Dal 14 settembre al 26 gennaio a Palazzo Reale
Il grande ritorno a Milano di Munch, pensatore e performer
Edvard Munch, Malinconia, 1900–01, Olio su tela, 126 x 110.5 cm | Foto: © Munchmusee
Samantha De Martin
13/09/2024
Milano - Munch torna a Milano dopo quarant’anni grazie a una mostra che svela l’artista e il pensatore, ma anche il performer che già, dai primi anni della sua carriera, si posizionava di fronte allo specchio per mettere in scena le sue emozioni a beneficio del pubblico.
Uomo di immagini e di parole, Munch ha riempito fogli di annotazioni, lettere, aneddoti, ricorrendo alla parola scritta, ma anche alla fotografia, al cinema alla litografia, continuando ancora oggi a commuovere il pubblico di ogni età con i volti dei suoi personaggi senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, i dolori indicibili e le umanissime angosce, elementi che trasformano i suoi capolavori in messaggi universali.
Dal 14 settembre al 26 gennaio Palazzo Reale accoglie il precursore dell'Espressionismo che più di tutti ha saputo interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell'animo umano, con una grande retrospettiva promossa dal Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, che svela aspetti meno conosciuti della sua arte, come le sue sperimentazioni con la fotografia e con la cinepresa.
Munch. Il grido interiore, Allestimento della mostra | Courtesy Arthemisia
Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, curatrice della mostra in collaborazione con Costantino D’Orazio, affida l’universo dell’artista a cento opere, tra le quali una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901), Danza sulla spiaggia (1904).
Il visitatore di Palazzo Reale è chiamato a confrontarsi con temi universali come la nascita, la morte, l’amore, il mistero della vita, i disagi psichici connessi all’esistenza umana, le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali, il vuoto lasciato dalla morte.
Attraversando le sezioni il visitatore è investito dal "grido interiore" di un artista ferito dal dolore abbattutosi a più riprese sulla sua esistenza, e che lui sperimenta sulla tela lavorando sulla vista, sulla memoria, sulla luce, sull’uso aggressivo del colore. La malattia, fattore costante durante tutta la sua infanzia e giovinezza, la prematura scomparsa della madre uccisa dalla tubercolosi, la morte della sorella maggiore Sophie e degli altri membri della sua famiglia, inducono Munch a filtrare il lutto in alcuni dei suoi motivi più toccanti.
Allucinazioni, ombre allungate, rivoli di pittura che evocano l’immagine di corpi che si dissolvono suggeriscono il modo in cui i pazienti fanno esperienza del mondo. Dal 1890 Munch si dedica anche alla stampa. Sulle tele e sulle tavole di legno possiamo vedere le goccioline e i rivoli del colore, tocchi dell’artista che intende svelare l'inesprimibile.
Edvard Munch, L’assassinio, 1906, Olio su tela, 100.5 x 70.5 cm | Foto: © Munchmusee
“Non è forse un caso - commenta Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch e curatrice della mostra in collaborazione con Costantino D’Orazio - che Edvard Munch abbia visto la luce negli anni in cui alcuni importanti scienziati, medici e botanici tedeschi, elaboravano le loro teorie sulla funzione delle cellule negli organismi viventi. Era nato in un’epoca di transizione e di gradi scoperte scientifiche e ne fu protagonista. Per tutto l’arco della sua vita Munch partecipò attivamente come pittore e come esploratore, al mondo delle idee, alle trasformazioni che investivano la società e la cultura del suo tempo. La rivoluzione scientifica e tecnica, la nuova comunicazione, i problemi emergenti di ordine sociale, di genere e spirituali contribuivano a cambiare il mondo. Le prime discipline a recepire il vento di novità furono senza dubbio la musica e la filosofia, ma indubbiamente anche l’arte e la letteratura. Munch riteneva che la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione diretta della realtà, fino a sostituirla: ‘Non dipingo la natura, la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto’. La formazione artistica di carattere accademico che riceve in gioventù si trasforma presto in tecniche inventive capaci di esprimere i ricordi e le emozioni che sfuggono all’occhio umano. Secondo Munch ogni cosa che vediamo viene attivata dai sensi e dalla memoria e la nostra psiche si basa sulla memoria”.
L’esposizione segue un percorso cronologico. La visione di Munch si dipana dagli esordi dell’arte che si va formando grazie alla sua istruzione e alla frequentazione di alcuni amici che erano gli scrittori più importanti della sua generazione. La narrazione della mostra contribuisce a plasmare il fregio della vita dell'artista, sviscerando le sue visioni, l’amore, la sensualità e le sue meditazioni anche grazie alla presenza di opere monumentali.
