Fotografia e ritratto. A vent'anni dalla mostra 'Io e il suo doppio'
Dal 24 Luglio 2015 al 20 Settembre 2015
Zoppola | Pordenone
Luogo: Galleria Civica d'Arte Celso e Giovanni, Costantini, Castions di Zoppola
Indirizzo: piazza Indipendenza
Orari: sabato e domenica 15 - 19
Curatori: Walter Liva
Enti promotori:
- MiBACT
- CRAF – Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0434 577526
E-Mail info: info@craf-fvg.it
Sito ufficiale: http://www.craf-fvg.it
Vent’anni fa, nel 1995, il Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari di Firenze presentò al Padiglione Italia della Biennale di Venezia la mostra L’io e il suo doppio. Un secolo di ritratto fotografico in Italia curata da Italo Zannier con la collaborazione del Direttore del Settore Arti Visive della Biennale Jean Clair, di Susanna Weber e Daniela Cammilli.
Cento anni prima, nell’aprile 1895, la Regina Margherita aveva inaugurato la prima Biennale di Venezia “…certo non immaginando - come ricordò nel 1995 Claudio De Polo nella sua presentazione del catalogo – che un’arte allora ritenuta ‘minore’ come la fotografia sarebbe un giorno entrata, con tutti gli onori, a far parte dell’esposizione…”.
Dalla mostra del 1995 sono passati altri vent’anni durante i quali la fotografia tradizionale e i suoi meccanismi (impressione di un negativo e quindi stampa “chimica”) è diventata qualcosa d’altro.
Dopo il 1839 il dagherrotipo ebbe per alcuni anni un immediato successo, soprattutto nel campo del ritratto, anche per la nitidezza delle immagini impresse, ma il futuro appartenne al calotipo di Talbot che diede un maggiore impulso anche per fotografare a figura intiera.
Nel 1851, venne reso pubblico il procedimento al collodio umido: si ottenne così un negativo su vetro più facile da stampare rispetto ai negativi di carta, abbassando i tempi di esposizione e migliorando la qualità di stampa delle immagini.
Si delineò così l’Età del collodio: per circa un trentennio il collodio (prima umido poi secco) fu la tecnica più usata per ottenere negativi fotografici, soppiantata solo verso il 1880 dalla tecnica alla gelatina.
La carte de visite, iniziò allora anche ad essere impiegata per documentare con immagini di carattere turistico – antropologico i costumi e le tradizioni regionali.
Verso la fine dell’800 apparvero le lastre al collodio secco e diedero una spinta impetuosa anche alla fotografia amatoriale.
Nel 1878 Ugo Bettini affrontò le questioni del ritratto in studio, poi nel 1895 Carlo Brogi pubblicò un libretto divertente, Il ritratto in fotografia. Appunti pratici per chi posa, mentre dieci anni prima aveva scritto In proposito della protezione legale sulle fotografie al quale fecero seguito molti articoli sul bollettino della Società Fotografica Italiana.
Stava anche nascendo la ricerca fisiognomica e fu Luigi Gioppi l’autore nel 1891 del Gran Manuale dove si occupò anche di fotografia criminale.
Fu quindi la volta del colore che i fratelli Lumiere descrissero anche nel Bullettino della Società Fotografica Italiana del 1904 e la grande crescita delle riviste illustrate come La Fotografia Artistica e Progresso Fotografico (e poi della cartolina postale, che permetteva di inviare ai familiari la propria immagine dal fronte), si rivelarono un fatto mediatico di straordinaria portata anche se l’inizio della Grande Guerra segnò la fine di un’epoca della storia della fotografia.
Nel primo dopoguerra, fu Arturo Ghergo l’ autore di una raffinata ricerca formale in atelier. A Udine il più importante ritrattista fu Francesco Krivec e Pasquale De Antonis invece il primo fotografo a portare le modelle fuori dallo studio in una specie di set cinematografico urbano.
Con gli anni ’50, la figura umana riacquistò la sua centralità e così Nino Migliori in Gente dell’Emilia documentò la vita nella campagne della Pianura Padana; Alessandro Novaro, Ferruccio Ferroni, Fulvio Roiter mostrarono straordinarie icone del Sud d’Italia come pure Alfredo Camisa nella serie I Mercati all’aperto del 1956; Italo Zannier e gli altri fotografi del Gruppo Friulano si concentrarono sul mondo contadino e della montagna friulana, infine apparve Mario Giacomelli con la sua poetica ben oltre l’esperienza neorealista.
Toni Nicolini si caratterizzò invece per la particolare sensibilità e l’impegno del racconto sociale che risultò temperato dalla narrazione poetica, quindi fu la volta di Morire di classe con testi di Franca Ongaro Basaglia e tra i fotografi protagonisti Gianni Berengo Gardin, mentre Roberto Salbitani predilesse il treno quale luogo degli incontri casuali e della sospensione esistenziale.
