Arte on the road
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Grande vetro
21/12/2000
Brooklyn, 1926. Un camion sobbalza per le strade dissestate. Dentro il camion “Il grande vetro”, l’ opera a cui Marcel Duchamp ha dedicato otto anni della propria vita. Ma si può continuare con le parole di Duchamp stesso: “L’autista ignorava completamente cosa trasportasse. L’ opera fu così sballottata per novanta chilometri attraverso il Connecticut. Il risultato sono le crepe che rigano tutto il vetro. Ma mi piacciono. Anzi ci vedo una strana intenzione di cui non sono io il responsabile.”
Naturalmente non si può essere sempre così soddisfatti di un risultato del genere.
Quando si ha a che fare con le opere del passato le cautele non sono mai troppe e a volte spostarle è un azzardo che nessuno oserebbe affrontare.
Quattordici anni dopo il danneggiamento, forse provvidenziale, del “Grande vetro” di Duchamp, a Roma Romolo Montenovi, esperto nel trasporto di opere d’arte, esaminava con piglio preoccupato la Paolina Borghese del Canova. Era il 1940, tiravano venti di guerra e il rischio incombente di bombardamenti consigliava di portare al sicuro i capolavori dei principali musei. Ma la “Paolina Borghese” se ne rimase tutta sola al centro della galleria sua omonima, con un baldacchino costruito sopra di lei, a sfidare la furia dei bombardieri.
Un pelo, cioè una sottilissima crepa presente nel marmo, aveva convinto gli esperti che l’opera era intrasportabile.
E solo nel 1994 si è stabilito che la celebre opera del Canova poteva essere trasportata, in questo caso a Venezia. Ad accertarlo è stato il nipote dell’esperto che l’aveva esaminata nel ’40. “Tante cose sono cambiate da allora”, spiega Mauro Montenovi, erede di una famiglia che da più di cento anni si occupa di portare da un continente all’altro capolavori.
“Adesso ci sono sollevatori – aggiunge - camion con sospensioni pneumatiche, imbarcazioni con barre antirollio e nuovi materiali d’imballaggio sintetici, come il Polycam”.
Anche in quell’occasione Paolina Borghese, da vera signora, non si mosse. Furono ragioni economiche a bloccarla, anche se il prezzo per il trasporto, non altissimo, era stato fissato in circa cinquanta milioni.
Costa meno di quanto si potrebbe immaginare muovere le opere d’arte. In occasione di una esposizione a Palazzo Ruspoli, far arrivare le “Tre Grazie”, più altre sette opere di Canova dall’Hermitage di San Pietroburgo, costò all’incirca 400 milioni, per il solo trasporto: Helsinki, Lubecca, Roma il percorso. Aereo, nave e camion i mezzi impiegati.
Quando un’opera decolla per la sua destinazione i soggetti coinvolti sono diversi: lo spedizioniere del paese di arrivo e quello del paese di partenza, le polizie delle nazioni attraversate, a volte sostitutite dall’Interpol. Infine il corriere, l’angelo custode dell’opera d’arte, che la segue dovunque oppure, a secondo delle circostanze, si limita a controllarne la partenza e l’arrivo.
Molti i rischi per Girasoli di Van Gogh e Pensatori di Rodin quando si trovano in volo a 10mila metri di quota o superano in nave un tratto di mare. In occasione di una esposizione in Brasile alcuni quadri provenienti dall’Europa furono trovati all’arrivo con le tele incollate tra loro come sottilette, per colpa di una cattiva pressurizzazione del vano bagagli dell’aereo.
E non è un caso se per il primo spostamento della “Dama con ermellino” di Leonardo, nel 1993, tra Cracovia e Malmö, furono pretese cautele eccezionali, tra cui un contenitore impermeabile e climatizzato per mezzo di un computer.
L’irreparabile può nascondersi dietro ogni angolo. Nel 1982 l’autista del camion che trasportava l’Augusto di Primaporta al Metropolitan Museum calcolò male le misure della cassa con l’altezza dell’ingresso del garage del museo e ci fu una collisione. Al controllo risultò che il primo imballaggio era distrutto, il secondo gravemente danneggiato, mentre il terzo, per fortuna, aveva resistito. E l’autista, probabilmente, avvertì la presenza “di una strana intenzione” di cui non era il responsabile. Proprio come Duchamp.
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