Al Grand Palais fino al 22 gennaio 2018

A Parigi Gauguin l’Alchimista

Paul Gauguin, Manao tupapau, 1892, Olio su tela, 92 x 73 cm, Buffalo, Albright-Knox Art Gallery
 

Francesca Grego

16/10/2017

Mondo - Non chiamatelo semplicemente “pittore”: sarebbe riduttivo. Nelle sale del Grand Palais più di 100 opere di Paul Gauguin aprono una finestra sulla sua creatività sfaccettata, capace di esprimersi in ceramiche, sculture in legno, stampe, disegni con la stessa passione dedicata a tele e pennelli.
 
All’origine di una produzione tanto varia, non solo una straordinaria versatilità tecnica, ma soprattutto l’attitudine di una personalità libera e inquieta a nutrirsi di ogni stimolo che colpisse la sua immaginazione - dalla Bretagna alla Polinesia, dai fregi antichi alle stampe giapponesi - e di rielaborare il tutto in un’arte sintetica di spiccata personalità, come avrebbe fatto in seguito Pablo Picasso.
 
Un’alchimia dai criteri non sempre chiari, che il percorso della mostra prova a delineare, accompagnando il visitatore sulle orme di Gauguin nella sua “instancabile ricerca dell’ignoto” ai quattro angoli del mondo.
In primo piano, i processi di creazione e le fonti di ispirazione dell’artista, osservati in una prospettiva dinamica, attraverso un ricco corpus di opere per la prima volta indagate nei loro rapporti reciproci.
 
Accanto ai dipinti icona thaitiani, emergono i frutti della passione per l’incisione e la stampa, o delle incursioni nel laboratorio del ceramista parigino Ernest Chaplet, dove Gauguin non si accontenta di decorare gli oggetti già plasmati dal padrone di casa, ma entra da protagonista in ogni fase, cottura compresa.
E poi sculture e oggetti in legno intagliato e dipinto, mostri intarsiati ispirati alle divinità del Pacifico, vasi, piatti, donne dallo sguardo ieratico affacciato su entrambi gli Oceani.
 
Sezioni tematico-cronologiche scandiscono il racconto, a partire dalla “Fabbrica delle Immagini”, dedicata agli esordi sulla scia di Degas e Pissarro, per proseguire con l’esperienza bretone nel “Grand Atelier” e con “Miti e Reinvenzioni”, che fa luce sul lavoro dell’artista sull’immaginario di Thaiti.
L’ultimo capitolo ruota tutto intorno all’ossessione di Gauguin per la decorazione, fino alla sua opera d’arte totale: la casa-atelier di Hiva Oa.
 
E proprio la Maison du Jouir è al centro dell’esperienza immersiva che chiude la mostra: curatissimi ologrammi in 3D premettono infatti al pubblico di entrare nell’ultimo rifugio dell’artista alle Isole Marchesi, luogo d’arte e di delizie che Gauguin costruì e decorò con le proprie mani da cima a fondo.
Superate le inedite statue all’ingresso, ecco le riproduzioni di Degas, Puvis de Chavanne e di Holbein, ma anche di arte egiziana e giapponese, mentre pannelli scolpiti dall’artista si ispirano ai fregi del Partenone e del tempio indonesiano di Borobudur, oltre alle incisioni e alle tele coloratissime.
 
Gauguin l’alchimiste nasce dalla collaborazione del Musée d’Orsay – la cui collezione di lavori di Gauguin è in assoluto tra le più importanti al mondo – con l’Art institut di Chicago, detentore di significativi nuclei di pittura e opere grafiche dell’artista. Sarà in calendario al Grand Palais fino al prossimo 22 gennaio.
 
Leggi anche:

1932: l’Anno Erotico di Picasso

COMMENTI