Vis-a'-Vis #6. Chiara Coccorese. Chiave di Sol

Vis-a'-Vis #6. Chiara Coccorese. Chiave di Sol, Whitelabs, Milano

 

Dal 19 Settembre 2014 al 31 Ottobre 2014

Milano

Luogo: Whitelabs

Indirizzo: via G. Tiraboschi 2

Orari: da martedì a venerdì 15-19

Enti promotori:

  • Viana Conti
  • Nicola Davide Angerame

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 346 4711759

E-Mail info: info@whitelabs.it

Sito ufficiale: http://www.whitelabs.it/sito/


Chiara Coccorese – Chiave di Sol
Soglie di Viana Conti
La chiave, con la sua potenzialità di apertura, chiusura, lettura, soluzione interpretativa, scioglimento di un arcano, è una figura centrale dell’opera di Chiara Coccorese (Napoli1982), un’opera che si struttura intorno ad uno scenario allegorico, ad una molteplicità di segni, immagini e oggetti simbolici, ad un percorso iniziatico di conoscenza. Il titolo, con acronimo, Chiave di S.O.L., infatti è riferibile, nell’iter di meditazione gnostica, all’acquisizione di consapevolezza da parte di un Soggetto che viva, in un tempo presente, la sua condizione di Oggetto attivo nel Luogo primario del suo risveglio spirituale, del suo oltrepassamento dell’ego. Le seducenti ed enigmatiche rappresentazioni di Chiara Coccorese, colorate o nelle sfumature seppia o bianco e nero, attraversate da luci e ombre, sono leggibili come stanze di affioramenti mnestici, di ricordi infantili, di visioni ipnagogiche, di premonizioni del Caso o del Destino. I suoi viaggi silenziosi, verso Archetipi di ascendenza junghiana, si intessono di risalimenti al mito, a forme rituali o liturgie sacrali, a rielaborazioni mistiche, a scenari metaforici di ordine scenografico, letterario, teatrale, onirico, in cui protagonista è costantemente l’inconscio ed il cui destinatario è fatalmente l’osservatore. Non mancano riferimenti all’arte divinatoria attraverso le carte napoletane, francesi, i tarocchi, i dadi o attraverso segni o figurazioni simboliche rinvianti a felicità o afflizione, fortuna o malasorte, sortilegi, ma anche a fertilità, gravidanza, nascita, buoni affari, successo, energia, armonia.
La sua formazione d’artista, sull’area della pittura, del restauro e della scenografia, ha come esito un’opera in cui l’esperienza pittorica, connessa alla percezione fisica dei materiali un tempo utilizzati (cera d'api, carta, tela, plastilina, colori ad olio) si trascrive nel linguaggio della fotografia digitale senza perdere effetti sensoriali di spessore sinestetico. Chiara Coccorese crea il mondo che intende fotografare ricostruendo, come l’artista statunitense James Casebere (Lansing, Michigan 1953), inventore della fotografia allestita (realizza, dal 1992, modellini, tra gli altri, di luoghi e spazi dell’internamento e dell’isolamento, come prigioni, corridoi e sottopassaggi stradali) set virtuali nella bidimensione fotografica digitale o plastici nella realizzazione tridimensionale, ricorrendo, sovente, ad arredi in miniatura e a figure modellate nella plastilina. Altre cose che si sanno di lei.
