By or Of Marcel Duchamp or Rrose Sélavy

By or Of Marcel Duchamp or Rrose Sélavy, Galleria Casoli De Luca, Roma

 

Dal 13 Ottobre 2018 al 15 Febbraio 2019

Roma

Luogo: Galleria Casoli De Luca

Indirizzo: piazza di Campitelli 2

Orari: martedì - sabato 10-19

Costo del biglietto: ingresso gratuito

Telefono per informazioni: +39 066991188

E-Mail info: info@casolideluca.com

Sito ufficiale: http://www.casolideluca.com/



By or Of Marcel Duchamp or Rrose Sélavy
, la preziosa mostra dedicata a Marcel Duchamp, e presentata dalla Galleria Casoli De Luca nel nuovo spazio romano in Piazza di Campitelli 2, è stata prorogata fino al 15 febbraio 2019. 

In mostra oltre 100 pezzi dell'artista considerato il grande innovatore dell’arte, tra opere, brochure, inviti, manifesti, libri, e il solo readymade a non aver avuto edizioni successive, restando dunque un pezzo unico: Porta: 11, rue Larrey (1927), esposto a Roma per la prima volta in questa occasione. Elemento strategico nell’appartamento parigino che Duchamp occupava con la moglie, la porta, incardinata tra due stanze, rimanda a un atto di sottrazione che permette all’artista di creare, e che viene “rigenerata” da Duchamp in opera d’arte. Alla Biennale del 1978, scambiata per una comunissima porta, fu ridipinta con una doppia mandata di bianco dagli imbianchini addetti ai lavori di allestimento, risultando in un costosissimo risarcimento al proprietario dell’opera all’epoca dell’incidente.

Uno dei maggiori apporti di Duchamp all’arte contemporanea è l’inserimento e l’utilizzo del fattore caso nel processo artistico. Questo è evidente se si analizza un’opera straordinaria come La Mariée mise à nu par ses célibataires, même, anche detta Grande Vetro. L’opera è composta da due pannelli di vetro dipinti ad olio, con fogli di argento e di piombo e racconta una storia di amore e desiderio con personaggi inconsueti personificati da macchine meccaniche: una sposa, gli scapoli ed i testimoni oculisti, che si muovono tra macinatrici di cioccolata, setacci e mulini ad acqua. Da lui stesso considerata la più importante del suo percorso, iniziato nel 1915 e volutamente lasciata incompiuta nel 1923, durante un trasporto l’opera subì gravi danni, ma l’artista decise di non ripararla dimostrando di accettare la complicità del caso rendendola così una delle opere più enigmatiche del Novecento. A dimostrazione di come Duchamp si preoccupasse di generare una forma d’arte mentale più che visiva, interviene però la sua attività letteraria, che affianca e sostiene l’attività plastica. La Boîte Verte, presente in mostra sia nella versione di lusso realizzata in 20 esemplari che nella versione a tiratura più alta, racchiude 93 pezzi tra appunti, scritti, progetti e fotografie per la realizzazione del Grande Vetro, opera che oggi si trova al Philadelphia Museum of Art.

Marcel Duchamp deve essere considerato un innovatore anche per quello che riguarda il tema della riproduzione, spesso in serie, delle proprie opere. Sei anni, dal 1935 al 1941, sono necessari per sviluppare l’idea e realizzare La Boîte-en-Valise, anche questa in mostra. 68 pezzi, compresa una piccola versione di Fountain e una del readymade rettificato della Gioconda di Leonardo da Vinci con barba e baffi e l’iscrizione “L.H.O.O.Q.” (gioco di parole secondo cui le lettere pronunciate in francese danno origine alla frase “Elle a chaud au cul”), riprodotti in miniatura e resi dunque trasportabili “in valigia”, un catalogo di tutta la sua opera. I temi della riproducibilità e della “portabilità” delle opere, non sono però gli unici messi in campo con la Boîte, infatti questo compendio racchiuso in una scatola richiama fortemente il concetto di album, e di conseguenza di autobiografia. Mettendo da parte quelli che fino ad allora erano i canoni creduti fondamentali per la realizzazione dell’opera d’arte (gusto, stile, ricerca della forma ed intenzionalità), le miniature e le riproduzioni offrono una nuova accessibilità, ad un pubblico più vasto, come se Duchamp avesse creato un piccolo museo portatile e indipendente.

La mostra raccoglie anche uno straordinario insieme di fotografie realizzate da Duchamp, da Man Ray e da Ugo Mulas, e la collezione completa delle acqueforti create dall’artista per illustrare la realizzazione delle singole parti del Grande Vetro e il tema degli amanti, come continuazione del tema, appunto, del Grande Vetro.

La carriera artistica di Marcel Duchamp inizia sin da giovanissimo, assieme ad alcuni dei suoi sette fratelli, in Normandia. Da subito è evidente la sua irrequietezza culturale, che lo porta, dopo il trasferimento a Parigi nel 1904, ad appassionarsi e a sommare esperienze molto eterogenee, visibili nel suo brevissimo percorso pittorico, che conta circa una cinquantina di tele. Neoimpressionismo, fauvismo, simbolismo, fino a fondere, nel 1912, cubismo (scomposizione geometrica delle figure riducendo le forme in puri volumi) e futurismo (nonostante lui stesso abbia dichiarato che il contatto con i futuristi sia stato nullo, la rappresentazione del movimento, strettamente legato alla passione per le macchine e gli ingranaggi richiama fortemente le idee dell’avanguardia italiana) nel Nudo che scende le scale n. 2. La tela venne rifiutata al Salon des Indépendants parigino, anche se, l’anno successivo, esposta all’Armory Show organizzato da Alfred Stieglitz a New York, susciterà grande scalpore, sancendo quindi la consacrazione di Duchamp al pubblico americano.

Poco dopo decide di abbandonare la pittura tradizionale, per ricercare una forma d’arte concettuale e non visiva. Così, nel 1913, montando una ruota anteriore di bicicletta su uno sgabello a tre gambe, eleggendo ed elevando un oggetto comune, di serie, ad opera d’arte, attraverso un complesso processo concettuale, ma anche fisico sull’oggetto selezionato, realizza il primo Ready-made, prima tappa fondamentale del suo percorso di rivoluzione artistica. Arturo Schwarz, critico d’arte e storico gallerista di Duchamp, individua quattro condizioni fondamentali che governano questo processo di trasformazione dell’oggetto: primo, “il colore verbale”, ovvero un titolo non descrittivo ma in grado di stimolare l’immaginazione; secondo, creare una dimensione temporale attorno all’opera, “pianificare un incontro con l’oggetto”; terzo, decontestualizzare l’oggetto, riproponendolo spesso con un diverso angolo di percezione visiva; quarto, limitare il numero di readymade realizzati nell’arco di un anno, in modo da non scadere nell’atto ripetitivo.


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