Luca Maria Patella è stato dalla prima metà degli anni Sessanta uno dei pionieri in Europa dell’uso artistico di fotografia e film, fino ai Vasi Fisionomici, “vasi-ritratto” torniti su profili di personaggi storici o viventi.
Alla fine degli anni ’60 Mario Cresci ha realizzato nastri fotografici di contenuto sociale e aderenti all’idea del teatro di strada per dedicarsi poi all’esperienza diretta del lavoro sul campo in ambito etnico e antropologico delle regioni del Mezzogiorno.
La ritrattistica italiana degli anni ’80, in particolare nel campo della moda ha introdotto nuovi termini come fashion, glamour per indicare quei ritratti in cui mette in risalto il fascino, l’eleganza e la sensualità; lifestyle per comunicare la sensazione di un'esperienza di vita del soggetto. Tra i principali riferimenti Giampaolo Barbieri, Davide Mosconi, Paola Mattioli, Nadir, Emilio Tremolada, Sergio Efrem Raimondi, Enzo Cei, Giacomo Bretzel, Toni Thorimbert,
A Milano dagli anni Sessanta ha preso avvio il percorso creativo di Maria Mulas con la realizzazione di fotografie ispirate al mondo del teatro e al tema del ritratto soggetto ripreso costantemente nel suo itinerario artistico. Di ritrattistica si sono occupati Frank Dituri con l’infrarosso e Franco Fontana. Molte delle opere di Paolo Gioli sono pezzi unici Polaroid o Cibachrome, particolarmente originali e realizzate con la tecnica del foro stenopeico, irripetibile e preziosa per l’alto grado di sperimentazione.
Per uno dei più importanti ritrattisti dell’ultima parte del secolo Giovanni Gastel, protagoniste sono le figure femminili che lui ritrae, in un percorso che ci porta a scoprire attraverso il suo obiettivo il rapporto che lega la donna contemporanea alle grandi firme di moda.
Sul ritratto si sono cimentati pure molti autori come Massimo Vitali, che indaga i fenomeni di massa, Vasco Ascolini, Maurizio Buscarino, Franco Turcati, Moreno Gentili, i fotogiornalisti Enrico Bossan e Roberto Koch.
Per Guido Guidi, Marco Zanta e Massimo Sordi la figura umana è parte del paesaggio marginale, mentre per fotografi-artisti (Antonio Biasiucci, Rosa Foschi, Giovanni Ziliani, Giancarlo Dell’Antonia, Francesca Semeria, Renato Begnoni, Francesca Martinuzzi, Elena Soloni, Giorgia Franzoi, Barbara Vianello e del Friuli Venezia Giulia, tra cui Pier Mario Ciani, Fulvio Merlak, Maurizio Frullani, Gianni Cesare Borghesan, Deborah Vrizzi, Roberto Kusterle, Mauro Paviotti, Isabella Pers) la figura umana scompare inghiottita dai colori in una sorta di metamorfosi.
Cento anni prima, nell’aprile 1895, la Regina Margherita aveva inaugurato la prima Biennale di Venezia “…certo non immaginando - come ricordò nel 1995 Claudio De Polo nella sua presentazione del catalogo – che un’arte allora ritenuta ‘minore’ come la fotografia sarebbe un giorno entrata, con tutti gli onori, a far parte dell’esposizione…”.
Dalla mostra del 1995 sono passati altri vent’anni durante i quali la fotografia tradizionale e i suoi meccanismi (impressione di un negativo e quindi stampa “chimica”) è diventata qualcosa d’altro.
Dopo il 1839 il dagherrotipo ebbe per alcuni anni un immediato successo, soprattutto nel campo del ritratto, anche per la nitidezza delle immagini impresse, ma il futuro appartenne al calotipo di Talbot che diede un maggiore impulso anche per fotografare a figura intiera.
Nel 1851, venne reso pubblico il procedimento al collodio umido: si ottenne così un negativo su vetro più facile da stampare rispetto ai negativi di carta, abbassando i tempi di esposizione e migliorando la qualità di stampa delle immagini.
Si delineò così l’Età del collodio: per circa un trentennio il collodio (prima umido poi secco) fu la tecnica più usata per ottenere negativi fotografici, soppiantata solo verso il 1880 dalla tecnica alla gelatina.
La carte de visite, iniziò allora anche ad essere impiegata per documentare con immagini di carattere turistico – antropologico i costumi e le tradizioni regionali.
Verso la fine dell’800 apparvero le lastre al collodio secco e diedero una spinta impetuosa anche alla fotografia amatoriale.
Nel 1878 Ugo Bettini affrontò le questioni del ritratto in studio, poi nel 1895 Carlo Brogi pubblicò un libretto divertente, Il ritratto in fotografia. Appunti pratici per chi posa, mentre dieci anni prima aveva scritto In proposito della protezione legale sulle fotografie al quale fecero seguito molti articoli sul bollettino della Società Fotografica Italiana.
