Franco Guerzoni. Ritrovamenti 2000-2017
Dal 12 Febbraio 2022 al 28 Maggio 2022
Verona
Luogo: Galleria Marcorossi artecontemporanea
Indirizzo: Via Giuseppe Garibaldi 18
Orari: Martedì-Sabato 10:00-12:30 / 15:00-19:00. Domenica su appuntamento
Telefono per informazioni: +39 045 597753
E-Mail info: verona@marcorossiartecontemporanea.com
Sito ufficiale: http://www.marcorossiartecontemporanea.net
La Galleria Marcorossi artecontemporanea ha il piacere di presentare una mostra personale di Franco Guerzoni intitolata Ritrovamenti 2000-2017. Il progetto, presentato in anteprima l’estate scorsa a Pietrasanta, è esposto come prima mostra del 2022 in contemporanea nelle gallerie di Milano, Verona e Torino.
Il titolo della mostra, ” Ritrovamenti“, fa riferimento sia ad un ciclo di lavori di Guerzoni appartenenti agli anni 2000, sia all’esplicito proposito di questa mostra di guardare, riguardare e ritrovare quelle opere, ad una distanza temporale di quasi 20 anni.
I titoli dei lavori esposti sono narrativi delle ricerche dell’artista: “Antichi tracciati“, “Musivim“, “Epistole” e appunto ” Ritrovamenti“, parole queste che accompagnano lo spettatore verso l’idea di un passato vissuto nella sua idea di “perdita”. Superfici pittoriche lette nella loro profondità attraverso veri e propri scavi a rivelare l’interno del dipinto. L’uso dei gessi e dei pigmenti in polvere rivelano l’intenzione dell’artista di pensare che «La parete è come un libro da sfogliare, un viaggio verso l’interno che consente di rintracciare il vissuto, le memorie, i segni, i simboli, tutto ciò che nel corso dei secoli quel frammento di muratura ha raccolto.» (Franco Guerzoni). A tutti gli effetti, sono pareti dimenticate quelle presenti in mostra. Le intonazioni cromatiche dei bianchi calcinati rivelano la passione dell’artista per la pittura opaca dalla quale spesso affiorano colori, frammenti e piccoli oggetti come in un campo di scavo; la sua è da considerarsi più un’archeologia del quotidiano che non quella del mondo antico. Le opere di Guerzoni guardano sempre alle pareti di una casa abbandonata e ai segni impliciti in essa.
Fin dai primi anni Settanta, infatti, Guerzoni avvia una ricerca personale dedicata all’esplorazione del mondo dell’archeologia, con particolare attenzione ad aspetti legati alla stratificazione della cultura e all’idea di “antico” come perdita e sottrazione. Si dedica alla ricerca di precisi sistemi di rappresentazione dell’immagine, resa anche per mezzo del medium fotografico, accompagnato da un continuo confronto con i suoi contemporanei (tra cui Vaccari, Parmiggiani, Ghirri).
Con gli anni Ottanta la ricerca dell’artista partecipa a una più generale riscoperta della sensibilità pittorica, guidata da un’attrazione per le materie allo stato puro. Dapprima attraverso stratificazioni gessose su grandi carte parietali che indagano l’idea di una geografia immaginaria (Carte di viaggio, Grotteschi, La parete dimenticata) mentre nel 1990 presenta il progetto espositivo Decorazioni e rovine in una sala personale alla Biennale d’Arte di Venezia.
Dagli anni Novanta in avanti prosegue, con grandi cicli di opere, la sua indagine sul concetto di tempo e sulla poetica della rovina, adottando una cifra teorica inscrivibile nel pensiero di una “archeologia senza restauro”. Luoghi in abbandono, architetture domestiche e spazi industriali, forme dell’abitare arcaiche e in rovina riaffiorano dalla superficie dipinta con la dignità di intense apparizioni immaginifiche.
Le opere degli ultimi decenni alimentando l’idea di una pittura “murale” che insegue il rapporto con lo spazio, l’architettura e il tempo, usando il pigmento come agente di rivelazione, di scoperta, di manifestazione della memoria, come presenza forte che emerge dalla superficie bianca in maniera quasi lirica.
Il titolo della mostra, ” Ritrovamenti“, fa riferimento sia ad un ciclo di lavori di Guerzoni appartenenti agli anni 2000, sia all’esplicito proposito di questa mostra di guardare, riguardare e ritrovare quelle opere, ad una distanza temporale di quasi 20 anni.
I titoli dei lavori esposti sono narrativi delle ricerche dell’artista: “Antichi tracciati“, “Musivim“, “Epistole” e appunto ” Ritrovamenti“, parole queste che accompagnano lo spettatore verso l’idea di un passato vissuto nella sua idea di “perdita”. Superfici pittoriche lette nella loro profondità attraverso veri e propri scavi a rivelare l’interno del dipinto. L’uso dei gessi e dei pigmenti in polvere rivelano l’intenzione dell’artista di pensare che «La parete è come un libro da sfogliare, un viaggio verso l’interno che consente di rintracciare il vissuto, le memorie, i segni, i simboli, tutto ciò che nel corso dei secoli quel frammento di muratura ha raccolto.» (Franco Guerzoni). A tutti gli effetti, sono pareti dimenticate quelle presenti in mostra. Le intonazioni cromatiche dei bianchi calcinati rivelano la passione dell’artista per la pittura opaca dalla quale spesso affiorano colori, frammenti e piccoli oggetti come in un campo di scavo; la sua è da considerarsi più un’archeologia del quotidiano che non quella del mondo antico. Le opere di Guerzoni guardano sempre alle pareti di una casa abbandonata e ai segni impliciti in essa.
Fin dai primi anni Settanta, infatti, Guerzoni avvia una ricerca personale dedicata all’esplorazione del mondo dell’archeologia, con particolare attenzione ad aspetti legati alla stratificazione della cultura e all’idea di “antico” come perdita e sottrazione. Si dedica alla ricerca di precisi sistemi di rappresentazione dell’immagine, resa anche per mezzo del medium fotografico, accompagnato da un continuo confronto con i suoi contemporanei (tra cui Vaccari, Parmiggiani, Ghirri).
Con gli anni Ottanta la ricerca dell’artista partecipa a una più generale riscoperta della sensibilità pittorica, guidata da un’attrazione per le materie allo stato puro. Dapprima attraverso stratificazioni gessose su grandi carte parietali che indagano l’idea di una geografia immaginaria (Carte di viaggio, Grotteschi, La parete dimenticata) mentre nel 1990 presenta il progetto espositivo Decorazioni e rovine in una sala personale alla Biennale d’Arte di Venezia.
Dagli anni Novanta in avanti prosegue, con grandi cicli di opere, la sua indagine sul concetto di tempo e sulla poetica della rovina, adottando una cifra teorica inscrivibile nel pensiero di una “archeologia senza restauro”. Luoghi in abbandono, architetture domestiche e spazi industriali, forme dell’abitare arcaiche e in rovina riaffiorano dalla superficie dipinta con la dignità di intense apparizioni immaginifiche.
Le opere degli ultimi decenni alimentando l’idea di una pittura “murale” che insegue il rapporto con lo spazio, l’architettura e il tempo, usando il pigmento come agente di rivelazione, di scoperta, di manifestazione della memoria, come presenza forte che emerge dalla superficie bianca in maniera quasi lirica.
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