Paolo Portoghesi

Portoghesi
 

26/02/2004

A pochi chilometri dal borgo medievale di Calcata, il professor Paolo Portoghesi ci accoglie nel suo buen retiro, la tenuta di Monte Menutello, dove si trova il suo studio immerso nel verde della campagna. L’incontro è cordiale e l’intervista ha luogo nel suo studio personale, interamente tappezzato da manifesti e copertine che lo riguardano. Prof. Portoghesi, da pochi giorni si è aperta la Biennale di Venezia, manifestazione che lei ha presieduto per molti anni. L’edizione attuale ha scelto come tema “La platea dell’umanità”: condivide l’odierna impostazione? ”Il compito della Biennale è quello di informare gli uomini di cultura su ciò che avviene nel mondo dell’arte. Un tempo questo compito era più semplice, poiché esistevano solo le cosiddette “Belle Arti” e la selezione delle opere da mostrare avveniva attraverso un processo che mirava alla qualità e al quale partecipavano gli artisti stessi. Oggi la Biennale non è più gestita dagli artisti, ma dai critici, e questo fa sì che ogni edizione rappresenti non tanto lo specchio fedele di ciò che avviene nel mondo, quanto una selezione angolata di ciò che avviene nel mondo dell’arte.” Si tratta quindi di una visione parziale? ”Se si rispecchiasse fedelmente tutto ciò che avviene nel mondo dell’arte, si creerebbe solo una totale confusione. Ogni edizione è un po’ l’autoritratto del critico che l’ha organizzata.” A questo proposito, quest’anno si è posto l’accento sul corpo umano come opera d’arte, con tutte le deviazioni che lo riguardano… ”Io penso che l’idea che il corpo umano possa essere un’opera d’arte indipendentemente dalla rappresentazione o dall’espressione dell’artista sia un aspetto della enorme confusione che oggi domina nel campo dell’arte. Viviamo in un mondo abbandonato a se stesso, che non vuole decidersi a definire quale sarà il suo futuro e aspetta che venga deciso dalla tecnologia e dai processi spontanei d’aggregazione. L’arte ha smesso di essere strumento d’indirizzo: è uno strumento di resa alla prepotenza del reale. Tutto ciò che avviene può essere considerato un’opera d’arte e viene a mancare quella intenzionalità precisa che ha contraddistinto l’arte del passato. Intendiamoci, questa intenzionalità era comunque espressione del potere che voleva razionalmente affermare le sue ragioni. Oggi sembra che si sia scelto un ruolo d’opposizione fine a se stessa, senza più capacità di intervenire attivamente. Io credo che l’eredità dell’arte moderna sia immensa ma oggi come oggi, dispersa in mille rivoli: occorre una generazione che riprenda la strada maestra di un’arte che voglia caricarsi anche di valori etici, che combatta per qualcosa piuttosto che solo per la sua libertà. Così facendo ci si limita ad una visione passiva del mondo, che si riflette anche nell’architettura.”

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