Anche la distruzione di opere e monumenti tra i crimini di guerra
Corte dell’Aja: sentenza storica in difesa del patrimonio culturale
Timbuktu (Mali) © UNESCO
Ludovica Sanfelice
28/09/2016
Mondo - Lo scorso agosto, la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva inaugurato il processo contro Ahmad al-Faqi al-Mahdi, il primo jihadista, supposto membro del gruppo estremista di Ansar Dine, accusato della demolizione di nove antichi mausolei e della celebre moschea Sidi Yahia di Timbuctù, in Mali.
Non era mai accaduto prima che nel Tribunale dell'Aja le distruzioni del patrimonio culturale e storico venissero iscritte tra i crimini di guerra. Eppure tali nefandezze sono impiegate frequentemente per intimidire e sottomettere popolazioni in contesti di guerra e costituiscono una feroce aggressione alla loro identità.
La sentenza di colpevolezza è finalmente arrivata il 27 settembre. E la condanna a nove anni di carcere per il fondamentalista tuareg che aveva ammesso la propria responsabilità ("Tutte le accuse che mi si imputano sono precise e corrette" aveva dichiarato) manifestando rimorso per la furia iconoclasta si è appaiata alla presentazione del restauro della porta della moschea di Sidi Yahia, avvenuta solo pochi giorni fa.
Il verdetto rappresenta un momento storico per la tutela dei beni culturali perchè segna il capolinea dell'impunità per le azioni lesive contro il patrimonio collettivo. Distruggere un monumento, abolire un santuario, dare fuoco ad una biblioteca, polverizzare una statua, da oggi vale quanto la violenza sulle persone.
Il sanzionamento, inoltre, stabilisce un importante passo avanti nel processo di costruzione di un sistema internazionale per la salvaguardia dei beni storici, artistici e archeologici nelle aree di crisi che, come ha ricordato il Ministro Dario Franceschini, commentando la notizia giunta dall'Aja, vede l'Italia impegnata attivamente nella formazione e nell'addestramento della prima task force Unesco Unite4heritage.
Consulta anche:
La distruzione del patrimonio culturale come crimine di guerra
Nascono ufficialmente i Caschi Blu della cultura
Non era mai accaduto prima che nel Tribunale dell'Aja le distruzioni del patrimonio culturale e storico venissero iscritte tra i crimini di guerra. Eppure tali nefandezze sono impiegate frequentemente per intimidire e sottomettere popolazioni in contesti di guerra e costituiscono una feroce aggressione alla loro identità.
La sentenza di colpevolezza è finalmente arrivata il 27 settembre. E la condanna a nove anni di carcere per il fondamentalista tuareg che aveva ammesso la propria responsabilità ("Tutte le accuse che mi si imputano sono precise e corrette" aveva dichiarato) manifestando rimorso per la furia iconoclasta si è appaiata alla presentazione del restauro della porta della moschea di Sidi Yahia, avvenuta solo pochi giorni fa.
Il verdetto rappresenta un momento storico per la tutela dei beni culturali perchè segna il capolinea dell'impunità per le azioni lesive contro il patrimonio collettivo. Distruggere un monumento, abolire un santuario, dare fuoco ad una biblioteca, polverizzare una statua, da oggi vale quanto la violenza sulle persone.
Il sanzionamento, inoltre, stabilisce un importante passo avanti nel processo di costruzione di un sistema internazionale per la salvaguardia dei beni storici, artistici e archeologici nelle aree di crisi che, come ha ricordato il Ministro Dario Franceschini, commentando la notizia giunta dall'Aja, vede l'Italia impegnata attivamente nella formazione e nell'addestramento della prima task force Unesco Unite4heritage.
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