Stava anche nascendo la ricerca fisiognomica e fu Luigi Gioppi l’autore nel 1891 del Gran Manuale dove si occupò anche di fotografia criminale.
Fu quindi la volta del colore che i fratelli Lumiere descrissero anche nel Bullettino della Società Fotografica Italiana del 1904 e la grande crescita delle riviste illustrate come La Fotografia Artistica e Progresso Fotografico (e poi della cartolina postale, che permetteva di inviare ai familiari la propria immagine dal fronte), si rivelarono un fatto mediatico di straordinaria portata anche se l’inizio della Grande Guerra segnò la fine di un’epoca della storia della fotografia.
Nel primo dopoguerra, fu Arturo Ghergo l’ autore di una raffinata ricerca formale in atelier. A Udine il più importante ritrattista fu Francesco Krivec e Pasquale De Antonis invece il primo fotografo a portare le modelle fuori dallo studio in una specie di set cinematografico urbano.
Con gli anni ’50, la figura umana riacquistò la sua centralità e così Nino Migliori in Gente dell’Emilia documentò la vita nella campagne della Pianura Padana; Alessandro Novaro, Ferruccio Ferroni, Fulvio Roiter mostrarono straordinarie icone del Sud d’Italia come pure Alfredo Camisa nella serie I Mercati all’aperto del 1956; Italo Zannier e gli altri fotografi del Gruppo Friulano si concentrarono sul mondo contadino e della montagna friulana, infine apparve Mario Giacomelli con la sua poetica ben oltre l’esperienza neorealista.
Toni Nicolini si caratterizzò invece per la particolare sensibilità e l’impegno del racconto sociale che risultò temperato dalla narrazione poetica, quindi fu la volta di Morire di classe con testi di Franca Ongaro Basaglia e tra i fotografi protagonisti Gianni Berengo Gardin, mentre Roberto Salbitani predilesse il treno quale luogo degli incontri casuali e della sospensione esistenziale.
Luca Maria Patella è stato dalla prima metà degli anni Sessanta uno dei pionieri in Europa dell’uso artistico di fotografia e film, fino ai Vasi Fisionomici, “vasi-ritratto” torniti su profili di personaggi storici o viventi.
Alla fine degli anni ’60 Mario Cresci ha realizzato nastri fotografici di contenuto sociale e aderenti all’idea del teatro di strada per dedicarsi poi all’esperienza diretta del lavoro sul campo in ambito etnico e antropologico delle regioni del Mezzogiorno.
La ritrattistica italiana degli anni ’80, in particolare nel campo della moda ha introdotto nuovi termini come fashion, glamour per indicare quei ritratti in cui mette in risalto il fascino, l’eleganza e la sensualità; lifestyle per comunicare la sensazione di un'esperienza di vita del soggetto. Tra i principali riferimenti Giampaolo Barbieri, Davide Mosconi, Paola Mattioli, Nadir, Emilio Tremolada, Sergio Efrem Raimondi, Enzo Cei, Giacomo Bretzel, Toni Thorimbert,
A Milano dagli anni Sessanta ha preso avvio il percorso creativo di Maria Mulas con la realizzazione di fotografie ispirate al mondo del teatro e al tema del ritratto soggetto ripreso costantemente nel suo itinerario artistico. Di ritrattistica si sono occupati Frank Dituri con l’infrarosso e Franco Fontana. Molte delle opere di Paolo Gioli sono pezzi unici Polaroid o Cibachrome, particolarmente originali e realizzate con la tecnica del foro stenopeico, irripetibile e preziosa per l’alto grado di sperimentazione.
Per uno dei più importanti ritrattisti dell’ultima parte del secolo Giovanni Gastel, protagoniste sono le figure femminili che lui ritrae, in un percorso che ci porta a scoprire attraverso il suo obiettivo il rapporto che lega la donna contemporanea alle grandi firme di moda.
Sul ritratto si sono cimentati pure molti autori come Massimo Vitali, che indaga i fenomeni di massa, Vasco Ascolini, Maurizio Buscarino, Franco Turcati, Moreno Gentili, i fotogiornalisti Enrico Bossan e Roberto Koch.
Per Guido Guidi, Marco Zanta e Massimo Sordi la figura umana è parte del paesaggio marginale, mentre per fotografi-artisti (Antonio Biasiucci, Rosa Foschi, Giovanni Ziliani, Giancarlo Dell’Antonia, Francesca Semeria, Renato Begnoni, Francesca Martinuzzi, Elena Soloni, Giorgia Franzoi, Barbara Vianello e del Friuli Venezia Giulia, tra cui Pier Mario Ciani, Fulvio Merlak, Maurizio Frullani, Gianni Cesare Borghesan, Deborah Vrizzi, Roberto Kusterle, Mauro Paviotti, Isabella Pers) la figura umana scompare inghiottita dai colori in una sorta di metamorfosi.
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