Dal 3 settembre al 2 dicembre in mostra More Sweetly Play the Dance

Ad Amalfi la danza di William Kentridge nei nuovi spazi dell'Arsenale

William Kentridge, More Sweetly Play the Dance, 2015 | © William Kentridge | Courtesy Lia Rumma Gallery, Milano / Napoli e Goodman Gallery, Johannesburg
 

Samantha De Martin

10/08/2020

Salerno - Un corteo di figure nere, disegnate a carboncino e accompagnate da una banda di ottoni, scivola lungo una sorta di fregio classico a comporre una danza nella quale i temi della morte e della vita si intrecciano, ispirati dall’immaginario allegorico dei rituali africani e dei culti magnogreci.
Era il 2015 e il progetto More Sweetly Play the Dance commissionato all’artista sudafricano William Kentridge dall’Eye Filmmuseum di Amsterdam si preparava a fare il giro del mondo, dal Museum of Art and Design nella Freedom Tower di Miami al nuovo Zeitz Museum of Contemporary Art di Cape Town.


William Kentridge | Foto: © Marc Shoul

Il prossimo 3 settembre questo stesso intervento del Maestro di Johannesburg che intreccia nei suoi lavori politica e poetica per offrire all’osservatore spunti di riflessione su tematiche come il colonialismo, le ingiustizie, l'apartheid, sarà ad Amalfi per inaugurare la riapertura e il restauro dei nuovi spazi dell’Arsenale. L’intervento di Kentridge, More Sweetly Play the Dance, che si potrà ammirare fino al prossimo 2 dicembre 2020, a cura della Galleria Lia Rumma, celebrerà la memoria di un luogo importante già dalla fine degli anni Sessanta.

All’Arsenale, nel 1968, la prima mostra pubblica di arte povera

La mostra di Kentridge che segna la riapertura dell’Arsenale di Amalfi è il terzo step del progetto Amalfi e Oltre voluto dalla Regione Campania e attuato da Scabec, volto a far rivivere le atmosfere culturali di un periodo eroico per l’arte in Campania e in Italia, ma soprattutto a celebrare la figura del grande collezionista che ha introdotto la valorizzazione degli spazi urbani per le opere d’arte, l’interazione fra il fruitore dell’opera d’arte e l’artista.
La mostra segue infatti il convegno Progettare la Memoria: Strategie del digitale promosso in collaborazione con l'Università di Salerno e l'esposizione I sei anni di Marcello Rumma 1965-1970 inaugurata nel 2019 al Museo Madre di Napoli, a cura di Gabriele Guercio, con Andrea Viliani.

Vai alla Gallery: Le fantasmagorie romane di William Kentridge

2769 ab Urbe còndita / Roma 21 aprile 2016. L'omaggio dell'artista sudafricano alla Città Eterna, ad oltre 27 secoli dalla leggendaria fondazione di Roma.

Ma soprattutto l’appuntamento in programma a partire dal 3 settembre negli spazi di questo antico gioiello di architettura medievale dall’elegante struttura modellata in pietra si collega idealmente alle tre rassegne che, sempre all’Arsenale, l’illuminato collezionista, editore e mecenate Rumma promosse e organizzò fra il 1966 e il 1968.
Nel 1966 Renato Barilli curava la mostra Aspetti del Ritorno alle cose stesse, mentre, l’anno successivo, L’Impatto Percettivo di Alberto Boatto e Filiberto Menna accendeva un focus sul tema della percezione nelle ricerche artistiche contemporanee, per lo più di matrice Pop e Op, affiancando opere di artisti americani quali Roy Lichtenstein e Robert Indiana a lavori di Maestri italiani ed europei.

Nell’ottobre del 1968 Marcello Rumma, con sua moglie Lia, invitava l’allora ventottenne Germano Celant, già militante nei circuiti dell’avanguardia, a curare quella che oggi definiremmo una mostra-evento. Si chiamava Arte Povera più Azioni Povere e grazie a questo appuntamento, che vide riunite le creatività di alcuni tra i maggiori artisti e intellettuali che hanno rivoluzionato l’arte contemporanea a livello internazionale, l'arte italiana con i suoi linguaggi d'avanguardia faceva il suo debutto sul palcoscenico internazionale.


William Kentridge, Triumphs and Laments: Progetto per Roma, Ponte Sisto

Quattro anni fa il corteo di Kentridge per il Natale di Roma

Artista bianco in un Sudafrica fortemente afflitto dall’apartheid, Kentridge intreccia nel suo lavoro - dominato dal bianco e dal nero, dalle tecniche del disegno, del collage, dell’incisione - con gli interessi coltivati nel corso degli anni, a cominciare dal teatro.
Attraverso un’altra teoria di personaggi, diversa da quella di More Sweetly Play the Dance - con la Lupa Capitolina in testa, seguita da Giordano Bruno, Aldo Moro e ancora Pasolini - l’artista raccontava, nel 2016, in occasione del Natale di Roma, alcuni capitoli della storia della città facendo ricorso a miti e avvenimenti dalle origini ai nostri giorni.

Il grande fregio concepito per la capitale si intitolava Triumphs and Laments e correva per 500 metri lungo la banchina del Tevere, da Ponte Sisto a Ponte Mazzini, costituendo la più grande opera pubblica mai realizzata dall’artista sudafricano.
Le grandi sagome al centro dalla narrazione, altre oltre dieci metri, si innalzavano dalle pareti dei muraglioni del fiume con la tecnica dello stencil, a celebrare le più grande vittorie e sconfitte, dalla mitologia a oggi.


 William Kentridge, Triumph and Laments, Fiume Tevere, Roma

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