Al cinema l’11, 12 e 13 aprile
Tintoretto. L'artista che uccise la pittura - La nostra recensione
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, 2022, Film documentario, 86', Regia Erminio Perocco, Musiche Carlo Raiteri e Teho Teardo, Fotografa Giovanni Andreota, Montaggio Matteo Trevisan, Una produzione Kublai Film, ZDF / arte, Gebruder Beetz, Videe Spa, Zeta Group | Courtesy of Kublai Film
Samantha De Martin
25/03/2022
“Minuto di corpo, granello di pepere, giovane di nascita, ma anziano per ragionamento”. Così Andrea Calmo, biografo e attore contemporaneo di Tintoretto, descriveva il furente maestro del pennello.
Spirito irrequieto, capace di sbalordire i committenti con trovate sorprendenti, anche grazie alla rapidità di esecuzione delle opere, Jacopo Robusti contava ammiratori anche nella cerchia dei grandi maestri, soprattutto per via delle innovazioni tecniche e di quella pittura che hanno esercitato un’influenza profonda e costante sulla storia dell’arte, da Peter Paul Rubens e El Greco fino a Max Beckmann per arrivare, in tempi più recenti, a Jackson Pollock.
“La sua opera è immensa, include ogni cosa, dalla natura morta fino a Dio, è un enorme arca di Noè, io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!” scriveva un estasiato Paul Cézanne che vedeva il collega veneziano come l’idolo della pittura.
E infatti, alla maniera di un virtuoso regista o di un direttore d’orchestra che aggancia lo spettatore con l’audacia magnetica delle sue pennellate, Tintoretto ci avvinghia a sé con la complessità delle storie raccontate nei suoi quadri giganteschi, attraverso strategie che oggi definiremmo da marketing. A raccontare il modo, facendo giungere a noi moderni l’attualità della rivoluzione compiuta sulla tela dal grande artefice del Rinascimento italiano, a singolar tenzone con la tradizione per sostituire il colore con pose dinamiche e scene drammatiche, arriva sul grande schermo Tintoretto. L'artista che uccise la pittura. Il documentario diretto da Erminio Perocco, prodotto da Kublai Film, Gebruder Beetz, Videe Spa, Zeta Group, Arte/ZDF e distribuito da Kublai Film, al cinema l’11-12 e 13 aprile, ci conduce alle radici della rivoluzione del maestro nei cui lavori le pose drammatiche, le scene dinamiche, la resa plastica prendono il posto della mera narrazione facendo del Robusti un autentico regista della pittura. Con affascinanti tableux vivant il documentario traduce la pittura di Tintoretto, la forza espressiva del movimento dei corpi, in azione scenica.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
“La pittura mi resisteva, l’ho uccisa” confessa Tintoretto. E Perocco lo racconta consegnandoci il ritratto di un artista fantasioso e moderno che osò sfidare Michelangelo e Tiziano trasformando la tela in un compendio di pittura, scultura, anatomia, architettura, sfaldando per primo la pennellata, ricorrendo al non finito, imponendo prospettive diverse all’interno di uno stesso quadro, soluzioni inattese e audaci che diedero vita a narrazioni complesse e magnetiche.
In una Venezia silenziosa e assorta, colorata dai preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima e dei quali Jacopo, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria, scivoliamo tra i canali rinfrancati dall’acqua per essere assorbiti dall’energia dell’allestimento scenico dei grandi capolavori dell’orgoglioso veneziano. Nel 1509 un’alleanza internazionale capeggiata dal Papa, dal re di Francia e dall’imperatore del Sacro Romano Impero si coagula unicamente contro la Repubblica di Venezia. Le armate della Lega penetrano nello stato veneziano e riescono a conquistare velocemente tutto il dominio di terraferma. Non molti anni più tardi, in una città che si riprende dalle ferite dello scontro, mentre le galere riprendono le rotte verso l’Oriente, le Fiandre, il mare del Nord, nascerà Tintoretto. Affiancati dal racconto limpido di artisti, curatori, docenti, entriamo nella Scuola Grande di San Rocco per ammirare il Battesimo di Cristo, raggiungiamo Londra per conoscere Tintoretto da giovane attraverso l’Autoritratto come giovane uomo, per poi puntare alla Basilica di San Giorgio Maggiore, pronti a lasciarci travolgere dall’energia scenica che si propaga da L’ultima cena, una scena ambientata in un’osteria popolare, al tempo dell’artista. Qui la posa complessa dei personaggi è carica di umanità.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Il viaggio in quest’opera di estirpazione, da parte dei Tintoretto, della pittura del suo tempo, a vantaggio di un modo di operare nuovo, che comunque non smette di guardare ai grandi, come ai disegni di Michelangelo, per realizzare qualcosa di mai visto e altamente sorprendente, continua nel documentario tra le sale delle Galleria dell’Accademia, al cospetto del Miracolo dello schiavo, realizzato da Tintoretto per la Scuola Grande di San Marco. Il regista ci introduce a questa rivoluzione in punta di piedi, attraverso lavori come L’Assunzione della Vergine, capolavoro della Chiesa dei Gesuiti, che esplode nel grandioso ciclo di teleri della Scuola Grande di San Rocco che narrano le ultime vicende della vita del santo.