L’opera Chiave di S.O.L. è stata segnalata tra i finalisti del Premio Cairo, con l’opera La stanza dell'acqua è finalista del concorso Smartup Optima, con la giuria composta dalla curatrice del premio Alessandra Troncone, insieme a Giacomo Guidi (direttore della galleria Giacomo Guidi), Olga Scotto di Vettimo (critica d’arte), Massimiliano Tonelli (direttore di Artribune), Bianco-Valente (artisti), Antonio Pirpan (direttore Comunicazione Optima Italia), Fabrizio Cappella (partner Arakne Communication).
L’artista viene ancora selezionata, con Gian Luca Capozzi, per una mostra alla Sala Dogana-Giovani idee in transito in Palazzo Ducale a Genova. Lo scrittore inglese Jonathan Coe, autore nel 2012 del libro, collana Feltrinelli kids, Lo Specchio dei Desideri/The Broken Mirror, trova nelle tavole ideate da questa artista napoletana una tipologia di illustrazione che conferisce al suo testo un elemento di indecidibilità, rispetto all’ambiente in cui si svolge il racconto, delineando una terra di mezzo tra la cultura anglosassone e la cultura mediterranea. Nel mondo artistico di Chiara Coccorese entra anche la maschera partenopea di Pulcinella. Nella photopaint digitale del Circo, giostra della vita, il suo cappello a pan di zucchero diventa un innaffiatoio bianco capovolto, la tradizionale mascherina nera diventa un paio di inquietanti occhiali scuri. Nelle atmosfere carnascialesche, con accenni noir, nella rammemorazione onirica di giochi dell’infanzia, l’artista non cessa di interfacciare le soglie tra realtà e finzione, tra persone reali e figure immaginarie. 
La dimensione instabile, oscillante tra macro e microcosmo, disseminata di nonsense e assurdo, rinviante anche al Lewis Carroll di Alice nel paese delle meraviglie e di Dietro lo specchio, produce tensione e inquietudine, particolarmente quando la scena si sposta nell’ambiente familiare della quotidianità. Il circo, dal tendone rosa, la claustrofobica piscina dove affiorano enigmaticamente, come la parte emersa di un iceberg, le gambe di un’adolescente, attorniate da alcune carte da gioco galleggianti; le mini stanze arredate di cubi iperdimensionati o disposti a croce, misteriosamente abitate, sono anticamere che preludono all’entrata o all’uscita dall’inconscio, dal sogno. La letteratura sfuma nell’universo filmico di Federico Fellini o di Tim Burton, in quello artistico, che investe un ampio arco temporale, ora di un Pop Surrealism, in cui emergono riferimenti a scenari ludici, visionari, spettrali, magici, ora di un Horror Vacui rinviante al clima fiammingo, disseminato di orripilanti dettagli, dei grandi maestri Bosch e Bruegel, brulicante di mostri, di motivi alchemici e astrologici, di un’animalità indecente. 
In questo scambio tra quotidiano e immaginifico, si intersecano fotografia e pittura, scenografia e scultura. Le ermetiche mise en scène di Chiara Coccorese sono tavole uniche, composizioni a sé stanti, sia narrativamente che stilisticamente, proprio perché costruite come rebus, come campi oracolari, il cui comune denominatore è il percorso di riflessione dell’artista, alimentato dal suo fantasmagorico immaginario. 

