Da Guttuso a Vedova a Schifano. Il filo della pittura in Italia nel secondo Novecento

Gianfranco Ferroni, Mia madre in giardino, 1963, olio su tela, cm 70 x 100. Collezione privata
Dal 29 October 2016 al 1 May 2016
Treviso
Luogo: Museo di Santa Caterina
Indirizzo: piazzetta Mario Botter 1
Curatori: Marco Goldin
Telefono per informazioni: +39 0422 429999
E-Mail info: info@lineadombra.it
Sito ufficiale: http://www.lineadombra.it
In occasione dei vent’anni dalla nascita di Linea d’ombra, non potrà mancare una mostra sul secondo, grande tema che ha accompagnato molte rassegne da me curate e che hanno visto, appunto, Linea d’ombra quale veicolo organizzativo.
Si tratta dello studio, sostanziato anche da decine e decine di cataloghi e libri, sulla pittura italiana del Novecento, e soprattutto quella della seconda parte del secolo.
Quello che si propone l’esposizione in oggetto, è di individuare un percorso − attraverso la selezione di una cinquantina di autori importanti − della pittura italiana dagli anni che seguono la chiusura della Seconda guerra mondiale per giungere alla conclusione del Novecento.
Scegliendo artisti nati tra la fine del primo decennio del XX secolo e la fine degli anni trenta.
Quanto a dire due generazioni di pittori, che vanno da Afro e Guttuso fino a Novelli e Schifano.
Come sempre mi è capitato in tutti questi anni, non sarà la categorizzazione della pittura né la suddivisione insistita per generi a guidarmi.
Quanto desidero emerga, all’insegna della libertà del racconto, è la comprensione di una ricchezza straordinaria che la pittura italiana ha avuto in quei decenni.
Molto spesso, e certamente dopo lo spartiacque del Sessantotto, sommersa da ismi solo teoricamente più moderni, fino a quando, già nel nuovo secolo, la pittura è sembrata scomparire a favore di una diversa, e molto più evaporante, interpretazione non del reale ma dell’effimero trasformato in vacuissima arte.
La lingua che invece questa mostra vuole dire, è quella della compatibilità tra il quotidiano e una nota eterna e infinita che giunge ancora a noi dalla nobiltà della pittura antica.
Senza che essa possa essere preda di alcun passatismo nostalgico.
O diventare penoso substrato ideologico di reduci, i pittori, male in arnese e livorosi rispetto al corso diverso delle cose. Invece gioia di mostrare la bellezza, per riflettere non sulla resistenza di alcunché, né su alcuna nostalgia da signorina Felicita. Invece riflettere sulla persistenza di quella poesia che si apre al mondo per la via di un segreto e di un mistero.
Niente figurazione o astrazione o informale in questa mostra.
Pur se, ovviamente, a queste categorie la pittura italiana del secondo Novecento si è appoggiata.
E ne traccia una pur utile comprensione.
Ma il desiderio, quanto aperto, di un racconto che tenga insieme, perché gli anni furono gli stessi, l’opera di Guttuso con quella di Afro, quella di Music con quella di Turcato.
Oppure quella di Zigaina con quella di Tancredi, quella di Ferroni con quella di Vedova.
O ancora, quella di Guccione con quella di Novelli, quella di Schifano con quella di Ruggeri.
Sono solo alcuni dei nomi celebri che fanno la gloria di questa lunga storia, che solo per dire di altri va da Morlotti a Scialoja, da Birolli a Pizzinato.
E poi da Dorazio a Vespignani, da Bendini a Francese.
E ancora da Olivieri a Sarnari, da Savinio a Lavagnino. Un’occasione utilissima perché la pittura sia un racconto che si faccia storia. Senza paura di essere.
Occasione che si disporrà come una sorta di tavola sinottica dal 1946 all’anno 2000. Per ognuno di questi anni, ecco dunque perché nel sottotitolo della mostra ho evocato il filo della pittura che si dipana, sceglierò un artista che con una sua opera importante rappresenterà quella data precisa.
Alla fine a uscirne sarà fino in fondo un racconto che illustrerà il mezzo secolo considerato.
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