Dal 7 luglio al 4 novembre Agrigento e Monreale ospitano Ecstasy & Oracles
Jan Fabre in Sicilia tra i templi greci e le suggestioni dell'arte bizantina
Jan Fabre, L’uomo che porta la croce (2015), Cattedrale di Santa Maria Nuova - Cappella di San Benedetto, Monreale
Samantha De Martin
06/07/2018
Palermo - Tra tartarughe e Cassandre, divinità elleniche e scarabei, il genio di Jan Fabre si insinua nel tessuto millenario della Sicilia, legando miti, incanti e vocazioni, attraverso un filo invisibile che unisce chiostri, cappelle, cattedrali, antichi templi.
L’ultima trovata dell’artista di Anversa, noto per la sua ricerca tesa a oltrepassare le barriere espressive, ha dato vita a una delle più complesse e articolate mostre mai realizzate in uno spazio pubblico, un percorso straordinario che ha per protagonista la Sicilia e che si snoda tra siti archeologici, piazze, luoghi di culto, monumenti e biblioteche.
Ecstasy & Oracles, a cura di Joanna De Vos e di Melania Rossi, con la regia di Jan Fabre, si inserisce tra i Manifesta 12/Collateral Events e nel cartellone di eventi di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
L’estro di Fabre attecchisce sull’isola attraverso oltre 50 lavori realizzate dall’artista tra il 1982 e il 2016. Accanto a queste ci saranno anche due opere inedite pensate appositamente per questa occasione.
Un vibrante palcoscenico di atti scenici e sacrali - sul quale l’eleganza immortale dei templi greci sposa le suggestioni dell’arte bizantina dei mosaici fondendosi con il linguaggio sperimentale e contemporaneo di Fabre - si allunga tra luoghi di eccezionale valore storico e artistico, dalla città di Agrigento alla Valle dei Templi, fino a raggiungere Monreale e gli spazi del complesso monumentale della Cattedrale.
L’omaggio dell’artista all’antica Akragas, nucleo originario della moderna Agrigento, assiste, nel Parco Archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, al confronto sul tema degli oracoli tra Fabre e la civiltà greca classica. Film, sculture, disegni - dislocati lungo il percorso della Via Sacra - sfiorano la terra che li ospita, come un dono gentile.
In prossimità dei templi di Giunone e Zeus, due grandi sculture in bronzo a grandezza naturale, L’uomo che dirige le stelle del 2015 e L’uomo che dà il fuoco del 2002, dialogano con gli imponenti resti dei templi dorici dedicati alle divinità elleniche, dando forma alla metafora del costante tentativo dell’umanità di interagire con il divino slanciandosi verso l’eterno.
E l’artista diventa un Prometeo contemporaneo che cerca, nonostante le sue fragilità e l’estrema umanità dei suoi gesti, di preservare la fiamma dell’arte e dell’ingegno, strumenti con i quali potrà sfidare le leggi della fisica e il trascorrere del tempo, emulando gli antichi greci che, innalzando i loro magnifici templi, riuscirono a guadagnarsi l'immortalità nella storia del mondo.
Intanto, nei pressi del Tempio della Concordia, un’attrice si muove tra grandi tartarughe in una sorta di estasi mistica, rievocando il mito della profetessa Cassandra e la pratica oracolare della Pizia. A questa performance Fabre affida il il proprio confronto con il significato più viscerale, contemplativo e sciamanico della pratica oracolare, legata alla natura e ai suoi elementi.
La Villa Aurea accoglie disegni, film, sculture. Sono i thinking models che sviluppano il tema della tartaruga, animale oracolare per eccellenza, inteso come simbolo di immortalità e saggezza. Un mantra che ritorna anche ad Agrigento, con le opere Quattro pietre oracolari trasportano un pianeta sconosciuto, Tartaruga in un paese sconosciuto e L’universo trasportato da una tartaruga esposte nell’antica Biblioteca Lucchesiana, la Portatrice di mani per l’armadio d’argento all’interno della chiesa di Santa Maria dei Greci. Infine, due sculture appartenenti alla serie Chapters ritraggono Fabre stesso con delle corna di capra, bestiali, mitologiche appendici protese come improbabili antenne a captare timidi lacerti di bellezza.
L'artista di Anversa sceglie Monreale per l’eterno alternarsi tra vita e morte e celebra il suo ossimoro utilizzando lo scarabeo, l’animale sacro, e simbolo della resurrezione per diverse civiltà antiche. Con le loro corazze cangianti che ricordano le tessere brillanti dei mosaici bizantini, gli scarabei del maestro risplendono nell’Ex Dormitorio dei Benedettini, accanto alla Cattedrale. Altri tre, in bronzo, svettano nel Chiostro di Santa Maria Nuova.
L’uomo che porta la croce, che ritrae l’artista mentre tiene in bilico una croce di quattro metri sul palmo della mano, dialoga invece con i mosaici della Cattedrale di Santa Maria Nuova, nella Cappella di San Benedetto, eccezionalmente aperta al pubblico per tutta la durata dell’esposizione.
