Dal 18 febbraio negli spazi milanesi di Fondazione Prada

Da Marinetti a Guttuso: diario artistico di un ventennio in tumulto

Ullstein Bild / Archivi Alinari © 2017. Digital Image,The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze | Rendering fotografico per “Post Zang Tumb Tuuum” (Fondazione Prada, Milano, 2018) Filippo Tommaso Marinetti nella sua casa con sullo sfondo "Dinamismo diun footballer" di Umberto Boccioni, 1913
 

Francesca Grego

10/01/2018

Milano - Di mostre sul Novecento italiano ne abbiamo viste negli ultimi anni. E non si è fatta attendere troppo nemmeno la rivalutazione dell’arte tra le due guerre che, superata l’ebbrezza rivoluzionaria delle avanguardie, a modo suo torna alla figurazione e alla tradizione, come evidenzia, tra gli altri, il progetto espositivo Realismo Magico in corso al MART di Rovereto.
Ma l’operazione intrapresa da Fondazione Prada con Post Zang Tumb Tuum. Art Life Politics. Italia 1918-1943, dal 18 febbraio negli spazi milanesi di Largo Isarco, si preannuncia come un’esperienza tutt’altro che superflua.

Curata da Germano Celant, la mostra presenta un’indagine approfondita del contesto artistico e culturale del Belpaese tra i due conflitti mondiali, che attraverso circa 500 lavori – dipinti, sculture, disegni, fotografie, manifesti, arredi, progetti e modelli architettonici – restituisce il mosaico di un’epoca densa di inquietudini, ma ricca di fermenti creativi.
I nomi di spicco e i capolavori di richiamo non mancano: da Umberto Boccioni, Giacomo Balla e Fortunato Depero a Felice Casorati, Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Filippo De Pisis, per proseguire con la scultura di Arturo Martini, Fausto Melotti, Adolfo Wildt e le architetture di Giò Ponti, Carlo Scarpa, Marcello Piacentini.

Ma l’obiettivo di Celant è un altro: andare oltre l’idea dell’opera come oggetto estetico neutro e decontestualizzato, per reinserirla nell'humus che le ha dato vita, restituendole la sua “funzione comunicativa” radicata nella realtà della storia e usarla come un mezzo di “cultural understanding”, per dirla con lo storico statunitense David Summers.
A più di 60 anni dalla caduta del fascismo, si può guardare alla stagione artistica degli anni Venti e Trenta senza tabù e apprezzarne i frutti nella complessa rete di relazioni che li lega alla società coeva senza temere di incorrere in revisionismi di sorta.

A descrivere il clima dell’Italia tra le due guerre in un avvolgente itinerario nel tempo concorrono perciò immagini storiche, libri in edizione originale, riviste, lettere e fotografie personali, nonché 20 ricostruzioni dei contesti espositivi in cui i capolavori furono messi in scena, vissuti e interpretati dal pubblico al momento della loro creazione.
Dagli atelier d’artista alle commissioni private, come l’allestimento della Sala dei Gladiatori realizzato da De Chirico nella casa parigina del mercante e collezionista Léonce Rosenberg, dalle grandi manifestazioni pubbliche alle grandi rassegne d’arte italiana in ambito nazionale e internazionale, senza trascurare il ruolo dell’architettura e dei piani urbanistici che rinnovarono il volto delle città.

È Marinetti ad aprire le danze, ritratto nella sua abitazione romana tra i dipinti di Rougena Zatkova e Fortunato Depero. Un’altra immagine lo mostra intento a impartire ordini alla cameriera, davanti alla tavola apparecchiata con vasellame anni Venti, mentre sullo sfondo si staglia il celebre Dinamismo di un foot-baller di Boccioni. L’irriverente teorico delle “parole in libertà” diventa qui l’icona di un tempo in bilico tra avanguardia e tradizione, realismo e utopia, modernità e ritorno all’ordine.

Il percorso, composito e imponente, si snoda poi attraverso gli ambienti della Galleria Sud, del Deposito, della Galleria Nord e del Podium progettati da Rem Koolhas e studio OMA, tra focus tematici dedicati a figure di pensatori, politici e scrittori come Giuseppe Bottai, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Carlo Levi, Margherita Sarfatti, Luigi Pirandello, Alberto Moravia: un confronto tra voci diverse e spesso discordi in cui si specchia un’epoca di contrasti.

Tra le tappe principali, la mostra Das Junge Italien del 1921, che presentò alla Nationalgalerie di Berlino l’opera di Morandi, la Biennale di Venezia, che tra gli anni Venti e Trenta vide la consacrazione di Casorati, dei Futuristi e di Carrà, nonché la Quadriennale di Roma del 1931, con la ricostruzione di una sala dedicata a Gino Severini.
E poi Les Italiens des XIXe et XXe siécles al Jeu de Paume di Parigi, il Novecento italiano di Margherita Sarfatti alla Permanente di Milano, la partecipazione di De Chirico al pionieristico progetto Fantastic Art: Dada, Surrealism (1936-37) al MoMa di New York.
Senza dimenticare il ruolo di movimenti e gruppi come “Valori Plastici”, “Scuola Romana” o “Corrente”, le gallerie distribuite nelle più attive città della Penisola, le architetture effimere e non che segnarono un periodo di particolare vitalità per l’arte del costruire e i monumentali allestimenti della Mostra della Rivoluzione Fascista (1932), tra il Palazzo delle Esposizioni e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nonché l’ambizioso progetto di E42, l’Esposizione Universale naufragata con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale.

A rappresentare le tensioni sociali e le vicende degli oppositori del regime sono le opere e le lettere drammatiche di artisti “contro” come Carlo Levi e Aligi Sassu, mentre il clima dell’imminente fine del fascismo è ben descritto dalla Crocifissione di Renato Guttuso, vincitrice del Premio Bergamo nel 1942 nonostante la censura governativa, e dai disegni beffardi di Mino Maccari nella serie Dux (1943).


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