Ma quanto vale il patrimonio artistico dell’Italia?
Un tesoro da zero miliardi di euro

Fori Imperiali, Roma
E.B.
06/02/2014
Roma - Dopo i tentativi del Detroit Institute of Arts e del governo portoghese di svendere le proprie collezioni d'arte per ripianare il debito pubblico, anche la nostra Corte dei Conti cerca di ridefinire gli asset nazionali. Attraverso una richiesta di risarcimento di 234 miliardi di euro intende contestare il declassamento imposto dalle agenzie di rating, sostenendo che il valore del patrimonio culturale, da loro ignorato, contribuirebbe significativamente a garantire la solidità patrimoniale del Paese.
Ma di quale patrimonio stiamo parlando esattamente? In Italia si contano oltre 4.000 musei (di cui circa 460 appartenenti allo Stato e 1.800 a enti locali) e più di 40.000 immobili vincolati, anche se per ora si tratta di stime.
Viene di conseguenza da domandarsi quale sia il valore di tutti i tesori conservati nel nostro Paese, e se vi sia un criterio affidabile per quantificarlo.
Difficile rispondere, secondo il parere degli esperti. “Soprattutto se pensiamo ai siti museali e archeologici parliamo di beni culturali che sono prima di tutto inalienabili, spesso anche unici, che non possono quindi essere confrontati con le valutazioni di opere d’arte in generale” spiega Federico Lalatta Costerbosa, Partner e Managing Director di Boston Consulting Group, società che ha affiancato il Ministero dei Beni Culturali e le più importanti istituzioni museali con consulenze specifiche.
Anche gli istituti bancari faticano a includere il valore dei patrimoni artistici in loro possesso nei bilanci, se non inserendoli in più ampie categorie alla voce "immobilizzazioni materiali". Spesso inoltre la cifra specificata è sottostimata, poiché riferita al valore d'acquisto e non a quello attualizzato.
Un discorso diverso vale per la misurazione dell'impatto che la presenza di questi beni di fatto esercita su altri settori. Secondo il Ministro Bray la cultura italiana rappresenterebbe infatti una grande opportunità di sviluppo sociale ed economico.
“Il valore del patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico dell’Italia è indubbio e non può essere messo in discussione. A fronte di questa ricchezza emergono enormi potenzialità di crescita che dobbiamo saper valorizzare al meglio. Per questo ritengo fondamentale mettere l'industria culturale e turistica al centro delle nostre politiche”.
Si pensi semplicemente all'indotto generato dai visitatori degli Uffizi. Nel 2009, in aggiunta alla spesa diretta di circa 18 milioni, ne è stata stimata una indiretta di 131 milioni, sostenuta nei settori retail, turistico ed educativo, per un totale pari a nove volte l'ammontare incassato dal museo.
Da un'indagine presentata nel 2010 da Boston Consulting Group il settore culturale in senso stretto, cioè distinto dalle "industrie creative", rappresenterebbe il 2,5-3% del nostro PIL, pari a 35-40 miliardi di euro. “A questi si potrebbero poi aggiungere i 100 miliardi provenienti dalle attività legate al turismo culturale, per un ulteriore 9% circa” afferma Lalatta.
Un dato confortante, se non fosse che in Italia i flussi turistici ormai aumentano in maniera piuttosto moderata rispetto ai trend internazionali.
Ma di quale patrimonio stiamo parlando esattamente? In Italia si contano oltre 4.000 musei (di cui circa 460 appartenenti allo Stato e 1.800 a enti locali) e più di 40.000 immobili vincolati, anche se per ora si tratta di stime.
Viene di conseguenza da domandarsi quale sia il valore di tutti i tesori conservati nel nostro Paese, e se vi sia un criterio affidabile per quantificarlo.
Difficile rispondere, secondo il parere degli esperti. “Soprattutto se pensiamo ai siti museali e archeologici parliamo di beni culturali che sono prima di tutto inalienabili, spesso anche unici, che non possono quindi essere confrontati con le valutazioni di opere d’arte in generale” spiega Federico Lalatta Costerbosa, Partner e Managing Director di Boston Consulting Group, società che ha affiancato il Ministero dei Beni Culturali e le più importanti istituzioni museali con consulenze specifiche.
Anche gli istituti bancari faticano a includere il valore dei patrimoni artistici in loro possesso nei bilanci, se non inserendoli in più ampie categorie alla voce "immobilizzazioni materiali". Spesso inoltre la cifra specificata è sottostimata, poiché riferita al valore d'acquisto e non a quello attualizzato.
Un discorso diverso vale per la misurazione dell'impatto che la presenza di questi beni di fatto esercita su altri settori. Secondo il Ministro Bray la cultura italiana rappresenterebbe infatti una grande opportunità di sviluppo sociale ed economico.
“Il valore del patrimonio storico, culturale, artistico e paesaggistico dell’Italia è indubbio e non può essere messo in discussione. A fronte di questa ricchezza emergono enormi potenzialità di crescita che dobbiamo saper valorizzare al meglio. Per questo ritengo fondamentale mettere l'industria culturale e turistica al centro delle nostre politiche”.
Si pensi semplicemente all'indotto generato dai visitatori degli Uffizi. Nel 2009, in aggiunta alla spesa diretta di circa 18 milioni, ne è stata stimata una indiretta di 131 milioni, sostenuta nei settori retail, turistico ed educativo, per un totale pari a nove volte l'ammontare incassato dal museo.
Da un'indagine presentata nel 2010 da Boston Consulting Group il settore culturale in senso stretto, cioè distinto dalle "industrie creative", rappresenterebbe il 2,5-3% del nostro PIL, pari a 35-40 miliardi di euro. “A questi si potrebbero poi aggiungere i 100 miliardi provenienti dalle attività legate al turismo culturale, per un ulteriore 9% circa” afferma Lalatta.
Un dato confortante, se non fosse che in Italia i flussi turistici ormai aumentano in maniera piuttosto moderata rispetto ai trend internazionali.
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