Alexander Hahn – Luminous Point
Appartamento come Deposito di memorie di Viana Conti
Il linguaggio digitale di Alexander Hahn esprime lucidamente, nel panorama internazionale dell’estetica contemporanea, il punto di sutura tra la ricerca artistica e quella scientifica, azzardando, attraverso spaesamenti temporali e spaziali, ipotesi, apparentemente fantascientifiche, che al contrario non cessano di innervare i loro terminali nel tessuto della mente, della psiche e del sistema neuronale dell’uomo, estendendone le capacità cognitive e avviando un processo di trasformazione e di reazione del corpo stesso, come non ha mancato di anticipare il massmediologo Derrick De Kerckhove. Elaboratore attivo di dati e immagini, che l’ubiquità spaziale e temporale delle Reti gli propone senza soluzione di continuità, Hahn raccoglie la sfida di confrontare i termini di rappresentazione oggettiva del reale con quelli di una rappresentazione suggestiva del virtuale. Ibridando radicalmente paesaggi, figure, eventi, colti in tempo reale, con immagini, suoni, film, estratti dal flusso dei silenziosi canali elettronici, Hahn perviene paradossalmente alla creazione di un linguaggio di pura innovazione estetica, linguistica ed epistemologica. 
Se i percorsi dello sguardo, la saturazione dei colori, l’individuazione dei punti luce, nelle sue simulazioni 3D, rinviano concettualmente a quelli dei dipinti di Jan Vermeer (Delft 1632-1675) e di Caspar David Friedrich (Greifswald 1774 - Dresda 1840), gli effetti di suspense sia sonora che visiva non possono non rinviare, per certi versi, a registi come Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Ridley Scott. L’installazione interattiva Luminous Point (2006), selezionata dalla Fondazione Bogliasco in collaborazione con la Confederazione Svizzera - Consolato generale di Svizzera a Genova e con la Pro Helvetia - Fondazione svizzera per la Cultura, programmata nell’ambito del Festival della Scienza 2008 e ospitata, da Sandra Solimano, negli spazi del Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, riflette ampiamente, insieme a una sequenza di stampe digitali, questa sua modalità di creazione ed espressione. La sfida percettiva verso lo spettatore comincia già a partire dalle prescrizioni impartite professionalmente dall’artista sulle dimensioni ottimali dello schermo (4 metri x 3) e della sala (6 m x 4 x 3) in cui avrà luogo la proiezione virtuale, pur sapendo che Luminous Point, l’avvolgente tour all’interno dell’appartamento di Hahn in Ludlow Street a New York, è pura simulazione, accadendo nello spazio immateriale e interattivo di un computer, scorrendo lungo filamenti di interconnessione digitale. 
Questo è sufficiente per dire che quel luogo non esiste? Certamente no. Esiste l’appartamento reale come ne esiste la simulazione virtuale: si tratta di due diverse realtà che si interfacciano, con l’esito che si può percepire, come minimo a livello visivo e sonoro. A partire da uno spioncino, in una porta chiusa, si inizia la perlustrazione interattiva, invitati ad entrare in casa per scoprire, tramite un telecomando virtuale, non senza meraviglia, soffitti affrescati, architetture firmate, arredi d’epoca, ma, all’improvviso, anche un lavandino bianco infestato da mosche, un ventilatore immobile, tra crepitii, scricchiolii, rumori sinistri di una porta che si chiude, di un interruttore che accende la luce, di un giornale sfogliato durante un viaggio in aeroplano. Presenze incongrue come tracce organiche di animali o insetti avvisano che i virus della vita reale hanno già fatto razza con i virus, non meno insidiosi, del mondo digitale. Lo spazio si apre e si avvolge a spirale intorno al visitatore, mentre un punto luce lo guida lungo le scale, tra corridoi labirintici, all’interno di una pupilla senza fondo che introduce a una serra con piante verdi. 
Di soglia in soglia, accompagnati verso l’altrove dalla presenza aerodinamica dello storico dirigibile Hindenburg (della Zeppelin), precipitato nella catastrofe di Lake Hurst del 1937, di colore azzurro, negli interni, argentato, in volo su aree metropolitane, infine bruno e fiammeggiante (come un grande sigaro che, incendiatosi, esplode) si arriva, attraverso diaframmi di un possibile obiettivo fotografico, all’aperto: su una terrazza la pioggia, il vento, i tuoni, trasmettono sensazioni fisiche, mentre, all’interno, le pareti viola, l’imbottitura verde smeraldo di una sedia, un fascio di luce che investe l’occhio dell’artista, riportano alla condizione ipnagogica di un film transizionale.
L’artista svizzero è consapevole che, se da una parte i mezzi di comunicazione elettronica possono alterare la percezione della realtà, dall’altra, operando su un versante tanto tecnologicamente raffinato da sfiorare la sfera del magico e dell’onirico, possono restituire allo sguardo anestetizzato della massa, che resta una grande consumatrice passiva della Società dello spettacolo, nuove potenzialità di lettura critica, creativa, comunicativa, percettiva, alimentando visioni, costellazioni di senso, scenari, provocazioni, fortemente impressivi sull’immaginario collettivo profondo. Risvegliando dal loro sonno virtuale, sia digitale che analogico, metafore, simboli, archetipi, scenari ordinari e straordinari, Alexander Hahn fa interagire, anche a livello subliminale, le sfere della natura e dell’artificio al punto da creare un’unica realtà, in grado di stimolare e alimentare simultaneamente i versanti dell’arte, del pensiero, della fisica, della chimica, della robotica, della coscienza artificiale, della psicologia, della poesia e, non ultimo, del gioco.

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