A Venezia dal 12 maggio al 21 novembre
Al via la 17° Biennale di Architettura: in mostra 112 nuovi modi di vivere insieme
Photo Andrea Avezzù |
Future Assembly the exhibition within the 17th International Architecture Exhibition, a collaboration between Studio Other Spaces and six co-designers. 17. Mostra Internazionale di Architettura - La Biennale di Venezia, How will we live toghether?
Francesca Grego
20/05/2021
Venezia - How will we live together? Come vivremo insieme? Parte da questa domanda il viaggio della 17° Mostra Internazionale di Architettura, che inaugurerà a Venezia sabato 22 maggio per accogliere i visitatori fino al prossimo 21 novembre, tra i Giardini della Biennale, l’Arsenale e Forte Marghera. Saranno 112 i partecipanti, provenienti da 46 paesi con una una nutrita rappresentanza femminile e una fetta importante in arrivo da Africa, Asia e America Latina. Sessantuno partecipazioni nazionali animeranno gli storici Padiglioni e il centro storico della città, con tre debutti assoluti: Grenada, Iraq e Uzbekistan.
Ognuno a proprio modo, gli architetti risponderanno all’interrogativo posto dal curatore Hashim Sarkis in cinque scale o sezioni tematiche, ulteriormente arricchite dalle partecipazioni fuori concorso dell’artista israeliana Michal Rovner, dello Studio Other Spaces di Olafur Eliasson e Sebastian Behmann, di Giuseppe Penone per la Vuslat Foundation e di ricercatori provenienti da università di tutto il mondo. Saranno parte della mostra anche i progetti speciali How we will play together?, che a Forte Marghera presenterà il contributo di cinque noti architetti internazionali sul tema del gioco, e Three British Mosques, nato dalla collaborazione della Biennale con il Victoria and Albert Museum e con l’architetto Shahed Saleem.
All’Arsenale, sotto la guida del direttore artistico di Biennale Danza Wayne McGregor, i danzatori-coreografi di Biennale College daranno vita a installazioni e frammenti coreografici, “istantanee” e “schizzi” ispirati ai segni, ai temi e ai materiali della Biennale di Architettura, mentre un ricco programma di incontri ed eventi collaterali animerà le diverse sedi della mostra e l’intera città.
Cambiare lo spazio per vivere (meglio) insieme
“La domanda How will we live together? è antica e allo stesso tempo urgente”, spiega il curatore Hashim Sarkis: “I babilonesi la posero nel costruire la loro torre. L’ha posta Aristotele quando scriveva di politica. La sua risposta è stata ‘la città’. La posero le rivoluzioni francese e americana. Sullo sfondo tumultuoso dei primi anni Settanta del secolo scorso, Timmy Thomas lo implorò nella sua canzone Why Can’t We Live Together?”. Più recentemente, la pandemia ha messo in forse all’improvviso abitudini che davamo per scontate e, prima ancora, le emergenze dell’ambiente ci hanno chiesto di ridefinire il nostro modo di vivere. Gli squilibri derivati dalla globalizzazione, le sfide del cosmo, le trasformazioni della famiglia e dell’abitare, i cambiamenti demografici, l’affermazione di nuovi modi di percepire il corpo, il genere e l’essere comunità hanno reso obsoleti i modelli in uso. E lo spazio, si sa, è fattore primario nel definire il nostro stare al mondo, il primo luogo su cui agire per inventare nuove modalità di esistenza e relazione.
È qui che entrano in gioco architetti e ricercatori, con proposte che spaziano dalla costruzione di case e condomini innovativi al cambiamento dei rapporti tra centri e periferie, dalla tutela della natura ai Poli o in Amazzonia al miglioramento della qualità dell’aria, dall’ideazione di nuove “attrezzature sociali” (scuole, parchi, ospedali…) allo studio della vita condivisa in spazi altri come un campo profughi di Addis Abeba, le favelas di Rio de Janeiro e San Paolo, i corridoi tra India e Pakistan, gli insediamenti abusivi di Lagos e del Cairo, fino a immaginare il futuro della stessa Laguna.
