto attinge ogni volta che si sente inaridire. Il bambino inciampa continuamente, ma ci strappa un sorriso benevolo: domani sarà lui a occuparsi dei padri.
L.B. marzo-agosto 201
[1] La mostra ebbe luogo al Circolo Culturale Index di Milano.
[2] Carlo Sini, Alle radici ancestrali del disegno, in Il disegno dopo il disegno, Pisa University Press, 2013.
[3] Byung.Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012
[4] Yve-Alain Bois, Painting as Model, MIT Press, 1990 (traduzione mia).
[5] Cfr Il bambino con i baffi, “film acustico” di canecapovolto, opera presente in mostra.
In altre parole, perché una spalla ben inclinata è funzionale (e quindi bella) mentre un torace striminzito è poco funzionale (e quindi brutto)? Chi ce lo dice? Ce lo dicono l’Anatomia, la Meccanica e le leggi della Fisica.[righe cancellate]
Esattamente vent’anni fa, insieme al mio amico Luca Giorcelli inaugurammo Risultati buoni[1], una mostra di opere realizzate a quattro mani. Eravamo partiti da alcuni opuscoli di medicina e veterinaria, che avevamo trovato nei locali abbandonati dell’ex Istituto Sieroterapico di Milano. Avevamo fotografato alcune delle immagini dei libri (tra cui cani, cavalli, utensili), stampandone poi degli ingrandimenti. Avevamo giocato anche coi testi, cancellandoli parzialmente. Il pezzo forte, che dava il nome alla mostra, era una sequenza di donne seminude (pazienti fotografate dopo un’operazione all’anca) che sembrano esercitarsi in assurdi passi di danza. Un audio diffuso completava la mostra: brevi canti d’uccello commentati in russo da una voce virile. A parte le fidanzate e alcuni amici venuti per l’inaugurazione, quella mostra - la mia prima - non ebbe visitatori.
La contemplazione non è che che un occasionale tratto difettivo di quella condizione generale e onnicomprensiva che è l’aver sempre da fare questo o quello, questo e quello.[2]
Nel 1993 acquistai la mia prima opera d’arte. Si trattava di un quadro. Lo acquistai direttamente dall’autore, un amico più grande di me, spendendo due terzi di quello che avevo in banca (un milione di lire, come il Signor Bonaventura). Su quella piccola tela si riconosce, pur molto semplificato, un signore seduto. E’ verdino su uno sfondo verdino. Cosa sta facendo quel signore un po’ goffo? Sta. Evidentemenete, si è scelto una posizione comoda da cui contemplare il mondo. Ora, come è noto la contemplazione è un’attività del tutto particolare, dal momento che si occupa non tanto delle cose quanto del loro senso. Tra l’altro, come spiega Byung-Chul Han[3], la contemplazione non è per nulla passiva: al contrario è una forma di attività di livello superiore, oltre che un necessario correttivo a quell’attivismo un po’ isterico (performatività) che caratterizza il nostro momento storico. Ma sono tempi duri per la contemplazione, anche in ambito artistico, dove la sola parola mette a disagio un mucchio di gente.
A voler essere onesti, siamo tutti piuttosto goffi. Questa tara, allo stesso tempo detestabile e commovente, ben rappresenta la nostra condizione umana: creature in bilico tra animalità e cultura, tra principio di realtà e principio di piacere, tra corpo e spirito, tra approssimazione e delirio di perfezione. E’ un bilico faticoso. Di un’opera d’arte trovo particolarmente stimolante, quando c’è, la tensione tra eleganza e impaccio. E’ una cosa che mi mette allegria. Inoltre, come è noto, certi gesti risultano espressivi proprio perché impacciati. In ogni caso, da che mondo è mondo artisti scrittori scienziati e musicisti si affannano attorno alla forma, cercano l’eleganza, provano a portare un po’ d’ordine nel caos. S’impuntano operosamente. E’ una cosa del tutto comprensibile. Il limite è che quando la forma si fa troppo stretta la vita tende a soffocarci dentro.
Lo ripeto: è l’impossibilità di eliminare completamente l’arbitrarietà, a meno che si opti per i monocromi - e forse neanche così - che sta alla base dell’attuale lutto per il modernismo.[4]
Un po’ alla larga, ma credo che questa mostra abbia anche a che fare (ancora? beh sì..) con la cosiddetta morte delle utopie. Organizzare una società perfetta, costruire l’uomo nuovo - stiamo parlando di simili stupende aberrazioni. A quanto pare, l’umanità non se l’è mai cavata granchè bene con la pianificazione socio-politica. Prima o poi salta sempre fuori qualche bug o effetto collaterale, tipo i Gulag. Anche il modernismo è stato una declinazione di quello stesso idealismo esasperato, sebbene, vivaddio, con conseguenze meno nefaste. Sia come sia, già da un po’ di tempo i diktat modernisti sono stati riposti in soffitta. In effetti, perché mai un monocromo dovrebbe essere più puro di un viandante che contempla un mare di nebbia?
Ed eccoci in dirittura finale. Quello che sto per dire potrà sembrare fuori tema, o quanto meno eterogeneo rispetto a quanto detto fin qui. Pazienza. Ascoltate: pur essendo fragilissimo, il bambino comanda. Spietato con le lucertole, candido nell’autoaccusa, potente all’improvvisazione - il bambino. Per l’adulto, il bambino è una controfigura. Se è per quello, può anche avere i baffi [5]. Il bambino è un lago cui l’adulto attinge ogni volta che si sente inaridire. Il bambino inciampa continuamente, ma ci strappa un sorriso benevolo: domani sarà lui a occuparsi dei padri.
L.B. marzo-agosto 201
[1] La mostra ebbe luogo al Circolo Culturale Index di Milano.
[2] Carlo Sini, Alle radici ancestrali del disegno, in Il disegno dopo il disegno, Pisa University Press, 2013.
[3] Byung.Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2012
[4] Yve-Alain Bois, Painting as Model, MIT Press, 1990 (traduzione mia).
[5] Cfr Il bambino con i baffi, “film acustico” di canecapovolto, opera presente in mostra.
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