Il nuovo Fidia: Antonio Canova

Socrate beve la cicuta di Antonio Canova
15/03/2002
L’ultima sala dell’esposizione è consacrata alla celebrazione dell’artista che più di ogni altro ha rappresentato l’età neoclassica: il veneto di nascita e romano d’adozione, Antonio Canova (1757-1822).
Esaltato in vita come il nuovo Fidia, richiesto dai sovrani di tutta Europa, Canova, “artefice divino”, era riuscito, secondo i contemporanei, non solo ad eguagliare, ma perfino a superare gli antichi, dando nuova vita alla perduta bellezza del mondo greco. Quando morì la società dell’arte e delle lettere fu in lutto: era scomparso l’ultimo e più grande maestro.
Le opere selezionate intendono ripercorrere la vicenda dello scultore dalla gioventù sino alla maturità, acquisita già alla fine del Settecento.
L’Orfeo dell’Ermitage (1777) documenta della prima attività di Canova quando, ancora a Venezia, si orientò verso il recupero del naturalismo cinquecentesco di Jacopo Sansovino e Alessandro Vittoria.
Il soggetto del Teseo vincitore del Minotauro, gesso conservato presso le Gallerie dell’Accademia, venne suggerito all’artista, già residente a Roma, dal mercante inglese Gavin Hamilton. L’intento di Canova fu quello di dare corpo al motto winckelmanniano di “nobile semplicità e quieta grandezza”. Il gruppo viene oggi considerato come una sorta di manifesto della conversione stilistica operata dallo scultore: manifesto di un’arte in cui l’elemento ideale, personificato da Teseo, s’impone e trionfa sull’elemento animale, allusivo ad una concezione istintuale, naturalistica del fare artistico.
Straordinaria è la serie dei bassorilievi Rezzonico (tredici in tutto), commissionati all’artista dal senatore di Roma Abbondio Rezzonico alla fine degli anni Ottanta del Settecento. Trionfano i temi omerici e le storie di Socrate, il “Santo della ragione”. La riuscita intenzione di creare un linguaggio figurativo nuovo, capace di rendere la forza e la carica ideale dei testi greci, rese immediata gloria al ciclo, modello per le successive elaborazioni di John Flaxmann (del quale sono in mostra incisioni a puro contorno realizzate nel 1793 a commento dell’Iliade e dell’Odissea).
La Maddalena penitente del Museo di Sant’Agostino a Genova e il gruppo di Venere e Adone (nella versione in gesso della Gipsoteca di Possagno) chiudono, emozionando, il percorso espositivo. Il marmo a soggetto mitologico, commissionato dal nobile genovese Francesco Berio, arrivò a Napoli nei primi mesi del 1795 e fu collocato in un tempietto appositamente costruito nel giardino del palazzo del signore, in via Toledo. Il successo fu immediato e clamoroso. Nel 1821, alla morte di Berio, il gruppo venne acquistato dal colonnello Guillaume Fabre che lo trasferì nella sua villa a Ginevra. Prima che giungesse a destinazione Canova, ancora vivo, volle ritoccarlo “per renderlo migliore”. E’ questa una significativa testimonianza di come egli intervenisse sulle proprie opere a decenni di distanza, quasi per corrispondere ad un inappagato desiderio di perfezione.
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