Intervista alla direttrice della galleria romana
Dieci anni di Gagosian con Andreas Gursky e Pepi Marchetti
Pepi Marchetti Franchi, direttrice della Gagosian Gallery di Roma
Samantha De Martin
27/12/2017
Roma - Nella primavera del 2011 Andreas Gursky visita Bangkok e, affondando lo sguardo nella superficie tremolante del fiume Chao Phraya, ne fissa le luminose increspature in un’estesa struttura verticale a suggerire gli effetti cromatici dell’Impressionismo, o le intense composizioni dei modernisti americani del dopoguerra.
A distanza di sei anni quel fiume, nella sua costante trasformazione, simile a un panta rei eracliteo, con il suo mutevole disegno racchiuso nelle immagini di Rorschach o di Bangkok VI, scorre fino a Roma e, un po’ come il Tevere, rivela, attraverso l’obiettivo di Gursky, le sue diverse nature, diventando ora discarica per ogni tipo di rifiuto (dai preservativi usati ai copertoni d’auto), ora crogiolo di squilibri naturali, ora riflesso della città moderna in balìa di uno stato di flusso costante. L’artista di Leipzig, ex Germania dell’Est, classe 1955, è stato scelto per celebrare, fino al prossimo 3 marzo, i dieci anni della Galleria Gagosian di via Francesco Crispi.
«Andreas - spiega Pepi Marchetti Franchi, direttrice della sede romana della celebre galleria fondata da Larry Gagosian accanto a quelle di Beverly Hills, Londra, Parigi, Ginevra, Hong Kong e Atene - è uno dei grandi talenti in scuderia. Da molto tempo volevo portarlo a Roma. Il suo progetto sull’acqua ha trasformato la nostra sala ovale in un grande acquario dall’atmosfera ovattata e sospesa».
E infatti, dalla serie Bangkok (2011) alla monumentale Ocean VI (2010), esposte per la prima volta in Italia, Gursky dimostra che un fotografo può ideare e costruire - piuttosto che semplicemente “scattare” - foto del mondo contemporaneo, e realizzarle con la stessa scala della pittura monumentale. Come i pittori di storia del passato intercettano i loro soggetti nella vita quotidiana, anche Gursky trae ispirazione dall’esperienza visiva personale e dai fenomeni globali comunicati dai media. Dall’iniziale utilizzo del computer come semplice strumento di ritocco all’indagine delle sue potenzialità utili a modificare le immagini - ora combinando elementi dello stesso soggetto tratti da foto differenti, ora unendoli in un insieme intricato ma omogeneo, oppure decidendo di ritoccare pochissimo l’immagine - le opere di Gursky celebrano quella coerenza formale che nasce dal dialogo audace e tagliente tra fotografia e pittura, rappresentazione e astrazione. Inseguendo l’obiettivo di creare “un’enciclopedia della vita”, il mondo di Gursky fonde il moto perpetuo dell’esistenza con la stasi della riflessione metafisica.
Ocean VI è un’immagine satellitare nella quale l’acqua diventa un imperscrutabile vuoto. Incantato dalle immagini della rotta di un lungo viaggio aereo, Gursky ne interpreta i margini e le vette delle masse terrestri, nitidamente delineate intervallate dalle vaste distese blu dell’oceano, come fosse una fotografia. Al centro della serie Oceans ci sono foto satellitari in alta definizione che hanno ispirato la personale interpretazione dell’artista di mare e terra, consultando mappe dei fondali per ottenere la giusta densità visuale. Ocean VI accoglie il visitatore della Gagosian con i colori dell’Atlantico, le isole caraibiche e parti della costa del nord e sud America visibili ai confini più estremi, come a voler sottolineare la vulnerabilità dei continenti della Terra, mentre i livelli degli oceani aumentano ad un ritmo crescente.
Le opere di Gursky toccano così un tema fondamentale della vita contemporanea, rivelando le minacce ambientali su scala locale e globale.
«Rispetto alle altre gallerie fondate da Larry Gagosian, la sede di Roma è unica nella sua forma e nella sua sostanza» spiega Pepi Marchetti Franchi, una laurea in storia dell’arte a Roma, un master in Visual art administration a New York e dieci anni al Guggenheim di New York e di Venezia.
«È stato quando lavoravo al Guggenheim che ho conosciuto Larry (Gagosian, il più grande “mercante d’arte” al mondo ndr). Non avevo dubbi che la mia carriera si sarebbe svolta tutta in ambito museale. Poi il suo progetto mi ha convinto. Oggi è diventato più frequente passare dal museo alla galleria, mentre allora mi sembrò di fare un salto dalla finestra senza paracadute. In realtà ho scoperto un mondo dove ho potuto lavorare molto più da vicino con gli artisti e ricoprire contemporaneamente responsabilità diverse».
Ma perché la scelta di Gagosian è ricaduta proprio su Roma?
«Ogni galleria è una scuderia impegnativa ed esiste per accompagnare e sostenere il lavoro degli artisti. Siamo a Roma proprio perchè è un luogo che, come nessun altro, da sempre affascina gli artisti, esercitando su di loro come una sorta di calamita».
Fascino che, in questi dieci anni, ha prodotto non pochi frutti, oltre a far maturare un bilancio estremamente positivo. «Sono 46 le mostre presentate in questi dieci anni, con alcuni dei nomi di punta dell’arte contemporanea internazionale - spiega la direttrice - da Damien Hirst a Takashi Murakami, da Cindy Sherman e Ed Ruscha. Lo spazio, una monumentale sala ovale ristrutturata dal compianto Firouz Galdo e adorata dagli artisti, è stato una componente fondamentale del nostro successo».
E sui prossimi appuntamenti Pepi Marchetti concede qualche anticipazione. «Dopo Gursky aspettiamo Shio Kusaka, una giovane, ma straordinaria artista giapponese di base a Los Angeles».
