Nuovi dati emergono nell’ambito dei lavori di “Messa in sicurezza, restauro e consolidamento dell’Insula Meridionalis di Pompei”

Un accampamento per sopravvissuti e disperati: ecco Pompei dopo l'eruzione

Insula | Courtesy Parco archeologico di Pompei
 

Samantha De Martin

06/08/2025

Napoli - Una favela per sopravvissuti che non avevano modo di ricominciare una nuova vita altrove, un accampamento per i senza dimora che avevano provato a rioccupare l’area devastata dall’evento vulcanico con la speranza di recuperare qualche oggetto di valore.
Rioccupata dopo la distruzione del 79 d.C., Pompei accolse una situazione precaria e disorganizzata che vide riaffiorare tracce di vita sulla città distrutta, una situazione protrattasi fino al V secolo quando poi l’area venne completamente abbandonata. Queste ipotesi, già avanzate in passato, vengono adesso confermate da dati e tracce emersi nell’ambito dei lavori di “Messa in sicurezza, restauro e consolidamento dell’Insula Meridionalis di Pompei”.
Le ultime notizie pubblicate sull’E-Journal degli Scavi di Pompei parlano di testimonianze di persone che tornarono sul luogo del disastro e che a un certo punto iniziarono ad abitare stabilmente tra le rovine dei piani superiori riaffioranti ancora tra la cenere.


Resti di Forno Insula Meridionalis Regio VIII | Courtesy Parco archeologico di Pompei

Se nelle antiche case e strutture ritornava la vita, gli ambienti che una volta erano al pianterreno diventavano scantinati e caverne che accoglievano focolari, forni e mulini. Si stima che nel 79 d.C. Pompei avesse almeno 20mila abitanti, ma la percentuale delle persone che persero la vita durante l’eruzione è tuttora dibattuta. Sono all’incirca 1300 le vittime ritrovate dall’inizio degli scavi, dal 1748 a oggi. Con due terzi della città antica portata alla luce, la cifra potrebbe sembrare relativamente bassa, intorno al 10%. Altri potrebbero aver perso la vita al di fuori del centro urbano, nel tentativo di allontanarsi dall’epicentro della catastrofe. Sicuramente non mancarono i sopravvissuti, come si intuisce anche dalle iscrizioni con nomi pompeiani da altri centri campani.
Ma evidentemente non tutti avevano i mezzi per ricominciare una nuova vita altrove, ed è proprio per questo che alcuni abitanti sarebbero tornati nella città distrutta, nella quale comunque si riuscivano ancora a intravedere i piani superiori degli edifici. Chi vi giungeva viveva inizialmente in una specie di deserto di cenere, prima che la vegetazione tornasse a prosperare. Chi tornava aveva poi la possibilità di scavare nel sottosuolo, dove si potevano trovare oggetti di valore.

Questa situazione, un po’ improvvisata, spinse probabilmente l’imperatore Tito a inviare due ex consoli quali curatores Campaniae restituendae: oltre a promuovere una rifondazione di Pompei e Ercolano, avevano il compito di occuparsi dei beni di chi non aveva lasciato eredi per cederli alle “città afflitte”. Ma questo tentativo di rifondazione fu un fallimento, dal momento che il sito non diventò mai più il centro vitale che era stato prima dell’eruzione.
I dati archeologici provano infatti che doveva trattarsi di un agglomerato dove le persone vivevano in condizioni precarie e senza le infrastrutture e i servizi tipici di una città romana. Questa forma di insediamento si protraesse fino alla tarda età antica, quando, forse in concomitanza con un’altra devastante eruzione (detta “di Pollena”), l’area venne definitivamente abbandonata.


Insula Meridionalis | Courtesy Parco archeologico di Pompei

“L’episodio epocale della distruzione della città nel 79 d.C. ha monopolizzato la memoria - spiega il direttore del sito e co-autore dell’articolo sui nuovi ritrovamenti, Gabriel Zuchtriegel -. Nell’entusiasmo di raggiungere i livelli del 79, con affreschi meravigliosamente conservati e arredi ancora intatti, le tracce flebili della rioccupazione del sito sono state letteralmente rimosse e spesso spazzate via senza alcuna documentazione. Grazie ai nuovi scavi il quadro diventa ora più chiaro: riemerge la Pompei post 79, più che una città un agglomerato precario e grigio, una specie di accampamento, una favela tra le rovine ancora riconoscibili della Pompei che fu”.