Il Belpaese, laboratorio di un futuro sostenibile e felice
Non fa eccezione il Padiglione Italia, con il progetto Comunità Resilienti curato da Alessandro Melis: una riflessione interdisciplinare sulla possibilità di costruire un nuovo equilibrio tra spazi urbani e territorio, che risponde alle urgenze del cambiamento climatico e alle sfide globali mettendo insieme architettura e botanica, agronomia e medicina, biologia e arte.
Sapere come usare il Sapere è invece il titolo dell’allestimento al Padiglione Venezia, a cura di Giovanna Zabotti e Maurizio Carlin: le loro Education Stations sono spazi per la formazione e l’apprendimento tagliati su misura di cinque diverse fasce di età, ispirati alle architetture visionarie delle più note Earth Stations e basate sulla ricerca di un’armonia che scaturisce dall’interazione tra la nostra psiche e l’ambiente che ci circonda.
Ognuno a proprio modo, gli architetti risponderanno all’interrogativo posto dal curatore Hashim Sarkis in cinque scale o sezioni tematiche, ulteriormente arricchite dalle partecipazioni fuori concorso dell’artista israeliana Michal Rovner, dello Studio Other Spaces di Olafur Eliasson e Sebastian Behmann, di Giuseppe Penone per la Vuslat Foundation e di ricercatori provenienti da università di tutto il mondo. Saranno parte della mostra anche i progetti speciali How we will play together?, che a Forte Marghera presenterà il contributo di cinque noti architetti internazionali sul tema del gioco, e Three British Mosques, nato dalla collaborazione della Biennale con il Victoria and Albert Museum e con l’architetto Shahed Saleem.
All’Arsenale, sotto la guida del direttore artistico di Biennale Danza Wayne McGregor, i danzatori-coreografi di Biennale College daranno vita a installazioni e frammenti coreografici, “istantanee” e “schizzi” ispirati ai segni, ai temi e ai materiali della Biennale di Architettura, mentre un ricco programma di incontri ed eventi collaterali animerà le diverse sedi della mostra e l’intera città.
Cambiare lo spazio per vivere (meglio) insieme
“La domanda How will we live together? è antica e allo stesso tempo urgente”, spiega il curatore Hashim Sarkis: “I babilonesi la posero nel costruire la loro torre. L’ha posta Aristotele quando scriveva di politica. La sua risposta è stata ‘la città’. La posero le rivoluzioni francese e americana. Sullo sfondo tumultuoso dei primi anni Settanta del secolo scorso, Timmy Thomas lo implorò nella sua canzone Why Can’t We Live Together?”. Più recentemente, la pandemia ha messo in forse all’improvviso abitudini che davamo per scontate e, prima ancora, le emergenze dell’ambiente ci hanno chiesto di ridefinire il nostro modo di vivere. Gli squilibri derivati dalla globalizzazione, le sfide del cosmo, le trasformazioni della famiglia e dell’abitare, i cambiamenti demografici, l’affermazione di nuovi modi di percepire il corpo, il genere e l’essere comunità hanno reso obsoleti i modelli in uso. E lo spazio, si sa, è fattore primario nel definire il nostro stare al mondo, il primo luogo su cui agire per inventare nuove modalità di esistenza e relazione.
È qui che entrano in gioco architetti e ricercatori, con proposte che spaziano dalla costruzione di case e condomini innovativi al cambiamento dei rapporti tra centri e periferie, dalla tutela della natura ai Poli o in Amazzonia al miglioramento della qualità dell’aria, dall’ideazione di nuove “attrezzature sociali” (scuole, parchi, ospedali…) allo studio della vita condivisa in spazi altri come un campo profughi di Addis Abeba, le favelas di Rio de Janeiro e San Paolo, i corridoi tra India e Pakistan, gli insediamenti abusivi di Lagos e del Cairo, fino a immaginare il futuro della stessa Laguna.
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