La percezione dello spazio

Minimalismo
 

26/02/2004

Arte.it incontra Giorgio Cortenova, direttore della Civica Galleria di Arte Moderna di Verona e curatore della mostra “La percezione dello spazio” Arte minimal della Collezione Panza dal Guggenheim di New York. Dopo un restauro durato un decennio sarà riaperto al pubblico il Palazzo della Gran Guardia di Verona, con l’inaugurazione della mostra il 29 giugno. Doppio appuntamento: la riapertura di un palazzo storico e la presentazione di una mostra dedicata all’arte contemporanea, il contrasto tra antico e moderno, può parlarci di questo connubio? “E’ tipico della situazione italiana. L’arte moderna e contemporanea si caricano dell’energia che proviene dalle strutture architettoniche antiche rilasciando nuove energie e stimoli. L’utilizzo di spazi storici oltre a determinare un segno di continuità, crea un’atmosfera di insolito fascino. Sempre più diffusa la consuetudine di usare luoghi antichi spesso abbandonati, che ritornano in attività proprio grazie al fatto di diventare contenitori interattivi con l’opera d’arte contemporanea.” Il ritorno, seppure temporaneo, di una delle più importanti e significative collezioni di arte contemporanea dal Guggenheim di New York in Italia: un’operazione importante… “Il Minimalismo ormai è storia. Si è affermato di fatto tra la metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta. Sono circa quarant'anni che questa corrente si è affacciata sulla ribalta della cultura contemporanea. La collezione presentata è costituita da opere straordinarie, alcune delle quali di grandi dimensioni che furono acquistate negli anni Sessanta da Giuseppe Panza di Biumo, e a loro volta in parte acquistate e in parte frutto di una donazione al Guggenheim. Tutte le opere appartengono al Guggenheim di New York e tornano in Italia per questa occasione. Si tratta di opere di Andre, Flavin, Judd, LeWitt, Morris, Sims, Turrell e Weiner, che contrassegnano un’epoca proponendo un nuovo tipo di relazione con l’opera e che costituiscono di fatto la struttura portante di quel modo di pensare l’arte, che è stato etichettato come Minimalismo, ma le cui implicazioni sono molto più ampie dello stesso termine che le designa.” Un evento che ha coinvolto oltre la Galleria d’arte Moderna di Verona, molte istituzioni dal comune a vari istituti di credito. E’ stato difficile creare questa rete di promotori? “Come sempre nel progetto e nell’organizzazione di esposizioni si incontrano difficoltà. Molte di queste opere vivono in quanto progetti, vale a dire che l’opera in sé è un progetto. Di volta in volta queste opere si concretizzano, prendono forma attraverso le costruzione in loco, nei luoghi espositivi. Nel caso di LeWitt e di Turrell si trattava di fare un grosso lavoro in sede ed è stato quindi necessario chiedere il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, di Vicenza, Ancona, Belluno e di coinvolgere anche vari settori degli uffici e delle competenze comunali. Riuscire a coordinare tutti questi elementi non è mai facile ma tutto si è svolto con il massimo dell’efficienza.” La percezione dello spazio, un tema che apre il dibattito sulla relazione tra uomo e ambiente, sul legame tra arte minimalista e architettura… “Il Minimalismo si iscrive alla sua origine quasi come un fatto architettonico perché si basa sul progetto e sulla metodologia per realizzare le opere. Il progetto è una sorta di libro delle specifiche per realizzare il lavoro. Il Minimalismo apre un dialogo con lo spazio perché il fruitore viene attratto da una sorta di energia che si scarica nello spazio stesso. La scultura minimalista è molto distante dalla scultura tradizionale, in cui l’accavallarsi di emozioni diverse conduce all’astrazione dallo spazio e all’immedesimazione nell’opera. Nella scultura minimalista l’opera vuole farsi percepire come presa di coscienza, come consapevolezza dello spazio in cui viviamo e in cui queste opere vanno a collocarsi. La fruizione di queste opere è lenta, non c’è più la sovrapposizione di sensazioni dispiegate in maniera orizzontale tipica del cubismo che sfogliava una complessità di emozioni e le poneva simultaneamente nella superficie o nell'opera plastica di scultura. Nell’arte minimalista il processo è al contrario, perché vi è un tempo di fruizione. Quello che l’opera ricerca è proprio un livello di oggettività, l’opera cerca di fare scaturire la verità dalla relazione delle sensazioni, la relazione tra massa e peso, occupazione dello spazio e forme. La forma della scultura minimalista corrisponde esattamente alla relazione tra sensazioni all’interno dello spazio.” Altro curatore eccellente dell’esposizione il Conte Giuseppe Panza di Biumo, in un certo senso “padre” della collezione. Può parlarci di questa collaborazione? “Panza di Biumo curatore è l’artefice di questa grande collezione. Panza di Biumo ha iniziato a collezionare gli artisti dell’Action Painting, dell’Informale europeo. Intorno agli anni ’60 invece rivelò una predilezione per gli artisti minimalisti perché sembrava proponessero una forma nuova d’arte, una nuova energia da immettere nei linguaggi artistici. Iniziò a collezionare le opere di Flavin, di Andre, di Judd con grande entusiasmo. Ricordo benissimo negli anni Settanta opere di grandissime dimensione che si vedevano in Germania e in America e ci si chiedeva chi mai le avrebbe comprate. Le comprò Giuseppe Panza di Biumo, sviluppando una delle collezioni più importanti e più affascinanti. C’è qualcosa di strepitoso nella sua collezione, ancora oggi continua a collezionare in ordine a questi linguaggi in progressione. Nel corso degli anni ’80 e ’90 ha acquisito opere di artisti più giovani che hanno preso lo spunto dai padri più classici. Circa 30 opere di questi artisti saranno in deposito permanente a Verona presso il Palazzo della Gran Guardia dall’inizio del 2002 per dieci anni.”

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