Il volto dell'anima

Il volto dell'anima, Complesso Monumentale del Broletto, Novara
Dal 1 June 2014 al 20 June 2014
Novara
Luogo: Complesso Monumentale del Broletto
Indirizzo: via Rosselli 20
Orari: domenica 10-19; altri giorni 14-19; lunedì chiuso
Curatori: Bruno Bandini
Enti promotori:
- Comune di Novara - Assessorato alla Cultura
- CSV Novara
- Numismatica Novaria
- Bistrot Nuares
- Tipografia Vigentina - Zecone (PV)
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 0321 3702770
E-Mail info: musei@comune.novara.it
Sito ufficiale: http://www.comune.novara.it
Il progetto espositivo proposto prevede la partecipazione degli artisti citati con due opere sul tema del ritratto. Sedici artisti, operanti nel territorio nazionale e internazionale, invitati a partecipare a questo progetto, attraverso la loro ricerca, spaziando negli aspetti più diversi delle arti visive; dalla pittura tradizionale, alla fotografia, al video, all'installazione con oggetti di uso quotidiano o industriale, alla scultura realizzata con i materiali più vari.
Inganni
di Bruno Bandini, testo estratto dal catalogo
“io sono questo” oppure “questo è il mio ritratto”
Non si tratta di un paradosso, di un gioco concettuale che ha a che fare con la possibilità di additare noi stessi.
Il ritratto è un’immagine che in qualche modo ci custodisce. Custodisce una parvenza che allude ad un’identità; una traccia sensibile che indica una presenza.
Può essere un’impronta, come quella che Menelao osserva, stupefatto, sul pavimento che Elena ha calpestato un’ultima volta prima di raggiungere l’amato a Troia; come quelle che insegue V. – fratello-investigatore che cerca di ricostruire la “vera vita” di Sebastian Knight, protagonista del primo romanzo in lingua inglese di Vladimir Nabokov – su una spiaggia che le maree saranno inevitabilmente destinate a cancellare.
Può essere una riflessione che l’autore rivolge a se stesso, un interrogativo rigorosamente personale che può basculare tra somiglianza fisiognomica e sottolineatura del carattere, conformità al vero e idealizzazione, idealismo ed espressione emotiva, tra astrazione e spaesamento.
Può, spesso, presentarsi come maschera, dissimulazione, inganno, senza dimenticare che – come sottolinea Claude Lévy-Strauss – “la verità si riconosce dalla cura che essa prende nel nascondersi”. Eppure disvelare è pericoloso, come lo è scoprire la verità, che, per statuto etimologico, è “nuda”. Disvelarsi è inopportuno. Alle celebrazioni dionisiache delle Menadi possono partecipare solo le donne. O meglio, gli uomini possono essere della partita – a meno che non si tratti di Orfeo, che disperatamente ricerca Euridice – solo se travestiti da donna. Se l’inganno decade, si rischia la vita.
Insomma, fin dagli albori della nostra civiltà, mitica e letteraria, sembra valere l’adagio “sua cuique persona”, “a ciascuno la sua maschera”.
Il ritratto non è solo un “genere” con il quale le arti visive si sono confrontate fin dai tempi delle narrazioni omeriche, è anche una questione “etimologica”.
Che cosa significa “ritrarre”? Certo si tratta di “ritirare” di “tirare indietro” e, figurativamente, di “trarre fuori l’immagine”, ma si tratta anche di “distogliere”, di “sottrarsi”. Come dire: dietro un ritratto ci si nasconde.
Non appaia questa considerazione improntata ad una rivisitazione delle Etimologie di Isidoro di Siviglia. Ma il termine “ritratto”, come ogni vocabolo e come voleva il dottore della Chiesa del VII secolo, intrattiene una relazione con la “cosa” che si può comprendere secundum naturam, oppure secundum propositum.
Come dire: il ritratto non è la pura radiografia di un volto, o non è solo questo.
Indipendentemente dai mezzi con cui il ritratto viene realizzato (pittura, scultura, fotografia, assemblaggio), la “natura” del soggetto è sottoposta all’intervento del “proposito”, della motivazione, della scelta che è propria dell’artista. In una parola, alla sua creatività, al suo talento.
Insomma, tra realtà, raffigurazione e percezione, tra il soggetto che viene “ritratto” e l’autore si instaura una relazione complessa e divertente, incredibilmente ambigua, tra le infinite possibilità dell’apparire e lo sforzo di restituire l’apparenza alla disponibilità del nostro sguardo.
Detto ancora in un altro modo, il “ritratto” è un modo di dire l’infinità delle disseminazione di senso del soggetto raffigurato, alla ricerca di un’ombra insopprimibile, di un quid che nella distrazione del quotidiano sfugge, per quanto la “verità” di colui che viene ritratto sia inesprimibile, per quanto ogni ritratto non possa far altro che nasconderla, celarla.
Eppure il ritratto ci invita a riflettere su una sua caratteristica specifica: il suo essere apertura sul silenzio della propria immagine assente. Fa tornare dall’oblio dell’assenza, ma, contemporaneamente, rammemora nell’assenza. In una parola è un monito al nostro sguardo: lo scava, lo esaspera, lo demolisce a volte. Un percorso allusivo e misterioso che indica un’identità che comunque resta sempre “altra” ed attorno alla quale si organizza lo spazio del nostro sguardo.
