POPfilmART: visual culture, moda e design nel cinema italiano anni ’60 e ’70

POPfilmART: visual culture, moda e design nel cinema italiano anni ’60 e ’70
Dal 23 Maggio 2013 al 30 Giugno 2013
Roma
Luogo: Biblioteca Angelica
Indirizzo: via di Sant’Agostino 11
Orari: da lunedì a sabato 10-19; lun ven e sab 10-16.30
Curatori: Simone Casavecchia
Enti promotori:
- Centro Sperimentale di Cinematografia
- Cinecittà Luce
- Edizioni Sabinæ
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 06 68408039
E-Mail info: segreteria@euroforum.it
Sito ufficiale: http://www.bibliotecaangelica.beniculturali.it
Si inaugura il 22 maggio 2013, alle 18.30 alla Biblioteca Angelica di Roma, la mostra fotografica POPfilmART: visual culture, moda e design nel cinema italiano anni ’60 e ’70.
L’evento, patrocinato da Roma Capitale e sostenuto dalla Direzione Generale per i Beni Librari. gli Istituti Culturali e il diritto d'Autore (MiBAC), è promosso dal Centro Sperimentale di Cinematografia, da Cinecittà Luce e dalle Edizioni Sabinæ.
La mostra POPfilmART, a cura di Simone Casavecchia, nasce dall’omonimo progetto editoriale che, come lui stesso afferma, lo ha spinto a scegliere alcune immagini per dimostrare a un largo pubblico come "il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta abbia ancora la capacità di far sognare e rendere il design, la moda e l'arte moderna familiare e riconoscibile in tutto il mondo. La Pop Art infatti divenne allora il marchio di qualità dell'arte italiana e della sperimentazione: è stata in mezzo a noi, nelle nostre case e nelle piazze, ed ora si svela nello spazio di una mostra"
30 grandi stampe dei fotogrammi più famosi accompagnano il visitatore attraverso un percorso fotografico che racconta il design, l’arredamento, la moda, le prospettive e le geometrie dell’epoca: il tutto rielaborato dalle sapienti mani di grandi registi e illustri scenografi che, sotto l’influenza della Pop Art, hanno fatto la storia del nostro cinema. Dalla creatività di Federico Fellini, Antonio Pietrangeli e Michelangelo Antonioni ai ritratti di Liz Taylor, Marcello Mastroianni e Jean-Louis Trintignant.
In mostra scopriremo anche icone e oggetti di culto indossati o affiancati ad attori famosi: in “Amarsi male” la poltrona-Sacco troneggia nell’appartamento usato dagli amanti; nei film di Petri “Un tranquillo posto di campagna”, del 65, l’artista statunitense Jim Dine ha prestato la mano e i quadri al pittore Franco Nero, mentre in quello del 68, “La decima vittima”, troviamo un Mastroiannni di ispirazione op art, di nero vestito e alle spalle un grande dipinto cinetico. E poi ecco le attrici: l’abito arcobaleno della turista Liz Taylor in “Identikit”, del 64, psycho-thriller tendente all’astratto di Giuseppe Patroni Griffi; la M. Grazia Buccella di “Sissignore”, film di Tognazzi del 68, un’icona iperdecorativa vestita con abiti e accessori improbabili come l’ombrellino cinese; sempre del 68 in “Una jena in cassaforte” la bellissima Marie Louise Greisberger viene trascinata fino ai titoli di coda in un turbine psichedelico di visioni ed effetti caleidoscopici, in geometrie e colori dal sapore squisitamente op; nel 69 in “Vedo nudo” film sul tema del voyerismo, Sylva Koscina è ripresa su un bianchissimo letto girevole, tra specchi di ogni tipo che rimandano la sua immagine di star; per finire all’anno 73 con la De Funès ispirata alla sensuale Valentina di Crepax che nel film “Baba Yaga”, affianca alla lussuosa pelliccia il casco, in un affresco pop di sofisticata eleganza in cui realtà e sogno si mescolano.
Il volume è a cura di Dario Edoardo Viganò e Stefano Della Casa. “Il volume - spiega Viganò - è la prima pubblicazione che affronta i rapporti tra cinema italiano, Pop Art e design”. Tale filo conduttore distingue anche la scelta dei film operata da Della Casa: in Diabolik per esempio vede “la presenza pop, praticamente spalmata su ogni sequenza, raggiungere un’efficacia così forte e caratterizzante come raramente nella storia del cinema”.
