Arte in Opera. Jonathan Monk, Giulio Paolini, Salvo
Dal 11 Novembre 2022 al 29 Gennaio 2023
Bergamo
Luogo: Palazzo della Ragione
Indirizzo: Piazza Vecchia
Orari: Ven. – Dom. 10-19 Aperto il 26 Dicembre
Curatori: Giacinto Di Pietrantonio, Stefano Raimondi
Enti promotori:
- The Blank
- Comune di Bergamo
Costo del biglietto: Euro 5, Gratuito per gli Under 14
Sito ufficiale: http://www.theblank.it
La mostra Arte in Opera, che apre a Palazzo della Ragione di Bergamo da venerdì 11 novembre, inaugura il Festival di Arte Contemporanea ArtDate, promosso da The Blank e Comune di Bergamo, e giunto quest’anno alla sua dodicesima edizione. Allo stesso tempo la mostra, che si conclude il 29 gennaio 2023, conduce a Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura.
Il più antico Palazzo Comunale d’Italia si trasforma in un dispositivo ottico in cui entrano in campo le opere di importanti artisti internazionali quali Giulio Paolini, fresco vincitore del Praemium imperiale, Salvo e Jonathan Monk, con un progetto allestitivo che comprende i tavoli di autoprogettazione di Enzo Mari.
Curata da Giacinto Di Pietrantonio e Stefano Raimondi, la mostra mette in dialogo le opere tra di loro e con lo spazio, che ospita numerosi e importanti affreschi e strappi del periodo medioevale e rinascimentale. Arte in Opera trasforma la Sala delle Capriate in una grande arena aperta in cui si alimentano tempi e storie (dell’arte) e si analizza il tema dell’autore e dell’autorialità.
L’allestimento stesso, curato da Marzia Minelli, è pensato per lasciare “campo aperto” ai lavori, attraverso la scelta di opere standing, capaci di innalzarsi in modo autonomo nello spazio.
In questi attraversamenti del tempo e dell’arte si manifestano le opere di Giulio Paolini. In Non finito, esposto su un cavalletto, compare una riproduzione fotografica dell’Autoritratto di Vincent Van Gogh, mentre nelle opere L’ospite e Il modello in persona viene messo al centro della riflessione il ruolo attribuito da Paolini all’autore e al fare dell’opera - il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. In particolare in quest’ultima opera due cavalletti collocati uno di fronte all’altro, leggermente sfalsati, sorreggono l’uno una veduta fotografica dello studio dell’artista, l’altro una lastra di plexiglas. Il secondo cavalletto trova inoltre un riscontro in quello situato al centro della fotografia. Tra i due cavalletti reali, su una base trasparente che raddoppia quella visibile nella fotografia, si trova il calco in gesso del Narciso (1885) di Vincenzo Gemito, corredato di un mappamondo nella mano destra, nel ruolo di modello “in persona”, in posa per il presunto quadro, ancora ignoto. Al centro di questa messinscena vi è la rappresentazione come tale: il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. Lo studio d’artista, luogo per eccellenza riservato al divenire di un’opera, trasposto nello spazio dell’esposizione, fa coincidere i due luoghi: per Paolini, infatti, lo studio, così come l’ambiente espositivo, sono deputati ad annunciare e ospitare il rendersi manifesto di una rappresentazione.
I Corner Pieces di Jonathan Monk o i lavori della serie A three dimensional imitation of a
three dimensional imitation (natica sinistra), in cui i numerosi triangoli rappresentano un dettaglio ingrandito di una scansione 3D dell’opera Mimesi di Giulio Paolini, definiscono gli angoli dello spazio artistico e introducono a quella poetica tipica dell’artista britannico che ripropone, rielabora e riesamina opere seminali dell’arte concettuale e minimalista con mezzi arguti, ingegnosi e irriverenti. Tra gli artisti a cui Monk si è ispirato in questa pratica di rimandi spicca sicuramente la figura di Salvo, a cui l’artista ha dedicato numerose opere, alcune delle quali presenti in mostra come ideale trade d’union tra le due ricerche artistiche. Di Salvo sono presenti una serie di lavori in cui la ricerca dell’io, l’autocompiacimento narcisistico, il rapporto con il passato e con la storia della cultura diventano nodi essenziali della sua ricerca. Le opere Autoritratto come Raffaello o 12 Autoritratti, in cui Salvo compare come un panettiere, un soldato o intento in altri mestieri, evidenziano la ricerca sul ruolo della storia, del passato e dell’io che l’artista ha condotto alla fine degli anni Sessanta e nei primissimi anni Settanta.