Dunque è il nostro sguardo ad esporre il soggetto. E’ il nostro sguardo che viene sedotto, perché il ritratto ci chiama a sé facendoci vedere ciò che non può essere visto.
Come se la metafora paolina videmus nunc per speculum in aenigmate si facesse carne delle immagini.
Artisti:
Davide Baroggi - Alberto Bongini - Corrado Bonomi - Massimo Caccia Gianni Cella - Antonio De Luca - Salvatore Falci - Davide Ferro Mario Finotti - Eliana Frontini - Florencia Martinez - Fabrizio Molinario Max Papeschi - Massimo Romani - Leonardo Santoli - Giovanni Sesia
Inganni
di Bruno Bandini, testo estratto dal catalogo
“io sono questo” oppure “questo è il mio ritratto”
Non si tratta di un paradosso, di un gioco concettuale che ha a che fare con la possibilità di additare noi stessi.
Il ritratto è un’immagine che in qualche modo ci custodisce. Custodisce una parvenza che allude ad un’identità; una traccia sensibile che indica una presenza.
Può essere un’impronta, come quella che Menelao osserva, stupefatto, sul pavimento che Elena ha calpestato un’ultima volta prima di raggiungere l’amato a Troia; come quelle che insegue V. – fratello-investigatore che cerca di ricostruire la “vera vita” di Sebastian Knight, protagonista del primo romanzo in lingua inglese di Vladimir Nabokov – su una spiaggia che le maree saranno inevitabilmente destinate a cancellare.
Può essere una riflessione che l’autore rivolge a se stesso, un interrogativo rigorosamente personale che può basculare tra somiglianza fisiognomica e sottolineatura del carattere, conformità al vero e idealizzazione, idealismo ed espressione emotiva, tra astrazione e spaesamento.
Può, spesso, presentarsi come maschera, dissimulazione, inganno, senza dimenticare che – come sottolinea Claude Lévy-Strauss – “la verità si riconosce dalla cura che essa prende nel nascondersi”. Eppure disvelare è pericoloso, come lo è scoprire la verità, che, per statuto etimologico, è “nuda”. Disvelarsi è inopportuno. Alle celebrazioni dionisiache delle Menadi possono partecipare solo le donne. O meglio, gli uomini possono essere della partita – a meno che non si tratti di Orfeo, che disperatamente ricerca Euridice – solo se travestiti da donna. Se l’inganno decade, si rischia la vita.
Insomma, fin dagli albori della nostra civiltà, mitica e letteraria, sembra valere l’adagio “sua cuique persona”, “a ciascuno la sua maschera”.
Il ritratto non è solo un “genere” con il quale le arti visive si sono confrontate fin dai tempi delle narrazioni omeriche, è anche una questione “etimologica”.
Che cosa significa “ritrarre”? Certo si tratta di “ritirare” di “tirare indietro” e, figurativamente, di “trarre fuori l’immagine”, ma si tratta anche di “distogliere”, di “sottrarsi”. Come dire: dietro un ritratto ci si nasconde.
Non appaia questa considerazione improntata ad una rivisitazione delle Etimologie di Isidoro di Siviglia. Ma il termine “ritratto”, come ogni vocabolo e come voleva il dottore della Chiesa del VII secolo, intrattiene una relazione con la “cosa” che si può comprendere secundum naturam, oppure secundum propositum.
Come dire: il ritratto non è la pura radiografia di un volto, o non è solo questo.
Indipendentemente dai mezzi con cui il ritratto viene realizzato (pittura, scultura, fotografia, assemblaggio), la “natura” del soggetto è sottoposta all’intervento del “proposito”, della motivazione, della scelta che è propria dell’artista. In una parola, alla sua creatività, al suo talento.
Insomma, tra realtà, raffigurazione e percezione, tra il soggetto che viene “ritratto” e l’autore si instaura una relazione complessa e divertente, incredibilmente ambigua, tra le infinite possibilità dell’apparire e lo sforzo di restituire l’apparenza alla disponibilità del nostro sguardo.
Detto ancora in un altro modo, il “ritratto” è un modo di dire l’infinità delle disseminazione di senso del soggetto raffigurato, alla ricerca di un’ombra insopprimibile, di un quid che nella distrazione del quotidiano sfugge, per quanto la “verità” di colui che viene ritratto sia inesprimibile, per quanto ogni ritratto non possa far altro che nasconderla, celarla.
Eppure il ritratto ci invita a riflettere su una sua caratteristica specifica: il suo essere apertura sul silenzio della propria immagine assente. Fa tornare dall’oblio dell’assenza, ma, contemporaneamente, rammemora nell’assenza. In una parola è un monito al nostro sguardo: lo scava, lo esaspera, lo demolisce a volte. Un percorso allusivo e misterioso che indica un’identità che comunque resta sempre “altra” ed attorno alla quale si organizza lo spazio del nostro sguardo.
Dunque è il nostro sguardo ad esporre il soggetto. E’ il nostro sguardo che viene sedotto, perché il ritratto ci chiama a sé facendoci vedere ciò che non può essere visto.
Come se la metafora paolina videmus nunc per speculum in aenigmate si facesse carne delle immagini.
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