Particolarmente interessante è il rapporto tra Munch e l’Italia. Il pittore deve molto anche alla tradizione italiana del passato: la storia, il ricordo, la memoria diventano temi a lui particolarmente cari. Una sezione della mostra descrive il suo debito verso il belpaese. Eppure il primo viaggio nella penisola, nel 1899, assieme alla sua amata Tulla Larsen, comincia con il piede sbagliato. “Sarebbe dovuto andare a Parigi. Ma la sua salute non glielo permise, e forse l’Italia gli avrebbe giovato, quindi si diressero insieme a Firenze. Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze” scrive l’artista stesso utilizzando la terza persona.
Munch. Il grido interiore, Allestimento della mostra | Courtesy Arthemisia
È soprattutto a Roma che Munch si confronta profondamente con le tradizioni italiane. Nel 1927, in visita alla capitale, si reca in pellegrinaggio al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia, ricordo racchiuso nell’opera La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) che ritrae uno scorcio del cimitero acattolico romano.
In mostra la cosmologia personale di Munch, modellata sulla base dell’idea che l’ambiente fisico e i corpi delle creature agiscano gli uni sugli altri, permettendo alle energie invisibili di interagire con il mondo visibile, lascia il posto agli autoritratti. L’artista posa spesso di fronte allo specchio, una sorta di oggetto di scena che gli permette di assumere il ruolo di diversi personaggi. Il percorso affida all’ultima sezione all’eredità di Munch, lo sperimentatore che ha saputo intrecciare diverse forme di creatività, dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia.
Alcuni suoi capolavori consentono di rileggere attraverso precise scelte compositive il suo immaginario inquieto, eppure seducente, come dimostrano i paesaggi accomunati dalla sua personale e innovativa costruzione dello spazio, dove un elemento architettonico proietta il nostro sguardo all’interno del quadro. Accade con la balaustra nel dipinto Donna sui gradini della veranda (1942) o nel viale nel Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924). Attraverso questi elementi, assieme al pittore entriamo nella scena partecipando con maggiore coinvolgimento all’emozione che la pervade.
Uomo di immagini e di parole, Munch ha riempito fogli di annotazioni, lettere, aneddoti, ricorrendo alla parola scritta, ma anche alla fotografia, al cinema alla litografia, continuando ancora oggi a commuovere il pubblico di ogni età con i volti dei suoi personaggi senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, i dolori indicibili e le umanissime angosce, elementi che trasformano i suoi capolavori in messaggi universali.
Dal 14 settembre al 26 gennaio Palazzo Reale accoglie il precursore dell'Espressionismo che più di tutti ha saputo interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell'animo umano, con una grande retrospettiva promossa dal Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo, che svela aspetti meno conosciuti della sua arte, come le sue sperimentazioni con la fotografia e con la cinepresa.
Munch. Il grido interiore, Allestimento della mostra | Courtesy Arthemisia
Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, curatrice della mostra in collaborazione con Costantino D’Orazio, affida l’universo dell’artista a cento opere, tra le quali una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901), Danza sulla spiaggia (1904).
Il visitatore di Palazzo Reale è chiamato a confrontarsi con temi universali come la nascita, la morte, l’amore, il mistero della vita, i disagi psichici connessi all’esistenza umana, le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali, il vuoto lasciato dalla morte.
Attraversando le sezioni il visitatore è investito dal "grido interiore" di un artista ferito dal dolore abbattutosi a più riprese sulla sua esistenza, e che lui sperimenta sulla tela lavorando sulla vista, sulla memoria, sulla luce, sull’uso aggressivo del colore. La malattia, fattore costante durante tutta la sua infanzia e giovinezza, la prematura scomparsa della madre uccisa dalla tubercolosi, la morte della sorella maggiore Sophie e degli altri membri della sua famiglia, inducono Munch a filtrare il lutto in alcuni dei suoi motivi più toccanti.
Allucinazioni, ombre allungate, rivoli di pittura che evocano l’immagine di corpi che si dissolvono suggeriscono il modo in cui i pazienti fanno esperienza del mondo. Dal 1890 Munch si dedica anche alla stampa. Sulle tele e sulle tavole di legno possiamo vedere le goccioline e i rivoli del colore, tocchi dell’artista che intende svelare l'inesprimibile.
