Dal 26 aprile a Firenze

Un restauro importante per il millenario di San Miniato al Monte

San Miniato al Monte, Agnolo Gaddi, Storie della Passione dopo il restauro. Ph. Antonio Quattrone. Courtesy of Friends of Florence
 

Samantha De Martin

26/04/2018

Firenze - Dieci secoli di bellezza e spiritualità celebrati con una cinquantina di appuntamenti e un restauro speciale. L’Abbazia di San Miniato al Monte, uno degli esempi più illustri di romanico fiorentino, celebra il millenario dalla costruzione - iniziata nel 1018 sotto il vescovo Alibrando - con il restauro del ciborio, reso possibile grazie alla Fondazione Friends of Florence.

L’intervento, durato poco più di un anno ed effettuato da un’équipe di restauratori specializzati - che ha lavorato con l’Alta Sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Prato e Pistoia - ha interessato tutte le opere presenti nell’edicola.
Alla vigilia del milleniario, che si celebra a partire da domani, 27 aprile, con un programma di oltre 50 eventi distribuiti in tutto l’anno, il ciborio - realizzato da Michelozzo di Bartolomeo, in collaborazione con Luca della Robbia e Maso di Bartolomeo su commissione di Piero de' Medici per l’Arte di Calimala, la corporazione fiorentina che riuniva i mercanti ed eseguito dall’architetto della famiglia Medici - si mostra oggi in tutta la sua antica bellezza.

L’edicola - realizzata dai tre grandi artisti - fu concepita per ospitare il miracoloso Crocifisso di Giovani Gualberto, poi trasferito nel 1671 nella chiesa di Santa Trinita a Firenze, e la tavola dipinta con storie della Passione di Cristo eseguita tra il 1394 e il 1396 da Agnolo Gaddi come polittico cuspidato.
A Michelozzo spettò la realizzazione, già dal 1448, del tempietto dalle forme classiche, mentre sono opera di Maso di Bartolomeo le due aquile in bronzo collocate sulla copertura dell’edicola.

Quello che ha interessato quest’opera dall' altissimo valore culturale e artistico, è stato un vero e proprio studio tecnologico che ha rivelato particolari unici, finora nascosti dal tempo.

«L’ intervento - ha commentato Daniele Rapino, funzionario di zona per la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Prato e Pistoia - si è mostrato da subito complesso sia per l’eterogeneità dei materiali costitutivi, sia per lo stato di conservazione non ottimale dovuto anche alle manomissioni succedutesi nell’arco dei secoli che hanno, in parte, modificato il suo assetto originario. Abbiamo così recuperato e salvaguardato un altro dei tanti gioielli di arte e fede conservati nel prezioso scrigno della basilica benedettina».

Un discorso a parte meritano le formelle lignee raffiguranti scene della Passione di Cristo, San Miniato e San Giovanni Gualberto, che costituiscono il dipinto posto sull’altare e che ha subito, nell’arco dei secoli, numerose manomissioni.
Il restauro del polittico ha costituito un’occasione per studiare l’opera nel tempo e riposizionare i pannelli nel loro assetto antecedente il 1938, così da restituire al ciclo pittorico, laddove possibile, una visione iconografica più coerente e completa nel rispetto dell’assetto originale.

Sulla sommità del tempietto tornano a splendere anche le aquile bronzee - una rivolta al presbiterio e l’altra ai fedeli - realizzate da Maso di Bartolomeo. Grazie al restauro è oggi possibile apprezzarne l’originale doratura a foglia e le policromie, documenti preziosissimi per comprendere la bellezza della statuaria quattrocentesca. 

«L’Abbazia di San Miniato - commenta Simonetta Brandolini d’Adda, presidente di Friends of Florence - è una vera porta verso il cielo sopra Firenze. La Basilica, con le sue opere, con tutta la sua comunità di pace, di insegnamento, di riflessione, è sempre un simbolo per tutti i cittadini del mondo. Il ringraziamento della Fondazione va prima di tutto ai tanti donatori che hanno subito contribuito affinché il progetto si realizzasse, a tutti i restauratori che con grande abilità sono intervenuti su ogni opera contenuta nel Ciborio e a Daniele Rapino che, insieme alla Soprintendenza, è stato garante della tutela delle opere del corretto svolgimento dei lavori».


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