La scultura, prima opera contemporanea acquisita dalla Diocesi di Anversa per la sua Cattedrale, è un invito dell’artista al dialogo. Tra le sontuose colonne della Cattedrale, tra la luce che fruga, brillante, tra i mosaici, e dove l’arte entra in sintonia con il cuore dell’uomo, Fabre cerca di stabilire un contatto, "un dialogo necessario tra chi non la pensa come noi e chi ha una religione diversa dalla nostra".
Leggi anche:
• Jan Fabre. Ecstasy & Oracles
• Il binomio impossibile di Jan Fabre a Venezia
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Ecstasy & Oracles, a cura di Joanna De Vos e di Melania Rossi, con la regia di Jan Fabre, si inserisce tra i Manifesta 12/Collateral Events e nel cartellone di eventi di Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018.
L’estro di Fabre attecchisce sull’isola attraverso oltre 50 lavori realizzate dall’artista tra il 1982 e il 2016. Accanto a queste ci saranno anche due opere inedite pensate appositamente per questa occasione.
Un vibrante palcoscenico di atti scenici e sacrali - sul quale l’eleganza immortale dei templi greci sposa le suggestioni dell’arte bizantina dei mosaici fondendosi con il linguaggio sperimentale e contemporaneo di Fabre - si allunga tra luoghi di eccezionale valore storico e artistico, dalla città di Agrigento alla Valle dei Templi, fino a raggiungere Monreale e gli spazi del complesso monumentale della Cattedrale.
L’omaggio dell’artista all’antica Akragas, nucleo originario della moderna Agrigento, assiste, nel Parco Archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi, al confronto sul tema degli oracoli tra Fabre e la civiltà greca classica. Film, sculture, disegni - dislocati lungo il percorso della Via Sacra - sfiorano la terra che li ospita, come un dono gentile.
In prossimità dei templi di Giunone e Zeus, due grandi sculture in bronzo a grandezza naturale, L’uomo che dirige le stelle del 2015 e L’uomo che dà il fuoco del 2002, dialogano con gli imponenti resti dei templi dorici dedicati alle divinità elleniche, dando forma alla metafora del costante tentativo dell’umanità di interagire con il divino slanciandosi verso l’eterno.
E l’artista diventa un Prometeo contemporaneo che cerca, nonostante le sue fragilità e l’estrema umanità dei suoi gesti, di preservare la fiamma dell’arte e dell’ingegno, strumenti con i quali potrà sfidare le leggi della fisica e il trascorrere del tempo, emulando gli antichi greci che, innalzando i loro magnifici templi, riuscirono a guadagnarsi l'immortalità nella storia del mondo.
Intanto, nei pressi del Tempio della Concordia, un’attrice si muove tra grandi tartarughe in una sorta di estasi mistica, rievocando il mito della profetessa Cassandra e la pratica oracolare della Pizia. A questa performance Fabre affida il il proprio confronto con il significato più viscerale, contemplativo e sciamanico della pratica oracolare, legata alla natura e ai suoi elementi.
La Villa Aurea accoglie disegni, film, sculture. Sono i thinking models che sviluppano il tema della tartaruga, animale oracolare per eccellenza, inteso come simbolo di immortalità e saggezza. Un mantra che ritorna anche ad Agrigento, con le opere Quattro pietre oracolari trasportano un pianeta sconosciuto, Tartaruga in un paese sconosciuto e L’universo trasportato da una tartaruga esposte nell’antica Biblioteca Lucchesiana, la Portatrice di mani per l’armadio d’argento all’interno della chiesa di Santa Maria dei Greci. Infine, due sculture appartenenti alla serie Chapters ritraggono Fabre stesso con delle corna di capra, bestiali, mitologiche appendici protese come improbabili antenne a captare timidi lacerti di bellezza.
L'artista di Anversa sceglie Monreale per l’eterno alternarsi tra vita e morte e celebra il suo ossimoro utilizzando lo scarabeo, l’animale sacro, e simbolo della resurrezione per diverse civiltà antiche. Con le loro corazze cangianti che ricordano le tessere brillanti dei mosaici bizantini, gli scarabei del maestro risplendono nell’Ex Dormitorio dei Benedettini, accanto alla Cattedrale. Altri tre, in bronzo, svettano nel Chiostro di Santa Maria Nuova.
L’uomo che porta la croce, che ritrae l’artista mentre tiene in bilico una croce di quattro metri sul palmo della mano, dialoga invece con i mosaici della Cattedrale di Santa Maria Nuova, nella Cappella di San Benedetto, eccezionalmente aperta al pubblico per tutta la durata dell’esposizione.
La scultura, prima opera contemporanea acquisita dalla Diocesi di Anversa per la sua Cattedrale, è un invito dell’artista al dialogo. Tra le sontuose colonne della Cattedrale, tra la luce che fruga, brillante, tra i mosaici, e dove l’arte entra in sintonia con il cuore dell’uomo, Fabre cerca di stabilire un contatto, "un dialogo necessario tra chi non la pensa come noi e chi ha una religione diversa dalla nostra".
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