Viaggio onirico con l'arte nelle città italiane

Sognando Roma in mongolfiera con le vedute di Piranesi, Caffi, Pannini, Bellotto

Ippolito Caffi, Ascensione in mongolfiera nella campagna romana, 1847, Olio su carta, Musei civici di Treviso
 

Samantha De Martin

25/03/2020

Il viavai, di fronte alla suprema Fontana di Trevi è sempre lo stesso. Poco conta che siano trascorsi quattro secoli da come doveva vederla Giambattista Piranesi, l’archeologo che, come scrisse Marguerite Yourcenar “non ha solo esplorato i monumenti antichi da disegnatore che cerchi una prospettiva da riprodurre; ne ha personalmente frugato i ruderi soprattutto per penetrare il segreto delle loro fondazioni, per imparare e per dimostrare come vennero costruiti”.
In questi giorni di distanza e isolamento, resi necessari dall’emergenza sanitaria in corso, quel brulicare informe di passanti e viaggiatori, carrozze, donne dalle ampie vesti che tanto meravigliava anche Goethe e i viaggiatori del Grand Tour, ma, molto tempo prima, persino Marziale e Giovenale, forse un po’ ci manca.
Come ci mancano i monumenti della città eterna, Castel Sant’Angelo tra tutti, bellissimo mentre sbuca da un dipinto di Pietro Bellotti.

Non ci resta allora che immaginare di poter scrutare da vicino luoghi e vestigia di una Roma presto nuovamente viva, magari a bordo di una mongolfiera. La stessa, partita da Villa Borghese il 5 aprile 1846, attraverso la quale Ippolito Caffi  sorvolò la città, litigando con un altro aspirante passeggero. Si dice infatti che l'aeronauta francese François Arban che la pilotava, abbia desiderato in cambio del giro panoramico un quadretto dell’artista.


Giovanni Battista Piranesi, Veduta della vasta Fontana di Trevi anticamente detta l'Acqua Vergine, da Vedute di Roma, 1751

Giambattista Piranesi: Veduta della vasta Fontana di Trevi
La magnificenza di una Roma ottocentesca, con la grandiosità e la sublime grandezza delle architetture e di un passato antico, pur segnato da un inesorabile abbandono, è tutta racchiusa nei lavori di Giambattista Piranesi, l’architetto veneto innamorato delle “parlanti ruine” della città eterna. Quella relativa alla Fontana di Trevi è una delle tante Vedute di Roma che descrivono il fascino esercitato sull’architetto dalla città nella quale “ogni pietra diventa libro e ogni monumento maestro”.
Si trattava di una raccolta di tavole raffiguranti ruderi classici e monumenti antichi, anche esterni alla città, che gli assicurarono fama in tutta Europa, grazie soprattutto al “grande formato delle tavole, al taglio sempre originale e prospetticamente accattivante delle composizioni, alla scelta mai scontata dei soggetti”.
L’incisione fu realizzata intorno al 1747 e rappresenta la più celebre fontana di Roma alla quale lavorarono inizialmente Nicola Salvi e Giuseppe Pannini. Eccola in tutto il suo splendore, con i cavalli di Oceano e il dio del mare dalle forme muscolose e opulente, lo sguardo altezzoso, colto mentre incede su un cocchio a forma di conchiglia.

Dopo aver sorvolato la Fontana di Trevi, raggiungiamo l’Accademia di Francia, nei cui pressi Piranesi aveva la sua bottega, una volta stabilitosi definitivamente a Roma. Avendo come mappa le Vedute dell’illustre architetto, ci spostiamo, sorvolando il Campidoglio e il Teatro di Marcello, verso il Colosseo. Proviamo a farlo in mongolfiera, immaginando la stessa emozione che dovette provare il pittore ottocentesco bellunese, Ippolito Caffi, e che lo spinse, una volta completato il volo, a dipingere due quadri quasi romantici, come Ascensione in mongolfiera nella campagna romana.


