La ristrutturazione di San Clemente
Papa Albani
06/11/2001
La seconda impresa pittorica degli anni del pontificato di Papa Albani è quella di San Clemente.
La chiesa dedicata al martire e papa di cui Gianfrancesco aveva scelto il nome era una fondazione paleocristiana che, nel corso del Medioevo, aveva subito varie ristrutturazioni e aggiunte, concluse con gli interventi decorativi dell’abside alla metà del XII secolo.
Agli inizi del XV secolo Masolino (con il probabile aiuto di Masaccio) aveva affrescato la cappella di Santa Caterina. Scarsi lavori di manutenzione si erano succeduti nei secoli seguenti.
All’inizio del pontificato Albani lo stato dell’edificio era disastroso.
Un ammodernamento si rendeva assolutamente necessario.
Quando nel 1709 il Papa ottenne i tanto agognati fondi i lavori partirono a rilento, finché furono effettivamente compiuti tra il 1714 e il 1715.
L’architetto incaricato di dirigere le operazioni fu Carlo Stefano Fontana, nipote del più noto Carlo, morto nel 1714. Egli ebbe l’ordine di ornare la chiesa “senza rimuovere cosa alcuna della sagra antichità”, operando cioè nel pieno rispetto dell’edificio preesistente, costruito sulla casa dove aveva vissuto il santo. Ci si occupò dapprima della facciata e del quadriportico d’ingresso e venne restaurato anche l’antico protiro, di cui fu sostituita una delle colonne. Esigenze di semplicità e austerità guidarono le scelte progettuali.
All’interno si diede largo sfogo alla ricchezza della decorazione.
Restaurato il mosaico absidale con larghe integrazioni, nuovi soffitti lignei vennero messi in opera nella navata centrale e in quelle laterali. Al centro della navata mediana fu inoltre posizionata la grande tela di Giuseppe Chiari, epigono romano di Carlo Maratti, con la Gloria di San Clemente. Il santo, in vesti pontificali, ascende in cielo accompagnato da angeli e putti alati e dal simbolo del suo martirio (l’àncora alla quale fu legato prima di essere gettato in mare).
Nelle navate laterali il pittore lombardo Pietro Rasini dipinse un’Incoronazione di Maria e una Gloria di San Servolo, ad esaltare il martirio di un altro protagonista della tarda antichità.
Le tele che trovarono ospitalità sulle pareti della navata centrale raccontano episodi della vita dei due santi citati e di Sant’Ignazio d’Antiochia. Fra gli artisti prescelti per le otto scene complessive alcuni, come Giuseppe Chiari e l’omonimo Ghezzi, erano vicini al papa, ma tutti gli altri erano per lo più esordienti e generalmente allineati alle direttive dell’Accademia. Scelsero un linguaggio chiaro e aggraziato nei toni, composto nell’orchestrazione, di facile lettura. Sebastiano Conca (San Clemente e il miracolo dell’agnello) e Pier Leone Grezzi (Sant’Ignazio divorato dai leoni) furono gli unici a cercare soluzioni originali, il primo costruendo un’immagine carica di umori barocchi, il secondo puntando su una impaginazione severa e un certo gusto realistico.
Il ripristino clementino coinvolse in parte anche le cappelle alle estremità delle navate laterali: a destra quella di Santa Caterina venne restaurata da Carlo Roncalli, in quella della Natività della Madonna si fece collocare il bel dipinto di Sebastaino Conca con la Madonna del Rosario, firmato e datato 1714.
Il rispetto e il ripristino delle vestigia del passato, il rinnovato interesse per il culto dei martiri documentavano la volontà di conciliazione, in un clima magico e come sospeso, della Chiesa presente con quella delle origini, nella prospettiva di una nuova età di espansione e propaganda.
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