Come in una storia che coinvolge diversi protagonisti, le opere di Monk e Salvo trovano collocazione sui tavoli di autoprogettazione proposti da Enzo Mari nel 1974, in cui il designer, cinque volte Compasso d’Oro, ha deciso di pubblicare i progetti e i disegni costruttivi di mobili, rilasciandoli con licenza libera e aperta, allargando e stravolgendo il concetto di autore.
Il più antico Palazzo Comunale d’Italia si trasforma in un dispositivo ottico in cui entrano in campo le opere di importanti artisti internazionali quali Giulio Paolini, fresco vincitore del Praemium imperiale, Salvo e Jonathan Monk, con un progetto allestitivo che comprende i tavoli di autoprogettazione di Enzo Mari.
Curata da Giacinto Di Pietrantonio e Stefano Raimondi, la mostra mette in dialogo le opere tra di loro e con lo spazio, che ospita numerosi e importanti affreschi e strappi del periodo medioevale e rinascimentale. Arte in Opera trasforma la Sala delle Capriate in una grande arena aperta in cui si alimentano tempi e storie (dell’arte) e si analizza il tema dell’autore e dell’autorialità.
L’allestimento stesso, curato da Marzia Minelli, è pensato per lasciare “campo aperto” ai lavori, attraverso la scelta di opere standing, capaci di innalzarsi in modo autonomo nello spazio.
In questi attraversamenti del tempo e dell’arte si manifestano le opere di Giulio Paolini. In Non finito, esposto su un cavalletto, compare una riproduzione fotografica dell’Autoritratto di Vincent Van Gogh, mentre nelle opere L’ospite e Il modello in persona viene messo al centro della riflessione il ruolo attribuito da Paolini all’autore e al fare dell’opera - il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. In particolare in quest’ultima opera due cavalletti collocati uno di fronte all’altro, leggermente sfalsati, sorreggono l’uno una veduta fotografica dello studio dell’artista, l’altro una lastra di plexiglas. Il secondo cavalletto trova inoltre un riscontro in quello situato al centro della fotografia. Tra i due cavalletti reali, su una base trasparente che raddoppia quella visibile nella fotografia, si trova il calco in gesso del Narciso (1885) di Vincenzo Gemito, corredato di un mappamondo nella mano destra, nel ruolo di modello “in persona”, in posa per il presunto quadro, ancora ignoto. Al centro di questa messinscena vi è la rappresentazione come tale: il momento stesso in cui un’opera sta per prendere corpo. Lo studio d’artista, luogo per eccellenza riservato al divenire di un’opera, trasposto nello spazio dell’esposizione, fa coincidere i due luoghi: per Paolini, infatti, lo studio, così come l’ambiente espositivo, sono deputati ad annunciare e ospitare il rendersi manifesto di una rappresentazione.
I Corner Pieces di Jonathan Monk o i lavori della serie A three dimensional imitation of a
three dimensional imitation (natica sinistra), in cui i numerosi triangoli rappresentano un dettaglio ingrandito di una scansione 3D dell’opera Mimesi di Giulio Paolini, definiscono gli angoli dello spazio artistico e introducono a quella poetica tipica dell’artista britannico che ripropone, rielabora e riesamina opere seminali dell’arte concettuale e minimalista con mezzi arguti, ingegnosi e irriverenti. Tra gli artisti a cui Monk si è ispirato in questa pratica di rimandi spicca sicuramente la figura di Salvo, a cui l’artista ha dedicato numerose opere, alcune delle quali presenti in mostra come ideale trade d’union tra le due ricerche artistiche. Di Salvo sono presenti una serie di lavori in cui la ricerca dell’io, l’autocompiacimento narcisistico, il rapporto con il passato e con la storia della cultura diventano nodi essenziali della sua ricerca. Le opere Autoritratto come Raffaello o 12 Autoritratti, in cui Salvo compare come un panettiere, un soldato o intento in altri mestieri, evidenziano la ricerca sul ruolo della storia, del passato e dell’io che l’artista ha condotto alla fine degli anni Sessanta e nei primissimi anni Settanta.
Come in una storia che coinvolge diversi protagonisti, le opere di Monk e Salvo trovano collocazione sui tavoli di autoprogettazione proposti da Enzo Mari nel 1974, in cui il designer, cinque volte Compasso d’Oro, ha deciso di pubblicare i progetti e i disegni costruttivi di mobili, rilasciandoli con licenza libera e aperta, allargando e stravolgendo il concetto di autore.
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