Il documentario evidenzia bene come proprio qui Tintoretto abbandoni la dimensione pittorica per lasciare il posto a una componente plastica, emozionale, di movimento, che avrà uno dei migliori esiti nella Crocifissione del 1595 dove è evidente l’arte quasi cinematografica del maestro.
Raggiungiamo idealmente il Prado dove Il ratto di Elena ci presenta un tocco più moderno, figurativo. Ed ecco I Tarquini e Lucreezia, Susanna e i vecchioni, e ancora l’Ultima cena di San Trovaso, protagonisti di un crescendo pittorico e poetico di grande fascino.
Uno dei punti di forza del documentario è quello di costruire un racconto coerente e compiuto dal punto di vista artistico e storico, che spazia da Cézanne a Emilio Vedova, ma anche dalla Venezia prima di Tintoretto al prestigioso centro editoriale che è la città al tempo del pittore, grande lettore delle prime bibbie tradotte in volgare. Sarà l’Autoritratto del Louvre del 1588 a chiudere questa puntuale carrellata sull’uomo e sul genio. Un Jacopo Robusti quasi settantenne, di profilo frontale con capelli e barba grigio-chiaro, l’espressione profonda, chiude il documentario tra le acque di Venezia, la città che ha dato spunto a volti, palazzi e riflessi, traghettando il maestro verso la gloria.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Leggi anche:
• Tintoretto, il cinema e il tempo. Erminio Perocco racconta il suo ultimo film
• FOTO - Tintoretto. L'artista che uccise la pittura
Spirito irrequieto, capace di sbalordire i committenti con trovate sorprendenti, anche grazie alla rapidità di esecuzione delle opere, Jacopo Robusti contava ammiratori anche nella cerchia dei grandi maestri, soprattutto per via delle innovazioni tecniche e di quella pittura che hanno esercitato un’influenza profonda e costante sulla storia dell’arte, da Peter Paul Rubens e El Greco fino a Max Beckmann per arrivare, in tempi più recenti, a Jackson Pollock.
“La sua opera è immensa, include ogni cosa, dalla natura morta fino a Dio, è un enorme arca di Noè, io mi sarei trasferito a Venezia soltanto per lui!” scriveva un estasiato Paul Cézanne che vedeva il collega veneziano come l’idolo della pittura.
E infatti, alla maniera di un virtuoso regista o di un direttore d’orchestra che aggancia lo spettatore con l’audacia magnetica delle sue pennellate, Tintoretto ci avvinghia a sé con la complessità delle storie raccontate nei suoi quadri giganteschi, attraverso strategie che oggi definiremmo da marketing. A raccontare il modo, facendo giungere a noi moderni l’attualità della rivoluzione compiuta sulla tela dal grande artefice del Rinascimento italiano, a singolar tenzone con la tradizione per sostituire il colore con pose dinamiche e scene drammatiche, arriva sul grande schermo Tintoretto. L'artista che uccise la pittura. Il documentario diretto da Erminio Perocco, prodotto da Kublai Film, Gebruder Beetz, Videe Spa, Zeta Group, Arte/ZDF e distribuito da Kublai Film, al cinema l’11-12 e 13 aprile, ci conduce alle radici della rivoluzione del maestro nei cui lavori le pose drammatiche, le scene dinamiche, la resa plastica prendono il posto della mera narrazione facendo del Robusti un autentico regista della pittura. Con affascinanti tableux vivant il documentario traduce la pittura di Tintoretto, la forza espressiva del movimento dei corpi, in azione scenica.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
“La pittura mi resisteva, l’ho uccisa” confessa Tintoretto. E Perocco lo racconta consegnandoci il ritratto di un artista fantasioso e moderno che osò sfidare Michelangelo e Tiziano trasformando la tela in un compendio di pittura, scultura, anatomia, architettura, sfaldando per primo la pennellata, ricorrendo al non finito, imponendo prospettive diverse all’interno di uno stesso quadro, soluzioni inattese e audaci che diedero vita a narrazioni complesse e magnetiche.
