Alle Procuratie Vecchie a Venezia fino al 10 marzo 2024

Con Arthur Duff l'opera d'arte siamo noi

“The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential” di Arthur Duff per “The Art Studio” in “A World of Potential”. Ph. Matteo De Fina
 

Piero Muscarà

18/04/2023

Venezia - C’è un legame sottile e invisibile che collega James Lee Byars a Arthur Duff.
Un luogo magico e indefinibile che prende forma dopo vent’anni di nuovo in laguna, ancora a Venezia, e che parla del rapporto tra l’arte e lo spettatore, tra l’essenza degli esseri umani e la loro proiezione nella realtà. Una ricreazione, un incanto, che non necessariamente segue regole e precetti, ma che svela il segreto del mondo.

Visitando lo scorso 14 aprile la “non-mostra” di Arthur Duff in quello strano luogo dal nome assai complicato che è la Casa di The Human Safety Net presso le Procuratie Vecchie in Piazza San Marco a Venezia ho ripensato al racconto che mio fratello mi fece del suo ultimo incontro con James Lee Byars. Il grande artista americano non aveva ricevuto alcun invito ufficiale alla Biennale d’Arte del 1993, anno del centenario della manifestazione. Ricordava Luca Muscarà:Il primo giorno della vernice, quando tra i primi varcai i cancelli dei Giardini, lì c'era James Lee ad accoglierci. Completamente vestito d'oro, con gesto rituale delicatamente donava a ogni visitatore una minuscola moneta dorata in carta velina, sulla quale, in dimensioni microscopiche, era stampata la frase: "Your presence is the best work”…la vostra presenza è la migliore opera d’arte”.

Così quando Luca Massimo Barbero, curatore dell’Art Studio - ovvero quello spazio dove l’arte dialoga con il sociale nella cornice della Fondazione voluta dal gigante delle assicurazioni Generali che ha trasformato 12mila metri quadri nella casa della speranza e della connessione degli ultimi e dei derelitti (ma in chiave positiva e produttiva, come insegnano i cinque Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite a cui l’istituzione aderisce) - nell’inconsueta e informale inaugurazione della installazione The Hungriest Eye. The Blossoming of Potential di Arthur Duff, quando dicevamo a un certo punto Barbero se n’è venuto fuori affermando che noi spettatori, noi visitatori eravamo “l’opera d’arte”, il cerchio si è chiuso.

Epifanie dunque. Ma anche gioco. Perché l’essenza di questa opera site-specific è tutta qui. Un modo per ingaggiare il pubblico che diviene motore attivo nella creazione di un’opera d’arte che è effimera, irripetibile, bellissima.

Sì perché per capire di cosa stiamo parlando, l’unica possibilità è andare alle Procuratie Vecchie e salire al terzo piano per immergersi nell’esperienza. Il viaggio vale la candela. Innanzitutto perché consente di scoprire un restauro modernissimo e impossibile che solo la combinazione tra un titano della finanza, un genio dell’architettura e una sovrintendenza per una volta illuminata ha reso possibile: la trasformazione di un edificio di “importanza storica e monumentale eccezionale” per lungo tempo fragilissimo e intoccabile in un nuovo meraviglioso spazio davvero contemporaneo nel cuore della città più passatista del mondo. Venezia appunto. E non a caso tra le motivazioni del Premio Pritzker 2023 assegnato a David Chipperfield c’è anche questo capolavoro.

Ma oltre alla meraviglia di questa scoperta che farà la gioia degli amanti dell’architettura (è un anno che la Casa è aperta - ndr) c’è qualcosa in più. L’opera di Duff integra e completa il percorso della mostra permanente A World of Potential, un'esperienza interattiva e immersiva per comprendere e connettersi con il proprio potenziale, esplorando i punti di forza e scoprendo le qualità migliori in noi stessi e negli altri, anche attraverso le storie dei beneficiari, degli operatori e dei volontari di The Human Safety Net.  Una mostra che di per sé è un po’ didattica e didascalica, ma che se la si prende per il verso giusto - ovvero quello della scoperta e dello spasso - può essere divertente e intrattenente. Non vi spiegherò di più, anche perché tra farfalle interattive, manovelle, palline sospese in tubi vuoti mosse con il potere della mente e questionari un po’ svizzeri di auto-rappresentazione si rischierebbe di perdere il senso di questa macchina per raccontare storie e che nelle intenzioni della curatrice Orna Cohen serve proprio a dare una descrizione agli obiettivi della Fondazione che la ospita. E’ un playground appunto e i ragazzi della Casa vi faranno da supporto, senza esitazioni.

Venendo all’opera di Arthur Duff ecco questa è una ciliegina sulla torta. Perché sembra proprio che alla fine del percorso voi, il pubblico, siate il succo della storia. L’opera d’arte.

Si entra in una dark room, dove scansionando il vostro biglietto (che non vi ho spiegato è fondamentale per giocare con il mondo delle potenzialità precedentemente descritto) ecco che accade qualcosa di bellissimo, magico.

Ispirandosi agli antichi manuali dei fuochi d’artificio giapponesi del XVI secolo, Duff ha creato una macchina delle meraviglie, un sistema di proiezione - per tramite di fasci di luce laser colorati - che dà forma alle “vostre potenzialità” . Qualche istante di rappresentazione virtuale dell’inesprimibile. Forme geometriche, ognuna diversa dall’altra, in un gioco che non importa se sia casuale o causale ma che appunto dovrebbe essere la visualizzazione delle potenzialità, quindi forse dell’ineffabile essenza, di chi guarda. Di noi. Di voi. Che vi potrete trasformare da spettatori in opera d’arte. Concettuale, geometrica, in movimento. Certo effimera. Sicuramente anche spirituale, se vorrete consentirvi di esplorare questo altro da sé. O almeno il suo concetto.

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