Il giro del mondo, per la prestigiosa galleria che ha appena spento le sue dieci candeline, continua.
Leggi anche:
• Sfere in acciaio, fisica e legno bruciato. Alla Gagosian le nuove creazioni di Davide Balula
• Andreas Gursky. Bangkok
A distanza di sei anni quel fiume, nella sua costante trasformazione, simile a un panta rei eracliteo, con il suo mutevole disegno racchiuso nelle immagini di Rorschach o di Bangkok VI, scorre fino a Roma e, un po’ come il Tevere, rivela, attraverso l’obiettivo di Gursky, le sue diverse nature, diventando ora discarica per ogni tipo di rifiuto (dai preservativi usati ai copertoni d’auto), ora crogiolo di squilibri naturali, ora riflesso della città moderna in balìa di uno stato di flusso costante. L’artista di Leipzig, ex Germania dell’Est, classe 1955, è stato scelto per celebrare, fino al prossimo 3 marzo, i dieci anni della Galleria Gagosian di via Francesco Crispi.
«Andreas - spiega Pepi Marchetti Franchi, direttrice della sede romana della celebre galleria fondata da Larry Gagosian accanto a quelle di Beverly Hills, Londra, Parigi, Ginevra, Hong Kong e Atene - è uno dei grandi talenti in scuderia. Da molto tempo volevo portarlo a Roma. Il suo progetto sull’acqua ha trasformato la nostra sala ovale in un grande acquario dall’atmosfera ovattata e sospesa».
E infatti, dalla serie Bangkok (2011) alla monumentale Ocean VI (2010), esposte per la prima volta in Italia, Gursky dimostra che un fotografo può ideare e costruire - piuttosto che semplicemente “scattare” - foto del mondo contemporaneo, e realizzarle con la stessa scala della pittura monumentale. Come i pittori di storia del passato intercettano i loro soggetti nella vita quotidiana, anche Gursky trae ispirazione dall’esperienza visiva personale e dai fenomeni globali comunicati dai media. Dall’iniziale utilizzo del computer come semplice strumento di ritocco all’indagine delle sue potenzialità utili a modificare le immagini - ora combinando elementi dello stesso soggetto tratti da foto differenti, ora unendoli in un insieme intricato ma omogeneo, oppure decidendo di ritoccare pochissimo l’immagine - le opere di Gursky celebrano quella coerenza formale che nasce dal dialogo audace e tagliente tra fotografia e pittura, rappresentazione e astrazione. Inseguendo l’obiettivo di creare “un’enciclopedia della vita”, il mondo di Gursky fonde il moto perpetuo dell’esistenza con la stasi della riflessione metafisica.
Ocean VI è un’immagine satellitare nella quale l’acqua diventa un imperscrutabile vuoto. Incantato dalle immagini della rotta di un lungo viaggio aereo, Gursky ne interpreta i margini e le vette delle masse terrestri, nitidamente delineate intervallate dalle vaste distese blu dell’oceano, come fosse una fotografia. Al centro della serie Oceans ci sono foto satellitari in alta definizione che hanno ispirato la personale interpretazione dell’artista di mare e terra, consultando mappe dei fondali per ottenere la giusta densità visuale. Ocean VI accoglie il visitatore della Gagosian con i colori dell’Atlantico, le isole caraibiche e parti della costa del nord e sud America visibili ai confini più estremi, come a voler sottolineare la vulnerabilità dei continenti della Terra, mentre i livelli degli oceani aumentano ad un ritmo crescente.
Le opere di Gursky toccano così un tema fondamentale della vita contemporanea, rivelando le minacce ambientali su scala locale e globale.
«Rispetto alle altre gallerie fondate da Larry Gagosian, la sede di Roma è unica nella sua forma e nella sua sostanza» spiega Pepi Marchetti Franchi, una laurea in storia dell’arte a Roma, un master in Visual art administration a New York e dieci anni al Guggenheim di New York e di Venezia.
«È stato quando lavoravo al Guggenheim che ho conosciuto Larry (Gagosian, il più grande “mercante d’arte” al mondo ndr). Non avevo dubbi che la mia carriera si sarebbe svolta tutta in ambito museale. Poi il suo progetto mi ha convinto. Oggi è diventato più frequente passare dal museo alla galleria, mentre allora mi sembrò di fare un salto dalla finestra senza paracadute. In realtà ho scoperto un mondo dove ho potuto lavorare molto più da vicino con gli artisti e ricoprire contemporaneamente responsabilità diverse».
Ma perché la scelta di Gagosian è ricaduta proprio su Roma?
«Ogni galleria è una scuderia impegnativa ed esiste per accompagnare e sostenere il lavoro degli artisti. Siamo a Roma proprio perchè è un luogo che, come nessun altro, da sempre affascina gli artisti, esercitando su di loro come una sorta di calamita».
Fascino che, in questi dieci anni, ha prodotto non pochi frutti, oltre a far maturare un bilancio estremamente positivo. «Sono 46 le mostre presentate in questi dieci anni, con alcuni dei nomi di punta dell’arte contemporanea internazionale - spiega la direttrice - da Damien Hirst a Takashi Murakami, da Cindy Sherman e Ed Ruscha. Lo spazio, una monumentale sala ovale ristrutturata dal compianto Firouz Galdo e adorata dagli artisti, è stato una componente fondamentale del nostro successo».
E sui prossimi appuntamenti Pepi Marchetti concede qualche anticipazione. «Dopo Gursky aspettiamo Shio Kusaka, una giovane, ma straordinaria artista giapponese di base a Los Angeles».
Il giro del mondo, per la prestigiosa galleria che ha appena spento le sue dieci candeline, continua.
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