Lee Miller. Photographer & Surrealist

© Lee Miller Archives | Lee Miller, Self portrait with headband, New York, USA, 1932

 

Dal 09 Settembre 2023 al 07 Gennaio 2024

Nichelino | Torino

Luogo: Palazzina di Caccia di Stupinigi

Indirizzo: Piazza Principe Amedeo 7

Orari: Dal Martedì al Venerdì 10 – 17.30 Sabato, Domenica e Festivi 10 – 18.30 Lunedì chiuso Ultimo ingresso consentito in mostra un’ora prima dell’orario di chiusura

Costo del biglietto: Dal martedì al venerdì: intero 13,70 euro on-line; 12,50 euro box office, ridotto 11,70 euro on-line; 10,50 euro box office. Sabato, domenica e festivi: intero 15,70 euro on-line; 14,50 euro box office, ridotto 13,70 euro on-line; 12,50 euro box office. Ridotto gruppi/cral (minimo 15 persone): 9,70 euro on-line; 8,50 euro box office.Ridotto scuole (minimo 15 alunni): 7,70 euro on-line; 6,50 euro box office. I bambini al di sotto dei 6 anni entrano gratuitamente

Telefono per prevendita: +39 375 5475033

E-Mail info: info@mostraleemiller.it

Sito ufficiale: http://www.mostraleemiller.it


“Preferisco fare una foto che essere una foto”
(Lee Miller)

A tre anni di distanza dall’esposizione dedicata a Vivian Maier, le antiche cucine della Palazzina di Caccia di Stupinigi ospitano vita e scatti di un’altra grande fotografa del Novecento.
 
LEE MILLER è una delle figure più affascinanti e misteriose di questa epoca.
Modella di straordinaria bellezza, cuoca estrosa, impavida corrispondente di guerra, fotografa di eccelsa bravura.
Nelle fotografie che la ritraggono a emergere sono gli occhi profondi e lucidi, che molto narrano della sua vita vissuta sempre al massimo grado di intensità, in perenne ricerca di se stessa.
 
“Lee Miller: Photographer & Surrealist” è una mostra che ripercorre la vicenda umana e professionale di Lee Miller ponendo l’attenzione sullo sguardo surrealista della fotografa che, formatosi alla fine degli anni Venti a Parigi, travalica questo breve frangente temporale per diventare tratto peculiare della sua poetica.
Surrealista sono sia il suo modo di osservare che il lessico fotografico da lei utilizzato, caratterizzato dall’uso di metafore, antitesi e paradossi visivi volti a rivelare la bellezza inconsueta della quotidianità.
 
Spiega Vittoria Mainoldi, curatrice della mostra: “È difficile raccontare una donna di tale caratura: la sua intimità è complessa, la sua biografia è tumultuosa, il suo lavoro amplissimo. Con questa mostra e la selezione delle opere che la compongono abbiamo cercato di restituire quello che era Lee Miller ma soprattutto quello che era il suo sguardo, un unicum nella storia della fotografia del secolo scorso.”

In mostra sono esposti cento scatti provenienti dall’Archivio Lee Miller che conducono il visitatore alla scoperta non solo della biografia della Miller ma anche della sua cifra stilistica, unica nel panorama della fotografia del primo Novecento.
 
La mostra si sviluppa attraverso diverse aree tematiche: partendo dal lavoro in studio a Parigi, dove la fotografa lavora con sperimentazioni tecniche e compositive, si passa a quello legato al mondo della moda e della pubblicità svolto nello studio di New York, dove la Miller esprime al meglio le sue capacità di ritrattista e di fotografa commerciale pur non rinunciando mai alla cifra surrealista. Identificativo di questo periodo il suo autoritratto mentre è impegnata a promozionare, in tutta la sua bellezza, un cerchietto.
 
La cifra surrealista torna anche nelle sue nature morte o nei paesaggi che arricchiscono il corpus del suo lavoro quando si trasferisce in Egitto, come nel caso di “Portrait of Space” – ritratto dello spazio – scattato verso il deserto.
 
Grazie al suo ruolo centrale nella cultura di quel periodo, fotografa anche gli artisti più famosi dell’epoca. In mostra la foto di Charlie Chaplin che posa con un candelabro in testa, il ritratto di Picasso e quello di Dora Maar, e ancora Mirò, Magritte, Cocteau, Ernst e, immancabilmente, Man Ray, di cui è stata musa, amante e prima di tutto collega, inventando con lui la tecnica della solarizzazione.
 
E poi la guerra, immortalata in tutte le sue sfaccettature. Londra – ormai casa per Lee Miller a seguito del matrimonio con Roland Penrose – devastata dai bombardamenti, ma dove ancora resiste la vita quotidiana. E Parigi, ormai liberata dalle truppe alleate, che Lee segue in prima linea diventando corrispondente per “Vogue” al fronte, come viene ritratta da David E. Scherman, a sua volta soggetto di uno degli scatti più iconici della Miller: l’uomo con indosso la maschera antigas. Infine, l’orrore dai campi di concentramento di Buchenwald e di Dachau, in Germania, che Lee immortala a poco ore dalla loro liberazione.
 
LEE MILLER – una vita frenetica e fuori dagli schemi

Lanciata da Condé Nast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda dei tempi. Molti i fotografi che la ritraggono - Edward Steichen, George Hoyningen-Huene, Arnold Genthe - e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista. Fino a quanto, due anni più tardi, decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo.

Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione.

Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, la Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray.

A questo corpus appartengono le celebri Nude bent forward, Condom e Tanja Ramm under a bell jar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato.

Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando decide di seguire al Cairo il marito, il ricco uomo d'affari egiziano Aziz Eloui Bey.

Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose - l'artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito - viaggia sia nel sud che nell’est europeo.

Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l'Egitto per trasferirsi a Londra e, ignorando gli ordini dall'ambasciata americana di tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per “Vogue”.Il suo contributo più importante arriva nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”.

E’ lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte e durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l'assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre, presente in mostra: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer.

Dopo la guerra Lee Miller continua a scattare per “Vogue” per altri due anni, occupandosi di moda e life style, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuisce al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies è stato fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico.
 





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