Due firme d’eccezione, quali Vittorio Sgarbi e Gianni Canova, arricchiscono i contenuti del percorso editoriale. Sgarbi definisce la Pop Art come “l’immissione dell’immaginario visuale di massa in quello artistico, in senso materiale e ideale, dunque nel repertorio iconografico come in quello simbolico, nell’orizzonte mitico come nella dimensione tecnica, con effetti di reciproca sovrapposizione fra campo e campo”. Canova invece decontestualizza il cinema italiano dai suoi ristretti confini per ricondurlo ai processi estetici di quegli anni.
L’evento, patrocinato da Roma Capitale e sostenuto dalla Direzione Generale per i Beni Librari. gli Istituti Culturali e il diritto d'Autore (MiBAC), è promosso dal Centro Sperimentale di Cinematografia, da Cinecittà Luce e dalle Edizioni Sabinæ.
La mostra POPfilmART, a cura di Simone Casavecchia, nasce dall’omonimo progetto editoriale che, come lui stesso afferma, lo ha spinto a scegliere alcune immagini per dimostrare a un largo pubblico come "il cinema italiano degli anni Sessanta e Settanta abbia ancora la capacità di far sognare e rendere il design, la moda e l'arte moderna familiare e riconoscibile in tutto il mondo. La Pop Art infatti divenne allora il marchio di qualità dell'arte italiana e della sperimentazione: è stata in mezzo a noi, nelle nostre case e nelle piazze, ed ora si svela nello spazio di una mostra"
30 grandi stampe dei fotogrammi più famosi accompagnano il visitatore attraverso un percorso fotografico che racconta il design, l’arredamento, la moda, le prospettive e le geometrie dell’epoca: il tutto rielaborato dalle sapienti mani di grandi registi e illustri scenografi che, sotto l’influenza della Pop Art, hanno fatto la storia del nostro cinema. Dalla creatività di Federico Fellini, Antonio Pietrangeli e Michelangelo Antonioni ai ritratti di Liz Taylor, Marcello Mastroianni e Jean-Louis Trintignant.
In mostra scopriremo anche icone e oggetti di culto indossati o affiancati ad attori famosi: in “Amarsi male” la poltrona-Sacco troneggia nell’appartamento usato dagli amanti; nei film di Petri “Un tranquillo posto di campagna”, del 65, l’artista statunitense Jim Dine ha prestato la mano e i quadri al pittore Franco Nero, mentre in quello del 68, “La decima vittima”, troviamo un Mastroiannni di ispirazione op art, di nero vestito e alle spalle un grande dipinto cinetico. E poi ecco le attrici: l’abito arcobaleno della turista Liz Taylor in “Identikit”, del 64, psycho-thriller tendente all’astratto di Giuseppe Patroni Griffi; la M. Grazia Buccella di “Sissignore”, film di Tognazzi del 68, un’icona iperdecorativa vestita con abiti e accessori improbabili come l’ombrellino cinese; sempre del 68 in “Una jena in cassaforte” la bellissima Marie Louise Greisberger viene trascinata fino ai titoli di coda in un turbine psichedelico di visioni ed effetti caleidoscopici, in geometrie e colori dal sapore squisitamente op; nel 69 in “Vedo nudo” film sul tema del voyerismo, Sylva Koscina è ripresa su un bianchissimo letto girevole, tra specchi di ogni tipo che rimandano la sua immagine di star; per finire all’anno 73 con la De Funès ispirata alla sensuale Valentina di Crepax che nel film “Baba Yaga”, affianca alla lussuosa pelliccia il casco, in un affresco pop di sofisticata eleganza in cui realtà e sogno si mescolano.
Il volume è a cura di Dario Edoardo Viganò e Stefano Della Casa. “Il volume - spiega Viganò - è la prima pubblicazione che affronta i rapporti tra cinema italiano, Pop Art e design”. Tale filo conduttore distingue anche la scelta dei film operata da Della Casa: in Diabolik per esempio vede “la presenza pop, praticamente spalmata su ogni sequenza, raggiungere un’efficacia così forte e caratterizzante come raramente nella storia del cinema”.
Due firme d’eccezione, quali Vittorio Sgarbi e Gianni Canova, arricchiscono i contenuti del percorso editoriale. Sgarbi definisce la Pop Art come “l’immissione dell’immaginario visuale di massa in quello artistico, in senso materiale e ideale, dunque nel repertorio iconografico come in quello simbolico, nell’orizzonte mitico come nella dimensione tecnica, con effetti di reciproca sovrapposizione fra campo e campo”. Canova invece decontestualizza il cinema italiano dai suoi ristretti confini per ricondurlo ai processi estetici di quegli anni.
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