Ippolito Caffi, Interno del Colosseo, 1857, Olio su tela, Roma, Museo di Roma Palazzo Braschi | © Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Archivio fotografico del Museo di Roma

In mongolfiera verso il Colosseo con Ippolito Caffi
Quando arriviamo nell’arena dell’Anfiteatro Flavio, la luce tenue del tramonto tinge di rosa la cavea di quella che Madame de Stael definì la “più bella rovina di Roma, di cui esistono solo le pietre spoglie dell'oro e de' marmi, che servì di arena ai gladiatori combattenti contro le bestie feroci e dove si soleva divertire e ingannare il popolo romano, con emozioni forti, quando i sentimenti naturali non potevano più avere slancio”.
Prima di proseguire il nostro volo ascoltiamo il poeta Shelley. "Vedo una gran cerchia d'archi, e tutt'intorno giacciono pietre infrante che furono parte un tempo di una solida muraglia. Nelle fessure e sopra le volte cresce una foresta di arbusti, olivi selvatici, e mirti, e rovi intricati, e malerbe confuse... Le pietre sono massicce, immense, e sporgono l'una sull'altra. Vi sono terribili fenditure nelle mura, e ampie aperture da cui si vede il cielo azzurro”.

Una volta finita l’emergenza potremo davvero osservare l’Interno del Colosseo, opera realizzata nel 1857 da Ippolito Caffi e conservata al Museo di Roma Palazzo Braschi.

Oltre a lasciarci un moderno vocabolario pittorico delle vedute, esplorando nuovi punti di vista, con scene notturne e temi inusuali, Caffi ci ha offerto non poche testimonianze degli usi della Roma del suo tempo. Come la Festa dei moccoletti, immortalata in un dipinto del 1852 e ben descritta da Charles Dickens.

“Ognuno dei presenti sembra animato dal solo proposito di spegnere la candeletta degli altri e mantenere accesa la propria; e tutti, uomini, donne e ragazzi, signori e signore, principi e contadini, italiani e stranieri, vociano strillano e urlano incessantemente ai vinti in aria di canzonatura: “Senza moccolo! Senza moccolo!”.


Giovanni Paolo Pannini, Galleria di vedute di Roma antica, 1758, Olio su tela, 303 x 231 cm, Parigi, Louvre

Dentro una galleria immaginaria tra i monumenti romani di Giovanni Pannini
Roma è davvero troppo immensa per poterla esplorare tutta, persino in sogno. Allora proviamo a scoprirla attraverso un’opera che raccoglie, su una stessa tela e tutti insieme, molti dei suoi monumenti. È un olio su tela di Giovanni Paolo Pannini, realizzato nel 1758 e oggi custodito al Louvre, dal titolo Galleria di vedute di Roma antica. Appartiene al genere del capriccio di architetture.

In una sala a galleria, anch’essa immaginaria, sono raccolti dipinti che raffigurano luoghi e architetture della città, così come doveva vederli il pittore piacentino a metà Settecento. C’è l’Arco di Costantino e il Tempio di Vesta, il Pantheon e la Basilica di Massenzio, il Colosseo e Ponte Milvio, ci sono le Terme di Diocleziano e il Tempio dei Dioscuri.

Non mancano - come se la scena rappresentasse l'interno di un museo archeologico - celebri sculture di epoca romana. Un telo di seta, simile a un grande sipario tirato, incornicia in alto la scena. Angeli bianchi sembrano spiccare il volo, giù dalle volte immense della galleria.


Pietro Bellotti, Veduta di Roma con Castel Sant'Angelo e il Vaticano, 1771, 59 x 73.3 cm, Somerset (Gran Bretagna), Collezione privata

L’approdo su Castel Sant’Angelo con Pietro Bellotti
Viene da una collezione privata britannica lo spunto per l’ultima tappa del nostro viaggio onirico nella città eterna. È la Veduta di Roma con Castel Sant’Angelo realizzata nel 1771 da Pietro Bellotti. Con uno stile autonomo e personale, il nipote di Canaletto realizzò numerose vedute delle più importanti città d’Europa oltre ad alcuni capricci architettonici. Tra le tante spicca questa, brillante, che immortala un Tevere limpido che scorre placido sotto il Ponte Sant’Angelo e accanto al Mausoleo costruito intorno al 135 d.C. e che ospitò, tra gli altri, i resti dell'imperatore Adriano e di sua moglie Vibia Sabina.

In lontananza, da un cielo terso, fa capolino la Basilica di San Pietro. Sul fiume, solo una barca; sugli argini, panni stesi ad asciugare. La nostra mongolfiera guadagna il terreno. Scendiamo, con ancora negli occhi la sublime bellezza di Roma.

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