A Milano dal 17 novembre al 27 febbraio
Recycling Beauty. Da Fondazione Prada l'antico si declina al futuro
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Francesca Grego
16/11/2022
Milano - Che ci fa il Colosso di Costantino negli spazi contemporanei di Fondazione Prada? E la monumentale Testa di cavallo di Donatello? All’accostamento eclettico di epoche e stili siamo più che abituati, ma nessuna mostra prima d’ora aveva mai indagato sui significati che l’arte può assumere una volta svincolata dal contesto d’origine. Con l’allestimento di Rem Koolhas/OMA e oltre 60 opere preziose arrivate da musei come il Louvre di Parigi, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, gli Uffizi di Firenze, il MANN di Napoli, i Musei Capitolini, la Galleria Borghese e i Musei Vaticani di Roma, Recycling Beauty esplora il tema del riuso dell’arte antica, facendo spazio a considerazioni che spesso hanno a che fare con il presente.
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Lungi dall’essere una mera eredità del passato, l’arte antica è in grado di incidere sul presente e sul futuro, e rappresenta una portentosa “chiave d’accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo”, spiega il celebre archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, curatore della mostra insieme ad Anna Anguissola e Denise La Monica. Chi immagina che riciclare frammenti di una storia lontana e mescolarli al contemporaneo sia squisitamente postmoderno sarà subito smentito dall’esposizione milanese: la pratica del riuso era già ampiamente diffusa nel mondo romano e forse non è mai stata abbandonata del tutto, anche se gli archeologi hanno iniziato a occuparsene solo di recente.
Nicolas Cordier, La Zingarella, 1607-1612, riuso di una statua dell’inizio del I secolo d.C., Roma, Galleria Borghese, inv. CCLXIII. Su concessione della Galleria Borghese. Foto Luciano Romano. Nicolas Cordier, Moro Borghese, 1607. Parigi, Musée du Louvre, Départment des Antiquités greques, étrusques et romaines, inv. MR303 © 2022 Musée du Louvre /RMN-Grand Palais. Photo Hervé Lewandowski / Dist. Foto SCALA, Firenze
Ma “perché prelevare dalle rovine un rilievo, un vaso, un capitello? Perché trasportarlo altrove per inserirlo entro un nuovo contesto?”, si chiede Settis. Le risposte, prosegue lo studioso, vanno in tre direzioni: “il reimpiego può avere valore memorativo (volto al passato), fondativo (diretto al presente), o predittivo (orientato al futuro)”, spesso presenti simultaneamente. “Cuore e stimolo del gesto del reimpiego è spesso, o forse sempre, ‘inserire il passato nel futuro’, come sostiene Reinhart Koselleck, prevederne o determinarne gli sviluppi. Il nuovo contesto assorbe quel che reimpiega, ma deve (e vuole) lasciarlo riconoscibile anche mentre (anzi, proprio perché) se ne impadronisce”, spiega Settis.
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Analisi storica, scoperta e immaginazione sono i tre ingredienti dell’itinerario costruito dai curatori con i designer Rem Khoolas/OMA e Giorgio Margheri. Negli spazi del Podium, un paesaggio di plinti bassi invita a percepire le opere come un insieme, per poi osservarle in un esame ravvicinato accomodandosi su sedie da ufficio. Nella Cisterna, invece, il visitatore si avvicina ai pezzi gradualmente, guardandoli da punti di vista diversi: prima dall’alto, come su un balcone, poi entrando in stanze dedicate. L’allestimento mette in evidenza la bellezza e il valore di ciascun reperto, ma anche il suo ruolo di testimone di migrazioni, evoluzioni e cambi di significato, sottolineando come il passato non sia dato una volta per tutte, ma sia piuttosto un fenomeno instabile, in continua trasformazione.
Tazza Farnese, II–I secolo a.C., cammeo in agata sardonica. Napoli, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 27611. Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Moltissime sono le storie da scoprire lungo il percorso. Alcune riguardano opere quasi mitiche, come la celebre Tazza Farnese, che prima di approdare al Museo Archeologico di Napoli ha attraversato mezzo mondo, adattandosi alla cultura di ogni corte e di ogni paese: dall’Egitto a Roma e a Bisanzio, dalla Persia ai palazzi di Federico II e Lorenzo il Magnifico. O come la Testa di cavallo di Donatello, che fino a poco più di vent’anni fa era ritenuta una scultura greco-romana, destino condiviso dalla statua “di Paride” già collocata su una guglia del Duomo di Milano, che indagini recenti hanno rivelato risalire “soltanto” al XVI secolo. Opere fraintese e rivitalizzate dall’uso, o addirittura salvate da un equivoco, opere smembrate, disperse e tagliate in più parti, ciascuna con un proprio destino, si raccontano in una lunga maratona, come recuperando la propria voce.
Mano destra del Colosso di Costantino, 312 d.C., marmo pario dalla Basilica Nova a Roma (nota anche come Basilica di Massenzio). Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, inv.S789. Archivio Fotografico dei Musei Capitolini © Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Due sale della Cisterna sono riservate alla colossale statua di Costantino dei Musei Capitolini, tra i più significativi esempi di scultura romana tardo-antica. Due enormi frammenti marmorei - la mano e il piede dell’imperatore - sono accostati a un’inedita ricostruzione del colosso in scala 1:1, che mostra come quest’opera sia in realtà la rielaborazione di una più antica statua di culto, probabilmente l’immagine di Giove.