Edvard Munch, L’assassinio, 1906, Olio su tela, 100.5 x 70.5 cm | Foto: © Munchmusee
“Non è forse un caso - commenta Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch e curatrice della mostra in collaborazione con Costantino D’Orazio - che Edvard Munch abbia visto la luce negli anni in cui alcuni importanti scienziati, medici e botanici tedeschi, elaboravano le loro teorie sulla funzione delle cellule negli organismi viventi. Era nato in un’epoca di transizione e di gradi scoperte scientifiche e ne fu protagonista. Per tutto l’arco della sua vita Munch partecipò attivamente come pittore e come esploratore, al mondo delle idee, alle trasformazioni che investivano la società e la cultura del suo tempo. La rivoluzione scientifica e tecnica, la nuova comunicazione, i problemi emergenti di ordine sociale, di genere e spirituali contribuivano a cambiare il mondo. Le prime discipline a recepire il vento di novità furono senza dubbio la musica e la filosofia, ma indubbiamente anche l’arte e la letteratura. Munch riteneva che la mente individuale, le visioni interiori e il recupero cosciente dei ricordi dessero forma alla percezione diretta della realtà, fino a sostituirla: ‘Non dipingo la natura, la uso come ispirazione, mi servo dal ricco piatto che offre. Non dipingo cosa vedo, ma cosa ho visto’. La formazione artistica di carattere accademico che riceve in gioventù si trasforma presto in tecniche inventive capaci di esprimere i ricordi e le emozioni che sfuggono all’occhio umano. Secondo Munch ogni cosa che vediamo viene attivata dai sensi e dalla memoria e la nostra psiche si basa sulla memoria”.
L’esposizione segue un percorso cronologico. La visione di Munch si dipana dagli esordi dell’arte che si va formando grazie alla sua istruzione e alla frequentazione di alcuni amici che erano gli scrittori più importanti della sua generazione. La narrazione della mostra contribuisce a plasmare il fregio della vita dell'artista, sviscerando le sue visioni, l’amore, la sensualità e le sue meditazioni anche grazie alla presenza di opere monumentali.
Particolarmente interessante è il rapporto tra Munch e l’Italia. Il pittore deve molto anche alla tradizione italiana del passato: la storia, il ricordo, la memoria diventano temi a lui particolarmente cari. Una sezione della mostra descrive il suo debito verso il belpaese. Eppure il primo viaggio nella penisola, nel 1899, assieme alla sua amata Tulla Larsen, comincia con il piede sbagliato. “Sarebbe dovuto andare a Parigi. Ma la sua salute non glielo permise, e forse l’Italia gli avrebbe giovato, quindi si diressero insieme a Firenze. Malattia, alcol, disastri: questo fu il viaggio a Firenze” scrive l’artista stesso utilizzando la terza persona.
Munch. Il grido interiore, Allestimento della mostra | Courtesy Arthemisia
È soprattutto a Roma che Munch si confronta profondamente con le tradizioni italiane. Nel 1927, in visita alla capitale, si reca in pellegrinaggio al Cimitero Acattolico per visitare la tomba dello zio, Peter Andreas Munch, lo storico più famoso di tutta la Norvegia, ricordo racchiuso nell’opera La tomba di P.A. Munch a Roma (1927) che ritrae uno scorcio del cimitero acattolico romano.
In mostra la cosmologia personale di Munch, modellata sulla base dell’idea che l’ambiente fisico e i corpi delle creature agiscano gli uni sugli altri, permettendo alle energie invisibili di interagire con il mondo visibile, lascia il posto agli autoritratti. L’artista posa spesso di fronte allo specchio, una sorta di oggetto di scena che gli permette di assumere il ruolo di diversi personaggi. Il percorso affida all’ultima sezione all’eredità di Munch, lo sperimentatore che ha saputo intrecciare diverse forme di creatività, dalla pittura classica al cinema, dall’incisione alla fotografia.
Alcuni suoi capolavori consentono di rileggere attraverso precise scelte compositive il suo immaginario inquieto, eppure seducente, come dimostrano i paesaggi accomunati dalla sua personale e innovativa costruzione dello spazio, dove un elemento architettonico proietta il nostro sguardo all’interno del quadro. Accade con la balaustra nel dipinto Donna sui gradini della veranda (1942) o nel viale nel Muro di casa al chiaro di luna (1922-1924). Attraverso questi elementi, assieme al pittore entriamo nella scena partecipando con maggiore coinvolgimento all’emozione che la pervade.
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