C'ero, una volta
Dal 21 Settembre 2012 al 08 Ottobre 2012
Lecce
Luogo: E-lite Studio Gallery
Indirizzo: Corte San Blasio 1C
Orari: da lunedì a sabato 9-20
Curatori: Giovanna Lacedra, Claudia Pellegrino, Grace Zanotto
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 083 2308126
E-Mail info: info@elitestudiogallery.com
Sito ufficiale: http://www.elitestudiogallery.com
Negli spazi della E-lite Studio Gallery venerdì, 21 settembre, dalle ore 19 è tempo di fiabe. Dopo il successo ottenuto a Milano nel luglio scorso, la personale di Anna Caruso dal titolo “C’ERO, UNA VOLTA” arriva a Lecce per coinvolgere il pubblico in un viaggio tra favola e realtà, in cui i personaggi delle fiabe, estrapolati e ricollocati all’interno del caos quotidiano delle grandi metropoli, conducono per mano lo spettatore là dove teme di addentrarsi, in quel “luogo” fatto della ricerca del senso dell’io e della collettività, per costruire un possibile lieto fine. Come ha affermato l’artista in una sua recente intervista: Nelle mie fiabe il lieto fine non è mai dichiarato. La conclusione della storia è soltanto suggerita, a volte molto duramente, altre volte velata da amara ironia: in questo modo voglio stimolare lo spettatore affinchè rifletta sulle infinite possibilità di un personaggio, in questo caso specifico, di un luogo, di un messaggio o di un linguaggio. Il fruitore diventa, così, protagonista e attore dell’opera dipinta. Parlare di un lieto fine, dunque, mi è impossibile, in quanto artefice solo parzialmente del processo. La mostra, a cura di Giovanna Lacedra, Claudia Pellegrino & Grace Zanotto, è visitabile fino all'8 ottobre. "Una volta, io ero. Non un frammento, ma l'intero. Ero il sogno, compatto, che non temeva la realtà. Ero il cuore di una fiaba. La bambina, la principessa. L'anima. Lo specchio nascosto in ogni stagno. La voce e la visione. L'infrangibile magia di una storia senza tempo. Percorrevo i sentieri dell'innocenza, cercando luoghi di stupore. Poi, un giorno qualunque di un anno che non c'è, cerca, cerca… cammina, cammina… inseguendo un inganno ho smarrito la strada. Pollicino senza briciole, non l'ho più ritrovata! Tutt'intorno non era bosco e non era notte. E non era neppure la luce lontana di un tunnel aperto al di là di una tana. Era rumore, piuttosto. Era un eccesso di luci e colori. Un caleidoscopio di vetri e ridondanti fluorescenze. Era un tempo che non abita le fiabe. Era un'altra vastità. Sconosciuta e spaesante. Una dimensione capovolta, nella quale ero piombata all'improvviso. Come catapultata da un singhiozzo della storia. Forse per errore. Forse per capire. Forse per aprire un dialogo tra questo mondo e il mio. Sullo sfondo di questo frastuono, la mia voce si racconta ancora. Rotta, come un giocattolo in disuso. Ma tra i lacerti, ritrovo l'intatto cuore di una fiaba." Onirismi che si sbucciano tra gli spigoli della contemporaneità. Sono le fiabe esplose di Anna Caruso. Alice, il Bianconiglio, Cappuccetto Rosso, Biancaneve: solitudini smarrite nell'irrealtà di un mondo che ha perso la capacità di 'sentire'. E se l'arte è soprattutto visione, come affermava Jean Dubuffet, le visioni metropolitane di Anna Caruso si animano di personaggi simbolici, per indagare i vuoti del nostro tempo. Le fiabe nascono come narrazioni dal chiaro intento educativo, e ciascuna di esse puntualmente si conclude con un lieto fine: Cappuccetto Rosso esce intatta dal ventre del lupo, Cenerentola, calzando a perfezione la sua scarpina di cristallo, riesce a sposare il principe, Biancaneve si libera definitivamente dalla sua matrigna. Insomma, il buono ha sempre la meglio sul cattivo. Perché nelle fiabe i personaggi sono nettamente divisi tra buoni e cattivi, come in una sorta di etica manicheista. Tra le pagine di Carroll, Perrault o dei Fratelli Grimm i buoni vincono o si salvano, e tutti finiscono per vivere felici e contenti. Non è esattamente quello che accade nelle opere della Caruso, in cui la trama della fiaba viene interrotta, e la sua eroina viene strappata dal contesto narrativo per essere letteralmente teletrasportata in una dimensione che non le appartiene. È quel singhiozzo della storia, che come un sussulto sismico la spiazza, la infrange, e la disorienta. Anna Caruso pone come principale operazione della sua azione pittorica una decontestualizzazione di evidente matrice duchampiana. Cappuccetto Rosso che vaga smarrita col suo cestino tra i cartelloni pubblicitari di una grande città, non è che un ready made: una creatura avulsa dal suo contesto originario e collocata laddove nessuno si aspetterebbe di incontrarla. La scelta di decontestualizzare proprio le eroine di fiabe popolari, scaturisce dalla sua esperienza nel Cosplay (contrazione delle parole inglesi costume e play), gioco di origine giapponese che consiste nell'indossare costumi di personaggi della cultura manga, degli anime, o delle fiabe. Anna ha iniziato a giocare travestendosi da Alice. E questa Alice ha riportato a galla la bambina che un tempo è stata e che dentro è ancora. In un gioco creativo si è aperto un dialogo tra una donna e la sua innocenza: la bambina delle fiabe ha parlato all'artista in divenire. Fino a quando Anna non ha permesso ad Alice di entrare nel 'quadro'. Alice ha preso cittadinanza oltre la trama della tela, insieme ad una serie di altri eroi ed eroine come lei, abolendo anche quella netta distinzione tra buoni e cattivi. Con pennellate di colore acrilico accostate e giustapposte su tele preferibilmente serigrafiche, Anna dà vita ad un mondo dentro al mondo. Adottando una tecnica dinamica costruisce, con grande rapidità, architetture e anatomie, sovente colte in prospettive grandangolari. Nei panni di Alice, Anna ha scoperto che l'apparente dissonanza tra quel costume e il contesto urbano può invece simboleggiare l'attuale condizione dell'artista, sempre in qualche modo fuori luogo, baconianamente ingabbiato in una realtà deformante e asfissiante. Ma proprio per questo capace di raccontarla. (dal testo critico di Giovanna Lacedra)
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