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Lungi dall’essere una mera eredità del passato, l’arte antica è in grado di incidere sul presente e sul futuro, e rappresenta una portentosa “chiave d’accesso alla molteplicità delle culture del mondo contemporaneo”, spiega il celebre archeologo e storico dell’arte Salvatore Settis, curatore della mostra insieme ad Anna Anguissola e Denise La Monica. Chi immagina che riciclare frammenti di una storia lontana e mescolarli al contemporaneo sia squisitamente postmoderno sarà subito smentito dall’esposizione milanese: la pratica del riuso era già ampiamente diffusa nel mondo romano e forse non è mai stata abbandonata del tutto, anche se gli archeologi hanno iniziato a occuparsene solo di recente.
Nicolas Cordier, La Zingarella, 1607-1612, riuso di una statua dell’inizio del I secolo d.C., Roma, Galleria Borghese, inv. CCLXIII. Su concessione della Galleria Borghese. Foto Luciano Romano. Nicolas Cordier, Moro Borghese, 1607. Parigi, Musée du Louvre, Départment des Antiquités greques, étrusques et romaines, inv. MR303 © 2022 Musée du Louvre /RMN-Grand Palais. Photo Hervé Lewandowski / Dist. Foto SCALA, Firenze
Ma “perché prelevare dalle rovine un rilievo, un vaso, un capitello? Perché trasportarlo altrove per inserirlo entro un nuovo contesto?”, si chiede Settis. Le risposte, prosegue lo studioso, vanno in tre direzioni: “il reimpiego può avere valore memorativo (volto al passato), fondativo (diretto al presente), o predittivo (orientato al futuro)”, spesso presenti simultaneamente. “Cuore e stimolo del gesto del reimpiego è spesso, o forse sempre, ‘inserire il passato nel futuro’, come sostiene Reinhart Koselleck, prevederne o determinarne gli sviluppi. Il nuovo contesto assorbe quel che reimpiega, ma deve (e vuole) lasciarlo riconoscibile anche mentre (anzi, proprio perché) se ne impadronisce”, spiega Settis.
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
Analisi storica, scoperta e immaginazione sono i tre ingredienti dell’itinerario costruito dai curatori con i designer Rem Khoolas/OMA e Giorgio Margheri. Negli spazi del Podium, un paesaggio di plinti bassi invita a percepire le opere come un insieme, per poi osservarle in un esame ravvicinato accomodandosi su sedie da ufficio. Nella Cisterna, invece, il visitatore si avvicina ai pezzi gradualmente, guardandoli da punti di vista diversi: prima dall’alto, come su un balcone, poi entrando in stanze dedicate. L’allestimento mette in evidenza la bellezza e il valore di ciascun reperto, ma anche il suo ruolo di testimone di migrazioni, evoluzioni e cambi di significato, sottolineando come il passato non sia dato una volta per tutte, ma sia piuttosto un fenomeno instabile, in continua trasformazione.
Tazza Farnese, II–I secolo a.C., cammeo in agata sardonica. Napoli, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, inv. 27611. Su concessione del Ministero della Cultura – Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Moltissime sono le storie da scoprire lungo il percorso. Alcune riguardano opere quasi mitiche, come la celebre Tazza Farnese, che prima di approdare al Museo Archeologico di Napoli ha attraversato mezzo mondo, adattandosi alla cultura di ogni corte e di ogni paese: dall’Egitto a Roma e a Bisanzio, dalla Persia ai palazzi di Federico II e Lorenzo il Magnifico. O come la Testa di cavallo di Donatello, che fino a poco più di vent’anni fa era ritenuta una scultura greco-romana, destino condiviso dalla statua “di Paride” già collocata su una guglia del Duomo di Milano, che indagini recenti hanno rivelato risalire “soltanto” al XVI secolo. Opere fraintese e rivitalizzate dall’uso, o addirittura salvate da un equivoco, opere smembrate, disperse e tagliate in più parti, ciascuna con un proprio destino, si raccontano in una lunga maratona, come recuperando la propria voce.
Mano destra del Colosso di Costantino, 312 d.C., marmo pario dalla Basilica Nova a Roma (nota anche come Basilica di Massenzio). Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, inv.S789. Archivio Fotografico dei Musei Capitolini © Roma, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Due sale della Cisterna sono riservate alla colossale statua di Costantino dei Musei Capitolini, tra i più significativi esempi di scultura romana tardo-antica. Due enormi frammenti marmorei - la mano e il piede dell’imperatore - sono accostati a un’inedita ricostruzione del colosso in scala 1:1, che mostra come quest’opera sia in realtà la rielaborazione di una più antica statua di culto, probabilmente l’immagine di Giove.
Immagine della mostra “Recycling Beauty”. Fondazione Prada, Milano. Foto Roberto Marossi I Courtesy Fondazione Prada
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