In una Venezia silenziosa e assorta, colorata dai preziosi pigmenti che giungevano nella Serenissima e dei quali Jacopo, figlio di un tintore, sapeva servirsi con straordinaria maestria, scivoliamo tra i canali rinfrancati dall’acqua per essere assorbiti dall’energia dell’allestimento scenico dei grandi capolavori dell’orgoglioso veneziano. Nel 1509 un’alleanza internazionale capeggiata dal Papa, dal re di Francia e dall’imperatore del Sacro Romano Impero si coagula unicamente contro la Repubblica di Venezia. Le armate della Lega penetrano nello stato veneziano e riescono a conquistare velocemente tutto il dominio di terraferma. Non molti anni più tardi, in una città che si riprende dalle ferite dello scontro, mentre le galere riprendono le rotte verso l’Oriente, le Fiandre, il mare del Nord, nascerà Tintoretto. Affiancati dal racconto limpido di artisti, curatori, docenti, entriamo nella Scuola Grande di San Rocco per ammirare il Battesimo di Cristo, raggiungiamo Londra per conoscere Tintoretto da giovane attraverso l’Autoritratto come giovane uomo, per poi puntare alla Basilica di San Giorgio Maggiore, pronti a lasciarci travolgere dall’energia scenica che si propaga da L’ultima cena, una scena ambientata in un’osteria popolare, al tempo dell’artista. Qui la posa complessa dei personaggi è carica di umanità.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
Il viaggio in quest’opera di estirpazione, da parte dei Tintoretto, della pittura del suo tempo, a vantaggio di un modo di operare nuovo, che comunque non smette di guardare ai grandi, come ai disegni di Michelangelo, per realizzare qualcosa di mai visto e altamente sorprendente, continua nel documentario tra le sale delle Galleria dell’Accademia, al cospetto del Miracolo dello schiavo, realizzato da Tintoretto per la Scuola Grande di San Marco. Il regista ci introduce a questa rivoluzione in punta di piedi, attraverso lavori come L’Assunzione della Vergine, capolavoro della Chiesa dei Gesuiti, che esplode nel grandioso ciclo di teleri della Scuola Grande di San Rocco che narrano le ultime vicende della vita del santo.
Il documentario evidenzia bene come proprio qui Tintoretto abbandoni la dimensione pittorica per lasciare il posto a una componente plastica, emozionale, di movimento, che avrà uno dei migliori esiti nella Crocifissione del 1595 dove è evidente l’arte quasi cinematografica del maestro.
Raggiungiamo idealmente il Prado dove Il ratto di Elena ci presenta un tocco più moderno, figurativo. Ed ecco I Tarquini e Lucreezia, Susanna e i vecchioni, e ancora l’Ultima cena di San Trovaso, protagonisti di un crescendo pittorico e poetico di grande fascino.
Uno dei punti di forza del documentario è quello di costruire un racconto coerente e compiuto dal punto di vista artistico e storico, che spazia da Cézanne a Emilio Vedova, ma anche dalla Venezia prima di Tintoretto al prestigioso centro editoriale che è la città al tempo del pittore, grande lettore delle prime bibbie tradotte in volgare. Sarà l’Autoritratto del Louvre del 1588 a chiudere questa puntuale carrellata sull’uomo e sul genio. Un Jacopo Robusti quasi settantenne, di profilo frontale con capelli e barba grigio-chiaro, l’espressione profonda, chiude il documentario tra le acque di Venezia, la città che ha dato spunto a volti, palazzi e riflessi, traghettando il maestro verso la gloria.
Frame da Tintoretto. L'artista che uccise la pittura, al cinema l'11, 12 e 13 aprile
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